di Paolo Biondani/ L’Espresso, 31 marzo 2019

 

 

 

Sbagli, cantonate, fino ai casi limite di “esperti” reclutati da avvocati e criminali grazie a un sistema senza controlli. Diverse indagini portano alla luce il lato oscuro delle consulenze ai tribunali.

 

Sono solo consulenti, in teoria. Ma spesso contano più dei magistrati. I giudici conoscono la legge, ma su tutte le questioni di scienza, medicina, tecnologia o ingegneria devono affidarsi a professionisti esterni. I periti. Che non sono magistrati dello Stato. Sono tecnici privati, professori, esperti veri o presunti. Però condizionano la giustizia. Le loro perizie, di fatto, anticipano e pilotano le sentenze. Perché è crollato il ponte di Genova? Stefano Cucchi è morto per un pestaggio in caserma o per problemi di salute? Cosa ha provocato il misterioso decesso di Imane Fadil, testimone d’accusa del caso Berlusconi-Ruby? L’autista del numero uno della sanità veneta provocò un omicidio stradale o investì un motociclista colpito da fatale malore un attimo prima dell’incidente?

 

Domande di questo tipo si ripetono in tutti i processi più delicati e controversi. Ma a rispondere non sono giudici vincolati all’imparzialità. Sono liberi professionisti. Che in un processo rappresentano la legge, come arbitri indipendenti. Ma nella causa successiva possono lavorare a parcella, per interesse di parte. Degli errori dei giudici si parla e straparla molto. Anche se la macchina dei processi è organizzata proprio per ridurre le ingiustizie: ogni decisione, ogni sentenza viene ricontrollata in tre gradi di giudizio, fino alla Corte suprema di Cassazione. Le cantonate dei periti tendono invece a passare sotto silenzio. Così un consulente screditato può riciclarsi in nuovi procedimenti. E il faro dei controlli si accende solo in casi eccezionali, quando scoppia uno scandalo. Gli esempi, purtroppo, si sprecano.

 

Nel 2018 viene arrestato per tangenti un pm di Siracusa, Giancarlo Longo, poi condannato a cinque anni di galera: per vendere i suoi processi, utilizzava false perizie, affidate a una cerchia dorata di consulenti, solo ora smascherati dai magistrati anti-corruzione di Messina e Roma. Gli istituti di medicina legale firmano perizie decisive nei casi di omicidio, lesioni, droga e altri gravi reati. Ma perfino i luminari delle autopsie ora sono al centro di indagini-choc, da Padova a La Spezia, che ricordano storiche istruttorie di Palermo, Milano, Napoli e Roma, chiuse con pesanti condanne di singoli periti, ma senza nessuna riforma strutturale. Quindi gli scandali continuano a ripetersi.

 

Il pm anticamorra Alessandro Milita ha definito “mostruosa” la vicenda che nel febbraio scorso ha portato alla condanna a dieci anni e mezzo, in primo grado, di un rinomato oculista dell’ospedale privato Maugeri di Pavia. Il presunto luminare, Aldo Fronterrè, certificò un’inesistente patologia a un occhio di Giuseppe Setola, il boss stragista del clan dei casalesi. Scarcerato grazie a quella perizia, nel 2008 Setola è evaso dai domiciliari. E prima di essere riarrestato ha potuto ordinare almeno 18 omicidi.

 

Rischi e problemi dei consulenti giudiziari sono confermati, per contrasto, dalla tragica fine di un eroe della lotta alla mafia. Negli anni del terrore di Cosa Nostra, il professor Paolo Giaccone scopre un’impronta digitale di un killer, Giuseppe Marchese, sull’auto usata per una strage. L’esperto viene minacciato, ma rifiuta di aggiustare la sua perizia. E nell’estate 1982 viene ucciso per ordine di Riina e degli altri boss della cupola. Il killer, condannato all’ergastolo, cerca di fingersi pazzo: “Sono Napoleone”. Ma altri periti onesti lo sbugiardano. Dopo anni di carcere, Marchese diventa il primo pentito in grado di svelare i segreti sanguinari dei corleonesi. Compreso l’omicidio di Giaccone.

 

L’onestà e il coraggio di tanti altri periti però non fermano gli scandali neppure nella lotta alla mafia. La pm Alessandra Cerreti, dopo anni di indagini tra Milano e la Calabria su medici al servizio della ‘ndrangheta, ha proposto alla commissione parlamentare Antimafia di creare “un albo nazionale dei consulenti tecnici, da selezionare con criteri rigorosi e continue verifiche di professionalità”. Anche Claudio Fava, presidente dell’Antimafia siciliana, propone “riforme, come l’albo nazionale, per ridurre la discrezionalità, o l’arbitrio, di troppe perizie che vengono usate come una clava contro la verità nei processi di mafia”.