Trump e il Marchese del Grillo.
(di Stelio W. Venceslai)
La guerra tariffaria che Trump sta ingaggiando con tutto il mondo è una guerra che porta al disastro.
Qual è il ragionamento di Trump? Molte imprese americane tendono a spostarsi là dove i costi sono minori. Di conseguenza, i prodotti fatti in Cina, magari con soldi e tecnologie euro-americane, entrano negli Stati Uniti a prezzi stracciati rispetto a quelli americani.
Allora, ecco la furbata: se li carico di dazi, diventano meno competitivi e il Tesoro americano incassa un sacco di soldi. Un vero affare. Però, poiché il resto del mondo non è cretino, come forse pensa Trump, la Cina dopo un po’ reagisce, aumentando i dazi sull’importazione di prodotti americani.
Apriti cielo! Trump è furioso. Come si permettono questi bastardi di reagire? Altro aumento di dazi americani del 25% su centinaia di migliaia di dollari di esportazioni cinesi negli Stati Uniti.
Ovvio che si attende la contromossa cinese. Andando avanti di questo passo, tanto vale bloccare le reciproche esportazioni. È sensato tutto questo?
Prendiamo il caso dell’acciaio, così essenziale per l’industria automobilistica. Lo si acquista dove, a parità di qualità, costa di meno. Lo fanno anche le industrie americane dell’auto. A questo punto, se l’acciaio cinese in America, gravato dai dazi di Trump, costa troppo, conviene trasferirsi in Canada, dove la furia tariffaria non esiste, e di lì si può tranquillamente comprare l’acciaio cinese a prezzi ragionevoli.
Sostiene Trump che, allora, non potranno entrare negli Stati Uniti le automobili americane prodotte all’estero. L’impero è chiuso. Ma l’impero non è il mercato mondiale.
Questo circolo vizioso e contraddittorio si può ripetere per migliaia di altri prodotti, compresi quelli agro-alimentari. La conclusione è che gli Stati Uniti si chiudono in se stessi, foraggiando le loro industrie, i costi delle cui materie prime e dei componenti (che normalmente acquistano all’estero) non sono più competitivi.
A casa nostra, questa grande scoperta si chiamava autarchia, ed è finita com’è finita. Trump sembra non conoscerne la storia.
Certo, l’economia dell’Italietta degli anni trenta non è comparabile a quella degli Stati Uniti di oggi, ma l’idea è sempre la stessa: faccio tutto io, anche se i costi sono superiori a quelli del mercato internazionale. Come diceva il compianto Marchese del Grillo: io so’ io e tu sei ‘no stronzo. Come nuovo orientamento americano di politica economica internazionale non c’è male.
Il fatto è che la questione dei dazi non è un rapporto erotico a due, più o meno perverso, da filmare sul web. I rapporti internazionali si basano sulla reciprocità. La posizione americana sui dazi riguarda tutti il mondo e Trump minaccia di fare altrettanto, ad esempio, con l’Unione europea. Anzi, ha già cominciato: deve difendere il vino, i formaggi, la pizza e la pasta americani (anche se contraffatti), tanto per citarne gli effetti sul nostro Paese.
Da decenni si è cercato di arrivare a una pace tariffaria nel mondo, per agevolare i commerci e rendere accessibili risorse, tecnologie e prodotti per tutti quelli che vivono su questa palla di fango.
È stata creata una grande organizzazione internazionale, il WTO (la World Trade Organization) per stabilire regole di convivenza commerciale a livello mondiale. Trump non ama il WTO ed è anche probabile che gli Stati Uniti ne escano per non essere perennemente sotto accusa, com’è già accaduto altrove.
Ma, in fondo, che cos’è il WTO? Un’accolta di miserabili Stati che osteggiano o ripudiano le decisioni (immotivate) di Trump. Un delitto di lesa maestà americana.
Ora, se gli Stati Uniti vogliono chiudersi nell’autarchia e nel protezionismo, è affar loro. Ognuno ha il diritto di suicidarsi come preferisce. Però, per quanto gli Stati Uniti siano un grande Paese, con un mercato ricco ed enorme, non possono vivere fuori dal resto del mondo, come crede Trump né possono imporre la volontà di uno scriteriato, digiuno di economia, a tutto il pianeta.
Oltre a tutto, ci sono altri grandi aggregati economici internazionali che possono tener testa a una competizione tariffaria con Washington, a partire dall’Unione europea, che non ha purtroppo una sua politica estera, ma ne ha una commerciale, ed è un’entità economica di tutto rispetto.
C’è, poi, il gigante Cina, con il quale è già cominciato il braccio di ferro. Ma non vanno dimenticati né la Federazione russa né l’India. Tutti assieme, potrebbero strangolare l’economia americana. Basterebbe mettere sul mercato i miliardi di dollari che sono nelle loro casse. Non lo faranno, perché le loro posizioni politiche sono diverse, sempre che la situazione non peggiori.
A chi conviene questa guerra? Solo agli elettori (contadini e minatori) di Trump? È possibile che per non mettere a rischio la sua seconda elezione, il Presidente degli Stati Uniti voglia inimicarsi tutto il mondo? Parrebbe di sì.
Roma, 19/05/2019