Non era diffamatorio l’articolo del giornalista Ferdinando Terlizzi sul Procuratore della Repubblica Mariano Maffei che coinvolgeva anche il maresciallo della Finanza Michele Corsiero. Lo ha stabilito con sentenza il giudice Paola Mastroianni del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere
(CronacheAgenziaGiornalistica) – E’ durata soltanto 9 anni la causa civile intentata dal maresciallo della Finanza Michele Corsiero, rappresentato e difeso dall’avv. Mario Corsiero, contro il cronista giudiziario Ferdinando Terlizzi, rappresentato e difeso dall’avv. Camillo Federico e contro gli eredi del giornalista Beniamino Clemente, all’epoca direttore responsabile del quotidiano “La Nuova Gazzetta di Caserta”, che sono: Antonio Clemente, Caterina Cecere, Mauro Clemente e Pasquale Clemente, tutti difesi dall’avv. Lorenzo Russo.
Lo ha deciso il giudice Paola Mastroianni, con una sentenza depositata il 15 luglio scorso, dopo una annosa istruttoria durata – ma anche a causa della prematura morte del collega Beniamino Clemente – oltre 9 anni, che ha comportato, come è ovvio anche la riassunzione del giudizio intentato dal Corsiero contro il Terlizzi ed il direttore responsabile dell’epoca del quotidiano casertano. Una vicenda che vale la pena rievocare sia per l’indirizzo giurisprudenziale fornito dalla decisione e sia per la notorietà dei personaggi citati e coinvolti.
Il maresciallo Michele Corsiero ( per anni responsabile della Squadra di Polizia Giudiziaria della Guardia di Finanza della Procura sammaritana) riteneva di essere stato diffamato e si doleva di un articolo pubblicato il 4 febbraio 2010, sul quotidiano Nuova Gazzetta di Caserta, Il Quotidiano di Terra di Lavoro, firmato da Ferdinando Terlizzi, avente titolo “Ora l’ex procuratore rischia la sospensione dalla Tributaria”; che nell’articolo si faceva riferimento a vicende giudiziarie che riguardarono indagini espletate nei confronti della sig.ra ….”Sandra Lonardo, moglie di Clemente Mastella…….”, fatta arrestare -riferiva l’articolista- unitamente ad altri professionisti, giornalisti ed avvocati; che l’articolo proseguiva, poi, ricordando indagini che, invece, sarebbero state espletate nei confronti del procuratore Mariano Maffei a seguito di denunce provenienti dal dr. Paolo Albano; che l’articolo continuava, sempre in relazione all’ex procuratore Maffei, notiziando i lettori che quest’ultimo, in qualità di Giudice Tributario, stava per subire conseguenze di natura disciplinare: che dopo, però, avere ricordato anche altri episodi.
Il redattore dell’articolo – spiegava l’atto introduttivo – in modo del tutto illogico rispetto al contenuto ed al titolo dell’articolo di cui sopra, testualmente, scriveva: “Tutti ricorderanno la vicenda del procuratore Mariano Maffei – indicato in una interrogazione parlamentare dell’ex pm Mario Gazzilli – come la persona che, abusando della sua funzione, era andato con la macchina di servizio e con il maresciallo Michele Corsiero della guardia di finanza, presso la sede della Finanziaria Fratelli De Asmundis a farsi restituire i 750 milioni che aveva investito turbando così la “par condicio creditorum”.
Che i lettori della provincia di Caserta – spiegava ancora l’avvocato del Corsiero – nella quale il quotidiano era notevolmente diffuso, leggendo questa parte dell’articolo, sarebbero giunti alla conclusione che l’istante, luogotenente della Guardia di Finanza, avrebbe accompagnato il procuratore Maffei, abusando, in concorso con lui, dei poteri derivanti dal ruolo istituzionale ricoperto, in particolare utilizzando un’autovettura di servizio, ad effettuare operazioni tendenti a sottrarre il procuratore medesimo alla par condicio creditorum e, quindi, a creare posizioni privilegiate rispetto ad altri creditori che, in teoria, avrebbero potuto agire giudiziariamente contro la Finanziaria De Asmundis, dichiarata fallita; che l’articolista induceva i lettori a ritenere che vi sarebbe stato, a carico di esso istante, una duplice condotta illecita: l’una, relativa all’utilizzo dell’autovettura di servizio per fini non istituzionali, l’altra, consistente, abusando dei propri poteri, nel far consegnare al citato procuratore Maffei somme che lui aveva, verosimilmente, investito presso la ripetuta società̀ finanziaria.
Sulla base di tali assunti, il Corsiero ha citato in giudizio Ferdinando Terlizzi e il Direttore della “Nuova Gazzetta di Caserta, Il quotidiano di Terra di Lavoro”, Clemente Beniamino, chiedendo: accertata la natura diffamatoria dell’articolo comparso sul predetto quotidiano il 4 febbraio 2010 e la lesione dei diritti della personalità, all’onore, reputazione e identità, condannarli al risarcimento di tutti i danni morali, non patrimoniali e patrimoniali, da liquidarsi equitativamente nonché al pagamento di una sanzione pecuniaria prevista dalla legge sulla stampa.
Il giudice Mastroianni, con la sua decisione, ha rigettato la domanda risarcitoria, ha compensato le spese tra le parti, non ha ritenuto diffamatorio l’articolo del Terlizzi ed ha così motivato tra l’altro la sua decisione: “Occorre, in primo luogo, valutare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata – ha scritto tra l’altro il giudice Mastroianni nella sua decisione – e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie. In merito, in particolare, alla verità oggettiva della notizia pubblicata, necessaria, come detto, per ritenere la diffusione a mezzo stampa delle notizie legittimo esercizio del diritto di cronaca, come insegna la Suprema Corte, per realizzare il fatto-reato della diffamazione a mezzo della stampa non è sufficiente l’esposizione di fatti non conformi (o non esattamente conformi) al vero, ma è necessario che la ricostruzione dell’accaduto sia idonea a ledere l’onore ed il decoro della persona; peraltro, l’oggettiva verità del racconto tollera le inesattezze considerate irrilevanti se riferite a particolari di scarso rilievo e privi di valore informativo. Precisamente, per l’operatività della causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p. è necessario che la verità oggettiva dei fatti, intesa come rigorosa corrispondenza alla realtà, sia rispettata per tutti quegli elementi che costituiscono l’essenza e la sostanza dell’intero contenuto informativo della notizia riportata.
I dati superflui, insignificanti ovvero irrilevanti, ancorchè imprecisi, in quanto non decisivi nè determinanti, cioè capaci da soli di immutare, alterare, modificare la verità oggettiva della notizia, non possono essere presi in considerazione, per ritenere valicati i limiti dell’esercizio del diritto di informazione ed escludere l’operatività della causa di giustificazione. In definitiva, se è vero che in tema di diffamazione a mezzo stampa, eventuali modeste e marginali inesattezze nella descrizione del fatto relative a sue modalità senza modificarne la struttura essenziale non sono idonee a determinare quel superamento della verità che esclude l’operatività dell’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca, è altrettanto vero che lo stesso non può dirsi laddove la veridicità del narrato – da cui discende il tenore diffamatorio – sia da escludersi in relazione agli elementi essenziali del fatto.
Va, poi, precisato che il carattere diffamatorio di uno scritto va valutato non già sulla base di una lettura atomistica delle singole espressioni in esso contenute, ma giudicando la portata complessiva del medesimo con riferimento ad alcuni elementi, quali: l’accostamento e l’accorpamento di notizie, l’uso di determinate espressioni nella consapevolezza che il pubblico le intenderà in maniera diversa o contraria al loro significato letterale, il tono complessivo e la titolazione dell’articolo.
Ebbene, valutando il complessivo contenuto dell’articolo de quo negli anzidetti termini, si osserva che lo stesso non fa riferimento alcuno all’odierno istante, posto che è incentrato, anche nella titolazione, sulla persona del solo ex procuratore Maffei. La parte incriminata, valutata nel suo significato letterale, non fa riferimento all’istante come la persona che ha abusato della funzione per la restituzione all’ex procuratore del denaro di cui nel medesimo articolo si discorre. Piuttosto, dall’articolo si evince che il maresciallo Corsiero abbia esclusivamente accompagnato l’ex procuratore. Insomma, se anche la verità del fatto narrato non sussiste o comunque non è provata con riguardo alla circostanza che allorquando l’ex procuratore ha posto in essere la detta condotta era presente l’odierno istante, il contenuto dell’articolo potenzialmente diffamatorio non investe la persona dell’istante, di cui, come detto, nulla si dice nella restante parte.
La discussa sussistenza del detto requisito della verità oggettiva o putativa investe una modalità del fatto che di per sé, considerato l’intero contenuto della parte incriminata, non modifica la struttura essenziale della condotta di abuso cui si riferisce l’articolo, condotta attribuita dal giornalista esclusivamente all’ex procuratore.
Alla stregua delle considerazioni che precedono e tenuto conto delle predette coordinate interpretative, non sussiste la denunciata natura diffamatoria dell’articolo in questione, sicchè le domande proposte vanno rigettate, con assorbimento di ogni restante deduzione e difesa.