Miserere nobis

Visto che tutti sono contro Salvini (5Stelle, PD, Forza Italia), non ci sarebbe da meravigliarsi se la mozione di fiducia fosse respinta e il governo salvo, con una nuova, inedita maggioranza. Un vaudeville, ma mica tanto. Se invece fosse accolta, ci sarebbe l’apertura formale della crisi e la palla passerebbe a Mattarella, che non fa il calciatore di professione.

(di Stelio W. Venceslai)

Il dado è tratto. Dopo quattordici mesi di governo giallo-verde, Salvini ha fatto lo strappo e calato l’asso sul tavolo. La Lega ha presentato una mozione urgente di sfiducia nei confronti del governo Conte. Una mossa audace, forse intempestiva, dopo aver registrato un successo parlamentare con l’approvazione del decreto sulla sicurezza bis e la sconfitta della mozione 5Stelle sulla TAV. Il 12 agosto ci sarà la calendarizzazione del dibattito alla Camera. Ne vedremo delle belle. Un vero spasso.

      Visto che tutti sono contro Salvini (5Stelle, PD, Forza Italia), non ci sarebbe da meravigliarsi se la mozione di fiducia fosse respinta e il governo salvo, con una nuova, inedita maggioranza. Un vaudeville, ma mica tanto. Se invece fosse accolta, ci sarebbe l’apertura formale della crisi e la palla passerebbe a Mattarella, che non fa il calciatore di professione.

      Il Presidente della Repubblica ha come primo obiettivo quello di salvare la legislatura. Seguono, nell’ordine, la formazione di un governo, possibilmente stabile, la garanzia dei nostri impegni internazionali e comunitari, la difesa del nostro sistema economico-finanziario. Che fare?

      La situazione politica  è talmente degradata che le soluzioni possibili non sono molte.

      Salvare la legislatura è l’obiettivo pressoché di tutti, anche di quelli che invocano a ogni pié sospinto il ricorso alle urne. In realtà, ricorrere alle urne impedirebbe la riduzione del numero dei parlamentari (345 deputati in meno), una proposta, checché se ne dica, che ai parlamentari non piace affatto. Se, invece, accogliendo le richieste del Movimento 5Stelle, la norma passasse, per effetto dei tempi procedurali connessi (ridisegnare i collegi elettorali e fare un referendum), occorrerebbero almeno sei mesi per renderla operativa e, quindi, di elezioni se ne riparlerebbe in primavera. I 5Stelle insistono perché sia l’ultimo atto di questa legislatura morente. Per la Lega il principio è acquisito ma si può attuare anche dopo. Nel frattempo, che governo fare?

      Ad eccezione della Lega e di Fratelli d’Italia, in ascesa, chi è veramente interessato alla consultazione elettorale? A parole, tutti ma, in realtà, si tratta di un’incognita.

      Parliamo del PD, con una maggioranza di parlamentari filo-renziani mentre il resto del partito, almeno formalmente, è con Zingaretti. Il PD è talmente diviso che l’unica proposta elettorale di Zingaretti è l’invocazione ad essere uniti. Poi, c’è l’incognita Calenda, che piace a tutti ma non ha un seguito consistente. Con queste tensioni sarà già molto se il PD potrà mantenere le sue posizioni, diviso anche sull’ipotesi di un’intesa con 5Stelle.

      Per Forza Italia, che a gran voce reclama le elezioni, è invece un suicidio annunciato. Il partito è decotto e comincia lo squaglia-squaglia dei suoi sostenitori. Alla fine, con Berlusconi resteranno Tajani, Brunetta e le quattro gatte della corte di Arcore. Già Toti se ne è andato per conto suo e la Carfagna si è defilata. Forza Italia non esiste più, elettoralmente parlando. Andare alle prossime elezioni significa scomparire. Berlusconi pare non rendersene conto.

      Il caso di 5Stelle è ancora più drammatico. Il Movimento intende trasformarsi in un partito, ma è in una fase di transizione. Nelle ultime elezioni ha perso milioni di voti e i sondaggi sono preoccupanti. La delusione per l’incapacità di Di Maio e della sua classe dirigente è profonda. Di Maio ha voluto l’economia, l’industria e il lavoro. Troppa roba, difficile, con una politica inconcludente e in gran parte fallimentare. Il gioiello di famiglia, il reddito di cittadinanza, da una buona idea si è trasformato in una beffa per quelli che ci avevano creduto. I principi conclamati si sono rivelati impraticabili e il Movimento ha perso di credibilità davanti al rullo compressore di Salvini e della Lega. Sarà un miracolo se potrà mantenere la metà dei suoi rappresentanti. Ha perso la faccia in troppe occasioni.

      Per questo i malumori della base sono consistenti e fanno leva su Fico e Di Battista, con la speranza di un’inversione di rotta, ma governare non è facile per gli utopisti e gli pseudo-rivoluzionari e, poi, occorrono i voti degli elettori. Grillo parla di “nuovi barbari”, alludendo alla Lega, ma è un’accusa che può essere facilmente rivolta anche ai pentastellati.

      Difficilmente la Lega potrà raggiungere il 40% dei consensi. La legge elettorale favorisce le coalizioni e Salvini sarebbe costretto, comunque, ad accordarsi con altri gruppi, in particolare con Fratelli d’Italia e, forse, con Toti e altri transfughi da Forza Italia, difficilmente con Berlusconi. Con la Meloni, però, ci sarebbe una caratterizzazione di destra forse eccessiva che può non far comodo a Salvini nel contesto eruropeo.

      In queste condizioni, il compito del Presidente della Repubblica non è dei più facili.

      La prima opzione potrebbe essere quella di un governo tecnico, da affidare con un reincarico a Conte (oppure alla Casellati o a Pisapia o a Sala), ma potrebbe non avere la maggioranza necessaria, vista l’opposizione della Lega. Oppure, potrebbe consistere nel respingere le dimissioni del governo giallo-verde e incaricarlo di gestire gli affari ordinari, convocando i comizi elettorali. Ma con Salvini al Ministero dell’Interno e i Ministri della Lega? Una soluzione legittima ma forse improbabile.

      Anche immaginando le elezioni il prima possibile, uno straccio di governo fino ad allora sarà necessario. Tecnico, di minoranza, balneare, d’emergenza, di transizione, comunque sia, a qualcuno dovrà pure essere affidato l’incarico. A chi? Il clima, in Parlamento, è avvelenato. Qualunque soluzione parlamentare non sembra avere i numeri necessari per la fiducia.

      Quattordici mesi di governo non sono stati così disastrosi come li dipinge la stampa avversaria. Bisogna essere obiettivi: molte cose sono state fatte e molte altre messe in cantiere. Non tutto è stato perfetto, perché i contrasti fra le due forze politiche di governo erano inevitabili fino a giungere a un punto di rottura, ma ha ragione il Presidente Conte quando dice d’essere orgoglioso del lavoro fatto. Vedremo cosa ne pensano gli elettori.

      Sul tappeto ci sono alcuni problemi fondamentali, quali la riforma della giustizia, la questione delle autonomie, e, soprattutto, la nuova legge finanziaria. Dio solo sa cosa può accadere in borsa nelle prossime settimane. Ricomincia a salire lo spread e già si vedono le prime avvisaglie di un tracollo che potrebbe essere senza precedenti. E’ urgente far fronte a questa emergenza. Il DEF non ammette esitazioni e il negoziato con Bruxelles sarà quanto mai impegnativo. Qualunque maggioranza esca dalle elezioni, se ci saranno, dovrà confrontarsi con questo problema. Flat tax? Eliminazione delle agevolazioni fiscali? Riduzione del cuneo fiscale? Aumento dell’IVA? Il piatto è ricco e il contribuente sempre più povero.

      Se Salvini, come è probabile, sarà il nuovo Presidente del Consiglio, questo sarà il primo vero, grande scoglio da affrontare, senza l’alibi dei dinieghi e delle esitazioni di 5Stelle. Il rapporto con le istituzioni comunitarie è fondamentale. Salvini ha un bel dire che lui ha intenzione di tirare avanti, con o senza il consenso di Bruxelles. Questa è solo una sciocchezza elettorale. Intanto, avremo un candidato alla Commissione? Conte aveva raggiunto un accordo di massima con la Van Leyden, futura Presidente della Commissione. Reggerà questa intesa o manderemo il solito nostro rappresentante a gestire l’inutile e il marginale, tanto per fare squadra?

      Salvini si sente sulla cresta dell’onda. In teoria, potrebbe anche aver ragione, ma il riscontro elettorale non è poi così sicuro. Il suo piglio deciso piace agli Italiani, ma lo strappo, forse, un po’ meno. Vuole i pieni poteri, ha detto, ma è una dichiarazione azzardata assai. L’Italia non è il Venezuela.

      Quello che è certo è che si apre una stagione d’incertezza fra grandi rancori e speranze deluse in un quadro economico-finanziario europeo e internazionale non certo rassicurante, con la prospettiva di una nuova ondata di recessione.

Roma, 11/08/2019