La gazzarra e le illusioni
Qualcuno dovrebbe spiegare perché se si fa gazzarra per istrada è violenza e, comunque, qualcosa da cui dissentire. Se si fa in Parlamento, invece, è una manifestazione legittima di dissenso. Questa sottile distinzione è il patrimonio ideologico di Forza Italia che, per bocca del suo anziano profeta, promette opposizione dura al nuovo governo giallo-rosso, ma in Parlamento. In piazza no, è troppo volgare.
Uno malizioso potrebbe pensare che ormai Forza Italia, in piazza, raccoglierebbe solo i parenti più stretti dei suoi eletti. Comunque, fatto il nuovo governo, ora si devono raccogliere i cocci, vecchi e nuovi.
Quelli vecchi riguardano il centro-destra, dove l’ambiguità regna sulla vecchia alleanza con la Lega e spunta un nuovo, ancor minuscolo attore, il gruppo di Toti, il governatore della Liguria.
I cocci nuovi, freschi di rottura, sono del PD e del Movimento, uniti da un patto di sangue anti-Salvini ma, in pratica, divisi su tutto. Questa è una buona cosa perché, sembra un paradosso, la sensazione diffusa che non possa durare li stimolerà a durare.
Il primo evento da considerare è quello europeo. La nomina di Gentiloni ha ringalluzzito tutti. Finalmente l’Italia tornerebbe ad avere un ruolo importante nell’Unione, sconfessione implicita dell’attività inutile della Mogherini, già pupilla di Renzi e assurta come enfant prodige prima a Ministro degli Esteri italiano e, poi, a Vice Presidente dell’Unione, responsabile della politica estera della Comunità (che non esiste).
A Gentiloni è stato assegnato il portafoglio Economia e Finanze, un posto difficile per un Italiano, che dovrà fare la faccia feroce con il governo che l’ha designato e rispondere ad un super Commissario, a ciò appositamente delegato, Dombrowski, un rigorista ben noto nella passata legislatura comunitaria. Una nomina, dunque, sotto condizione, com’è stato subito giustamente osservato dai vari commentatori politici. Il Te Deum di ringraziamento va quindi un po’ corretto e un po’ ridotto al Miserere nobis. Gentiloni non è uno sciocco ed è uomo di una certa esperienza. Ma non avrà un compito facile.
L’immediata visita di Conti alla Van der Layden il giorno dopo la fiducia, è stata salutata come il ritorno del figliol prodigo all’ovile, ma di concreto non c’è nulla. Né le speranze di minor rigore contabile né le prospettive di una modifica delle regole di Dublino sull’immigrazione. Il vincolo dell’unanimità rende improbabile qualunque modifica.
Il secondo evento da considerare è la questione della finanziaria, tra l’altro strettamente legata alle regole comunitarie. L’idea peregrina che la finanza sia un gioco, per cui si possono ridurre le tasse e, quindi, le entrate dello Stato e, allo stesso tempo, fare gli investimenti sociali, sostenuta a spada tratta dal governo già giallo-verde, non sembra tramontata. Le illusioni finanziarie sono dure a morire. Ne citiamo due: i proventi determinati dai risultati della lotta all’evasione e la tenuta di uno spread a basso livello per tre anni. Le solite bufale che ascoltiamo a ogni nuovo governo. Su queste speranze si fondano le promesse finanziarie del Conti bis. Chiacchiere. Il vero problema è se si riuscirà a tamponare l’aumento dell’IVA. Qualche risparmio c’è stato, ma insufficiente e i timori di una nuova patrimoniale (la temuta imposizione sugli immobili) sono sempre molto forti.
Un terzo punto si presta a ulteriori commenti. Potrà il Conti bis, fresco di firma sui decreti sul reddito di cittadinanza (con i famosi navigators) e su quota 100, procedere ad una revisione pressoché ablativa degli stessi? Potranno i 5Stelle accettare un altro ridimensionamento dei loro conclamati principi? Già in materia di decreti sulla sicurezza si cominciano a fare dei distinguo pericolosi, sempre nell’illusione che il Trattato di Dublino venga modificato e che i Paesi del Nord e del patto di Visegrad acconsentano a fare del continente europeo un centro d’accoglienza. Un Presidente succeduto a se stesso con quale faccia potrà rimangiarsi ciò che ha decretato solo qualche settimana fa? Misteri della politica che, però, non ingannano l’elettorato, sempre più disgustato.
Le prossime elezioni regionali in Umbria e, dopo qualche mese, in Calabria, Emilia-Romagna e Toscana, metteranno a dura prova il governo. Se il centro-destra dovesse prevalere, il che è probabile, almeno in Umbria e, forse, in Emilia-Romagna, si arriverebbe al paradosso di un Paese governato in periferia dal centro-destra con un governo centrale di sinistra. La questione delle autonomie regionali diventerà una macchia d’olio per tutta Italia e un inciampo non da poco per il governo. Chissà se Matterella si renderà conto della stortura creata dal suo legittimismo costituzionale?
Comunque vada, abbiamo un governo, pessimo come il precedente, inquinato dalla stella declinante del Movimento, cui va bene tutto, pur di governare. Prima con la Lega, poi con il PD. Per il bene dell’Italia, naturalmente. Una favola buona cui non crede più nessuno.
Rotto il matrimonio difficile con la Lega, il Movimento non più virginale ha trovato subito un altro partner. In mezzo alla strada, quando si batte, c’è di tutto. Niente amore, solo interessi. Se le cose andranno male anche con questo, purtroppo, non c’è un altro celibe disponibile, tranne il Berlusconi che, però, è un po’ attempato e giura che non lo farà mai. Forse si arriverà alla fine dell’anno, forse alla prossima primavera. Ma non c’è da farsi illusioni. Il laboratorio Italia è in fermento. Nuove elezioni diventeranno inevitabili. Di Maio non potrà fare danni più di tanto. Possiamo restare tranquilli.