I Kurdi danno fastidio –  (di Diplomaticus)

Diciamolo pure, all’Europa non importa niente dei Kurdi e tanto meno all’Italia. I Kurdi sono lontani, sono stati bravi a combattere l’ISIS, sono dignitosi e fieri, da quasi un secolo aspirano ad avere uno Stato. Si sono fidati degli Americani e ora gli Americani li hanno mollati. Ben gli sta. Non bisogna fidarsi degli Americani e, meno ancora di Trump.

       Dai tempi del Trattato di Sévres del 1920, che prevedeva la costituzione di un’entità kurda nell’ambito del morente impero ottomano, le potenze occidentali li hanno sempre presi in giro, un po’ come ha fatto la Francia con i Tuareg del deserto sahariano e il Regno Unito con i Palestinesi nel 1948.

       I Kurdi danno fastidio. La loro insistenza nel voler vivere in uno Stato tutto loro turba equilibri geopolitici consolidati. Possiamo spezzare l’Iraq? Possiamo amputare la Siria? Possiamo ammettere l’idea di una frontiera comune con i Kurdi che vivono in Turchia e che non sono felici del trattamento inflitto loro da Ankara? Troppi interessi. In più, guarda caso, le loro popolazioni vivono in aree ricche di petrolio. Fanno gola a tutti.

       L’ipocrisia occidentale si commuove alle immagini di decine di migliaia di persone costrette ad emigrare perché non c’è lavoro, non c’è pace, le case sono distrutte, i morti, militari e civili, sono tanti. I bambini, poi! Quanti bambini morti o feriti, dilaniati dalle schegge e terrorizzati dai combattimenti!  Ci commuoviamo e poi usciamo per andare al bar. Tutta qui, l’ipocrisia occidentale. Non vorremo mica fare una guerra ai Turchi! Non abbiamo eserciti, non abbiamo strumenti per contenere l’avanzata dei blindati turchi. Abbiamo solo chiacchiere. Con quelle non si ferma Erdogan e non si salva nessuno.

       Però, attenzione, l’Europa è preoccupata. Farà il blocco delle forniture di armi e relative licenze destinate alla Turchia. Quelle future, ovviamente, perché i contratti in corso vanno rispettati. Ciò che preoccupa l’Europa è lo scudo NATO, dietro al quale servili e serventi si sono trincerati tutti per più di mezzo secolo, perché gli Stati Uniti, con Trump, non sono più affidabili.

       Il nazional-populista Trump ha ragioni da vendere quando dice che all’America non gliene frega nulla di guerre o guerricciole in continenti diversi da quello americano. Le ha definite guerre “tribali”, dall’alto della sua civiltà americana. Lui, però, le armi le fornisce lo stesso, volentieri, anche all’Arabia Saudita, perché possa massacrare un po’ più di Yemeniti nella guerra “tribale” strisciante e per procura con l’Iran, fumo negli occhi del Presidente americano.

       Dice Erdogan, da buon manovratore delle cose del mondo: lasciatemi fare e non rompete, altrimenti vi mando due milioni di rifugiati siriani. L’Europa ha paura. Finora sono stati pagati sei miliardi di dollari perché Ankara trattenesse i rifugiati dentro le sue frontiere. Mercenario per fare il carceriere, statista illuminato per fare grande la Turchia. Roma, un tempo, pagava i Barbari perché stessero lontani dalle sue frontiere. Ora, se tutto va bene, il prezzo sale. Tanto, siamo ricchi. Paghiamo i Turchi per trattenere i Siriani, paghiamo i Libici per trattenere gli immigrati, paghiamo i terroristi perché rilascino i loro ostaggi. Paghiamo tutti, sottostando a qualunque richiesta.

       Può l’Europa sottostare a questo ricatto?  Potrebbe e, forse, lo farà pure. Ma l’altro corno del dilemma è: che fare della NATO e della sempre più evanescente e inaffidabile protezione militare americana?

       Nell’ipotesi di un conflitto europeo (un’altra guerricciola “tribale”), avremo solo l’imbarazzo di scegliere chi pagare, se non si decide (all’unanimità, per favore!) di pagare entrambi i contendenti purché ci lascino tranquilli e ci permettano di andare al bar. Se questa è la nostra politica estera, complimenti!

       Il probabile massacro dei Kurdi, vista l’esperienza antica di massacri fatta dai Turchi sui Greci dell’Anatolia e sugli Armeni in Cilicia, deve mettere in allarme. Non si può sottostare a un ricatto così mostruoso che coinvolge milioni di persone. Erdogan avrà pure le sue ragioni, ma sono molto personali. Vuole estirpare il focolaio kurdo vicino alle sue frontiere, vuole un pezzo di Siria, vuole essere il prepotente dominatore medio-orientale in concorrenza con l’Arabia Saudita. Vuole più spazio per restaurare l’influenza del defunto Impero ottomano. Dietro ci sono Russia e l’Iran. Quanto siano vicini a Erdogan è tutto da vedere.

       Poiché la Russia è il vero influencer della regione, traditi dagli Stati Uniti, i Kurdi si rivolgono a Putin e, forse, Putin metterà un freno alla Turchia. La Russia non vuole una Turchia troppo forte alle sue frontiere. L’ha combattuta per tre secoli e il passato, per chi ha storia, non si dimentica tanto facilmente. Solo gli Stati Uniti possono farlo, non hanno molto da dimenticare.

       Anche l’Europa ha una lunga, lunghissima storia. Non vogliamo guerre, ma non possiamo ammettere ricatti. Si vis pacem para bellum, dicevano i Romani. Se si cede una volta, si cede sempre. Il fallimento dei patti di Monaco, nel 1938, dovrebbe insegnare qualcosa.

       Un confuso balbettio sulle sanzioni eventuali da imporre ad Ankara non è un orientamento di politica estera. Ci vuole qualcosa di più, una voce sola per tutta l’Europa. Occorre una politica comune della difesa, con o senza l’apporto degli Stati Uniti. Senza politica estera e senza un esercito, l’Europa è solo un ricco mercante taglieggiato da delinquenti.

Roma, 14/10/2019