Gli Stati membri possono obbligare i motori di ricerca a rimuovere commenti e post ritenuti illeciti anche fuori della UE.

Sentenza del 3 ottobre 2019, nella causa C-18/18 – Eva Glawischnig-Piesczek vs. Facebook Ireland Limited.

Nuova sentenza della Corte di giustizia europea che segue (temporalmente) e va in direzione decisamente contraria ad un’altra recentissima decisione della stessa Corte la quale, con la Sentenza del 24 settembre 2019 su Google, aveva limitato l’applicazione del diritto all’oblio alla sola Unione europea.

Con questa nuova e rivoluzionaria Sentenza del 3 ottobre 2019 emessa nella causa C-18/18 – Eva Glawischnig-Piesczek vs. Facebook Ireland Limited, la Corte ha precisato che il diritto dell’Unione non osta a che a un prestatore di servizi di hosting, come Facebook, venga ingiunto di rimuovere commenti identici e, a certe condizioni, equivalenti a un commento precedentemente dichiarato illecito.

Il diritto dell’Unione – ha puntualizzato la Corte – non osta neppure a che tale ingiunzione produca effetti a livello mondiale, nell’ambito del diritto internazionale pertinente di cui spetta agli Stati membri tener conto.

IL FATTO

La sig.ra Eva Glawischnig Piesczek, ex deputata al Nationalrat (Camera dei rappresentanti del Parlamento austriaco), presidente del gruppo parlamentare “die Grünen” (i Verdi) e portavoce federale di tale partito politico, aveva citato Facebook Ireland dinanzi ai giudici austriaci, chiedendo che venisse ordinato al proprietario del servizio web di cancellare un commento pubblicato da un utente sullo stesso social network, lesivo del suo onore, nonché di altre affermazioni dal contenuto equivalente.

L’utente di Facebook citato aveva condiviso, sulla sua pagina personale, un articolo della rivista di informazione austriaca online oe24.at intitolato «I Verdi: a favore del mantenimento di un reddito minimo per i rifugiati», accompagnato da un commento redatto in termini che i giudici austriaci avevano dichiarato lesivi dell’onore della donna e tali da ingiuriarla e diffamarla. Il commento di cui trattasi poteva essere consultato da ogni utente di Facebook.

L’Oberster Gerichtshof (la Corte suprema austriaca) aveva chiesto alla Corte di giustizia di esprimersi sulla vicenda e rendere una interpretazione autentica della Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (“Direttiva sul commercio elettronico”).

L’ESAME DELLA DIRETTIVA 2000/31/CE

Secondo la citata direttiva, un prestatore di servizi di hosting, quale Facebook, non è responsabile delle informazioni memorizzate qualora non sia a conoscenza della loro illiceità o qualora agisca immediatamente per rimuoverle o per disabilitare l’accesso alle medesime non appena ne venga a conoscenza.

Corte di giustizia (foto da Wikipedia.com, Di Cédric Puisney, licenza CC BY 2.0)

Tale esonero da responsabilità non pregiudica tuttavia la possibilità di ingiungere al prestatore di servizi di hosting di porre fine ad una violazione o di impedire una violazione, in particolare cancellando le informazioni illecite o disabilitando l’accesso alle medesime. Per contro, la direttiva vieta di imporre a un prestatore di servizi di hosting di sorvegliare, in via generale, le informazioni da esso memorizzate o di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.

LA NUOVA SENTENZA DELLA CORTE EU (3 ottobre 2019)

Con la citata Sentenza 3 ottobre 2019, la Corte ha così risposto all’Oberster Gerichtshof:

«La direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»), in particolare il suo articolo 15, paragrafo 1, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a che un giudice di uno Stato membro possa:– ordinare a un prestatore di servizi di hosting di rimuovere le informazioni da esso memorizzate e il cui contenuto sia identico a quello di un’informazione precedentemente dichiarata illecita o di bloccare l’accesso alle medesime, qualunque sia l’autore della richiesta di memorizzazione di siffatte informazioni;– ordinare a un prestatore di servizi di hosting di rimuovere le informazioni da esso memorizzate e il cui contenuto sia equivalente a quello di un’informazione precedentemente dichiarata illecita o di bloccare l’accesso alle medesime, purché la sorveglianza e la ricerca delle informazioni oggetto di tale ingiunzione siano limitate a informazioni che veicolano un messaggio il cui contenuto rimane sostanzialmente invariato rispetto a quello che ha dato luogo all’accertamento d’illeceità e che contiene gli elementi specificati nell’ingiunzione e le differenze nella formulazione di tale contenuto equivalente rispetto a quella che caratterizza l’informazione precedentemente dichiarata illecita non siano tali da costringere il prestatore di servizi di hosting ad effettuare una valutazione autonoma di tale contenuto; e– ordinare a un prestatore di servizi di hosting di rimuovere le informazioni oggetto dell’ingiunzione o di bloccare l’accesso alle medesime a livello mondiale, nell’ambito del diritto internazionale pertinente».

 

 

IN CONCLUSIONE

La Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che i singoli Paesi europei possono imporre ai social network di cancellare o disabilitare l’accesso a contenuti illeciti. E che l’intervento può riguardare tutto il mondo.

 

Il rinvio pregiudiziale alla Corte UE consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di consultarla in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione.

 

La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.

 

Secondo i rappresentanti di Facebook, invece, la Corte «mina il consolidato principio secondo cui un Paese non ha il diritto di imporre le proprie leggi sulla libertà di parola ad un altro Paese».

 

(Foto in alto: The emblem of the Court of Justice of the European Union – da Wikipedia.com – Di Ssolbergj, and the authors of the source files – licenza CC BY-SA 3.0)

 

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