Un suicidio assistito / di Stelio W. Venceslai
La sconfitta giallo-rossa dopo le elezioni regionali in Umbria è chiarissima. Non ci sono tentativi di spiegazione balbettati o ambigui. La Lega ha sostanzialmente mantenuto le percentuali dei pronostici, Forza Italia si avvia all’estinzione, aumenta Fratelli d’Italia. Il centro-destra ha vinto superando di ben venti punti l’opposizione.
L’opposizione affanna e il suo governo agonizza. Ha un bel dire il Presidente Conte che non è successo nulla. In realtà, si sta rimettendo tutto in discussione. La truffa di un governo diviso su tutto pur di arrivare alla fine della legislazione mostra la corda. Siamo d’accordo: l’Umbria è una piccola regione, non è un test nazionale, è solo una sconfitta (bruciante), ma mette in crisi i faticosi equilibri interni al governo. Inutile nascondersi dietro a un dito.
Renzi, che è stato il fautore del voltafaccia, spingendo il PD ad allearsi con 5Stelle, dice che è necessario trovarsi un altro partner. Quale? Lo sa solo lui. Dovrebbe inventarselo, oppure spera con il suo nuovo raggruppamento, smozzicando parlamentari un po’ qua e un po’ là, di diventare l’asse del futuro? Mi sembra un po’ difficile. Intanto, è fuori gioco. Se ne va negli Stati Uniti a riflettere. Buon per lui e per il Paese.
Di Maio dice che, a questo punto, non si possono fare alleanze (raffazzonate) con il PD sul piano regionale perché, se continua così, il Movimento gli si liquefà tra le mani. Da un anno registra solo sconfitte, dissensi, perdite di consenso. La sua leadership è al tramonto, altro che piattaforma Rousseau! Non gli viene in mente che se sul piano regionale non conviene allearsi con il PD, a maggior ragione sul piano nazionale l’alleanza in corso può registrare una catastrofe. Tornare alle supposte ragioni ideali del Movimento (uno vale uno – onestà, onestà – la decrescita felice e altri similari sciocchezze), significa restringersi con uno sparuto gruppo di fedelissimi e null’altro, imbestialendo il PD che, almeno, queste sciocchezze non le pensa nemmeno.
Il PD naviga in bruttissime acque. La voglia di governare in queste condizioni, impallinati dalle votazioni che si susseguono, non è tale da poter continuare a lungo in questa farsa. Zingaretti è un brav’uomo, ma è tutto lì. Il partito regge, ma perde consensi. Fino a quando continuerà questo suicidio politico? La disaffezione degli elettori è fatale. La vera tragedia è che i problemi contingenti sono tali (v. Alitalia, Ilva e così via) che è già molto se si riesce a far fronte agli impegni istituzionali (v. manovra). Manca qualunque idea: solo chiacchiere e sparate elettoralistiche.
Ora, il governo e i vertici degli alleati di governo si susseguiranno. La manovra finanziaria è un rebus orale, perché sino ad ora non c’è nulla di scritto: solo polemiche, tasse, proclami. Il fumo che sale da Palazzo Chigi sa d’incendio, non è solo la nebbia dei cervelli.
In Emilia-Romagna si profila un’altra disfatta. Se PD e 5Stelle non faranno un’alleanza (che, a sentir loro, non dovrebbe più esser possibile), separati, saranno sconfitti. Non è roba da poco. Perdere la Regione sarebbe un colpo durissimo. Se si alleano, rischiano di perdere consensi e Regione, come in Umbria.
Tace, giustamente, il Presidente della Repubblica. Aspetta, e non può far altro. Questo governo l’ha inventato lui, costituzionalmente parlando, ma politicamente c’è una responsabilità crescente nel costatare che gli alleati sono divisi e perdono consensi. Come può reggere un governo che ha fino ad ora consensi in Parlamento mentre l’opposizione rischia di avere la maggioranza nel Paese?
In un Paese dove il rispetto delle regole è sempre molto discrezionale, i commentatori politici si dividono in due schiere.
Ci sono quelli che sostengono che finché c’è una maggioranza in Parlamento che sostiene il governo, questo è legittimo (anche se non stabile) e deve durare fino a quando tale maggioranza sussista. Se non è possibile farne un altro, allora il Presidente può sciogliere le Camere.
Altri, invece, ritengono che quando il Parlamento eletto, di fatto, non è più espressione della maggioranza del Paese, si debbano indire le elezioni per il suo rinnovo. La prima argomentazione è giuridicamente corretta, la seconda è ispirata solo dal buon senso. La questione è se una maggioranza “regionale” dell’opposizione (scusate il bisticcio di parole) sia espressione della volontà del Paese.
Indubbiamente, le elezioni regionali rappresentano una chiara indicazione politica, ma non sono l’espressione della nazione, almeno dal punto di vista formale. Quindi, ambedue le tesi sono legittime. Ce le sentiremo proporre con argomentazioni varie fino ad essere stucchevoli. Comunque, non è la prima volta, nella nostra storia costituzionale, che una legislatura s’interrompe prima del tempo. Non sarebbe una iattura.
Purtroppo, di là dalle questioni giuridico-costituzionali, il Paese vive in uno stato di fibrillazione permanente, con questa continua campagna elettorale.
Il centro-destra alimenta una campagna di contestazione legittima supponendo di avere i numeri, come parrebbe, per prevalere nell’ipotesi di elezioni nazionali. Ma non è detto che governerebbe meglio degli altri.
Le forze politiche che sono al governo hanno un duplice problema: da un canto, procedere nell’amministrazione dello Stato (la tirannia delle piccole scelte), il che non è facile, data la modestia culturale dei suoi membri e, dall’altro, impegnarsi per non perdere le prossime elezioni regionali. Una fatica terribile.
In mezzo c’è un Paese, l’Italia, in preda a difficoltà enormi, con un’economia in declino e problemi strutturali che sembrano insormontabili, con accanto cerusici che propongono placebo.
La voglia di cambiare è tanta, ma non nel senso che le attribuiscono i politici nostrani. Non si tratta di cambiare uomini noti con altre facce meno note. Il problema è cambiare un’intera classe dirigente che ha fallito per cultura insufficiente, preparazione inadeguata, incapacità decisionale, congenita sfrontatezza e pochezza d’idee. Non saranno certo le prossime elezioni regionali a risolvere questo problema strutturale la cui origine, forse, viene dal ’68. Il nostro, nel migliore dei casi, è un suicidio assistito.