Poiché queste sono cose serie e non facili, non ci si deve stupire se il MES e la sua riforma sono avvolti nel mistero e se la gente comune, la stampa e i politici non ci capiscono nulla. La vera questione che si dibatte in Italia è se il Governo ha compreso le implicazioni politiche delle varianti proposte e se di queste ha debitamente informato il Parlamento, essendone obbligato per legge.
(di Stelio W. Venceslai)
Molti amici mi hanno chiesto di chiarire cosa sia il MES e le ragioni dell’attuale profondo contrasto politico nel nostro Paese. Proverò a spiegare in termini semplici questo problema che, tecnicamente, è piuttosto complesso.
1 – Il MES (Meccanismo europeo di stabilità), nato in un momento di grave crisi finanziaria, è stato ricalcato sul modello del Fondo monetario internazionale (FMI). Il MES è stato introdotto con un Accordo intergovernativo fra alcuni Stati membri della Comunità (non ne fanno parte la Svezia, la Polonia, la Slovacchia, la Croazia, l’Ungheria e la Romania), e non prevede la presenza della Commissione europea. Si tratta di un accordo fra gli Stati per costituire un fondo comune di credito e l’Unione europea non c’entra. Però, poiché i firmatari dello SME fanno anche parte dell’Unione, la Comunità vi rientra, ma indirettamente (il Commissario agli Affari Economici e Finanziari e il Presidente della Banca europea, come osservatori).
Il MES è un’organizzazione internazionale con i privilegi e le immunità previsti in questo caso, ha sede a Lussemburgo ed è diretto da un Consiglio dei Governatori (i Ministri finanziari dei Paesi membri) e da un Consiglio di amministrazione nominato dai Governatori. Il diritto di voto è in funzione dell’ammontare delle quote versate.
La costituzione del MES ha dato l’impressione di una maggiore stabilità del mercato europeo e sino ad ora il Fondo è intervenuto in favore dell’Irlanda, del Portogallo e della Grecia.
L’Italia è membro del MES fin dalla sua costituzione (2011) ed è il suo terzo contributore.
2 .- Come funziona il MES?
Ogni Stato membro versa annualmente il suo contributo al Fondo che potrà essere utilizzato per intervenire ricapitalizzando Stati e banche in difficoltà. In pratica, può concedere crediti, sempre che lo Stato o la banca oggetto dell’intervento siano in grado di pagarne il costo e rispettino le condizioni richieste per l’accesso al credito. D’altro canto, se sono un giocatore che ha perduto tutto alla roulette, nessuno mi farebbe credito se non m’impegnassi a cambiare vita e a pagare gli interessi del prestito.
Poiché qui si tratta di Stati e di banche e non di giocatori incalliti, questo significa un certo controllo da parte dello SME sui loro bilanci. Che poi questo controllo sia assoluto o relativo dipenderà dalle condizioni economiche del Paese.
Il MES, in realtà, come soggetto di diritto internazionale, esercita un’attività bancaria avvalendosi dello statuto e delle garanzie di un soggetto sovrano e può rifinanziare singoli Stati o singoli sistemi bancari, però sotto “stretta condizionalità”. Questo pone un problema politico rilevante, per effetto dell’adozione di meccanismi tipici del diritto commerciale e bancario nella regolazione dei rapporti fra gli Stati. In tal modo verrebbe a integrarsi con la Banca Europea come prestatore di ultima istanza, funzione esclusa alla BCE.
3 – Ora, si sta quasi alla fine di un processo di revisione dell’Accordo MES, anche in base ad una Dichiarazione congiunta franco-tedesca del giugno 2018 (la Germania è particolarmente interessata a questa revisione perché ha sulle spalle l’esposizione della Deutsche Bank sul mercato dei derivati, pari a venti volte il Pil tedesco).
Poiché queste sono cose serie e non facili, non ci si deve stupire se il MES e la sua riforma sono avvolti nel mistero e se la gente comune, la stampa e i politici non ci capiscono nulla. La vera questione che si dibatte in Italia è se il Governo ha compreso le implicazioni politiche delle varianti proposte e se di queste ha debitamente informato il Parlamento, essendone obbligato per legge.
Il Governo dice di sì, l’opposizione dice che no.
Il MES e i suoi funzionari sono immuni da ogni giurisdizione. Non possono essere oggetto di perquisizioni, ispezioni o altro da chicchessia e i documenti sono secretati. Gli organi di vertice non sono perseguibili per gli atti svolti nell’esercizio delle loro funzioni. I Governatori (i Ministri economici degli Stati membri) sono tenuti al segreto professionale nel momento in cui operano all’interno del MES, tanto durante quanto dopo l’esercizio delle loro funzioni, secondo l’art. 34 del MES. Quello che può essere normale nel caso di una banca, non è accettabile se un Ministro dell’economia è tenuto al segreto con il proprio Governo e con il proprio Parlamento, creando un vulnus non da poco nell’equilibrio dei poteri istituzionali.
4 – La riforma del MES prevede di condizionare il finanziamento a una ristrutturazione preventiva del debito e l’inclusione di clausole per azioni collettive nelle emissioni di debito pubblico dal 2022 in poi, costruite per facilitare le operazioni di ristrutturazione del debito.
L’Italia ha un debito pubblico fra i più alti al mondo e circa il 70% di questo debito è nelle mani delle banche italiane. Se in Italia lo spread salisse in modo da precluderci l’accesso al finanziamento dei mercati e si fosse costretti a un intervento del MES, sarebbe il MES, e non più la Commissione europea, a decidere in base a criteri automatici (e non politici) sull’opportunità di una ristrutturazione del debito pubblico, a fissarne le condizioni (le politiche economiche restrittive da adottare) e a determinare il contenuto di questa ristrutturazione.
Valutando la nostra situazione in funzione dello spread, la ristrutturazione del debito andrebbe a gravare sui bilanci delle banche con effetti disastrosi sui risparmiatori. A pagarne le spese sarebbero tutti i correntisti italiani.
Non a caso il Governatore della Banca d’Italia ha messo sull’avviso una politica distratta da cose molto meno serie e che ora vorrebbe ricorrere ai ripari.
A questo punto, le possibilità vere in sede di trattativa sono solo due: o riformulare il testo dell’Accordo (cosa piuttosto improbabile e tardiva), oppure il nostro dissenso non farebbe altro che evidenziare la fragilità del sistema economico e bancario italiano e il timore di esserne vittima, con indubbi riflessi negativi nel mondo finanziario internazionale. Un bel problema.