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Una squinzia e due cretini. IL DIFFICILE VIVERE DELLA SOMALIA(di Stelio W. Venceslai)
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Una squinzia e due cretini. IL DIFFICILE VIVERE DELLA SOMALIA
(di Stelio W. Venceslai)
Si sono anche specializzati nel contrabbando dell’avorio. La Elephant Action League, nel 2013, aveva denunciato che gli al-Shabab avevano ammazzato fino a 30.000 elefanti e 60 guardie forestali, soprattutto al confine con il Kenya, pagando ai bracconieri un massimo di 100 dollari al chilo per l’avorio delle zanne segate agli animali, e rivendendole a commercianti cinesi senza scrupoli per 3.000 dollari al chilo, con un margine enorme, sufficiente a garantire incessanti acquisti di armi e munizioni.
Devo confessarlo: ho avuto un fremito d’orgoglio quando ho visto scendere dal Falcon dell’aeronautica militare italiana a Ciampino la nostra Silvia Romano, la giovane cooperante rapita e trattenuta per diciotto mesi nelle mani degli al-Shabab somali.
Mi sono detto: siamo un grande Paese, avremo mille torti, mille difficoltà, ma quanto a spendere soldi ed energie per salvare un nostro connazionale all’estero, siamo capaci di tutto. Questo è il bello della nostra politica estera: non facciamo guerre, aiutiamo tutti, siamo un Paese protettore (non pensate male se uso questa parola).
La Somalia, si sa, è un Paese turisticamente un po’ difficile, nonostante le sue belle spiagge rosse, il mare azzurro e la boscaglia verde, dietro. Diciamo che, da circa vent’anni, c’è un po’ di confusione. D’altro canto, è un’ex colonia italiana e certi vizi li abbiamo esportati noi, ai tempi di Craxi e di Siad Barre, così come certi piaceri li abbiamo scoperti lì.
Qualcuno ci ha lasciato la pelle, giornalisti della RaiTv. Li abbiamo pianti, abbiamo fatto inutili processi, nessuno sa niente. Gli Americani ci hanno pure lasciato qualche morto, nell’ingenua speranza che il sole, in Somalia, fosse meno torrido che in Florida. Ma è lo stesso un Paese meraviglioso. Per descriverlo, basta una parola: “somalizzazione”, termine usato per indicare un Paese sconvolto, dove l’unica legge è quella bazooka.
L’unico che non ha capito nulla è stato il presidente Donald Trump, che decise di estendere l’uso dei droni armati in Somalia, firmando il 30 marzo 2017, appena due mesi dopo l’inizio del suo mandato, un ordine operativo che designava tutta la Somalia meridionale come “zona di ostilità attiva”, consentendo raid aerei e incursioni di commandos anche in zone del Paese non considerate in precedenza di guerra aperta.
Ma la Somalia è un Paese aperto a tutti: ci sono Etiopi, Ugandesi, Kenyoti, Americani, Italiani, Svedesi, Turchi. Tutti armati fino ai denti, che cercano di formare un esercito somalo in grado di combattere gli al-Shabab.
Ma chi sono questi gentiluomini? Un movimento sorto nel 2006, dopo la scomparsa delle Corti islamiche che avevano terrorizzato il Paese, legato ad al-Qaeda, che qui in Somalia rialza la testa dopo le crescenti sconfitte del Califfato islamico, di cui è la diretta concorrente sul mercato del terrorismo internazionale.
Al Shabab è nato come braccio armato delle famigerate Corti islamiche per raggiungere il controllo dello Stato in base dei principi dell’Islam salafita jihadista da loro adottati. Attacca gli avamposti dell’esercito, i simboli e le istituzioni degli Stati, la popolazione e le comunità civili.
È in guerra contro l’Occidente e contro i suoi nemici regionali, l’Etiopia e il Kenya, che negli anni hanno invaso il territorio somalo e sono stati percepiti come un nemico da combattere.
Non sono soltanto guerriglieri islamici, fanno traffico d’armi, di droga, di schiavi e di donne, medicinali contraffatti e sostanze sintetiche, tanto per guadagnare qualcosa. La Somalia, si sa, non è un territorio ricco di suo.
Si sono anche specializzati nel contrabbando dell’avorio. La Elephant ActionLeague, nel 2013, aveva denunciato che gli al-Shabab avevano ammazzato fino a 30.000 elefanti e 60 guardie forestali, soprattutto al confine con il Kenya, pagando ai bracconieri un massimo di 100 dollari al chilo per l’avorio delle zanne segate agli animali, e rivendendole a commercianti cinesi senza scrupoli per 3.000 dollari al chilo, con un margine enorme, sufficiente a garantire incessanti acquisti di armi e munizioni.
Ma bisogna capirli: a che servono gli elefanti?
In questo contesto così complicato è finita la squinzia di cui sopra, una cooperante milanese di venticinque anni, in cerca di esotismo, tra Malindi e Nairobi, laureata appena un anno fa in una scuola per “mediatori linguistici” (?) per la sicurezza e la difesa sociale, con una tesi sulla tratta di esseri umani.
No, non era stata rapita, non è stata neppure violentata. Anzi, è stata trattata benissimo e nel suo isolamento ha potuto riflettere e convertirsi all’Islam, leggendo il Corano. Ha cambiato pure nome, ma non si è sposata. Meno male, sarebbe stata una decisione affrettata. Adesso si chiama Aisha. Dovrà andare all’anagrafe.
Bene. Questa faccenda ci è costata, pare, non si sa bene, se quattro o dieci milioni di euro in beneficenza (ad al-Shabab), ha smosso i servizi d’intelligence d’Italia e Turchia e un aereo a reazione militare italiano. Come al solito, paghiamo tutti i delinquenti. I lavoratori in cassa integrazione no. Quelli non sono volontari cooperanti all’estero. Lavorano in Italia. Adesso non lavorano e aspettano soldi che non arrivano, quindi, non contano nulla.
Perché non chiedere all’associazione di volontariato che l’ha mandata in Africa di rimborsare lo Stato italiano?
Ad accoglierla c’erano il Presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri, due personaggi impagabili. Che incontro! Mancava solo il Presidente della Repubblica con i suoi corazzieri. Un peccato; alla sua età, forse troppe emozioni.
Ha detto che vuole tornare in Africa a continuare la sua missione. Mandiamocela e non riprendiamola più.