Il marito di Dina Dore in tv: “Sono innocente, il killer a piede libero”
Francesco Rocca a Storie Maledette: “Voglio la revisione, mia moglie non ha ancora avuto giustizia”
Compare in tv. Ed è la prima volta che rilascia un’intervista. Si descrive come vittima di un errore giudiziario, annuncia la richiesta di revisione del processo, chiede giustizia per la moglie Dina Dore, parla della figlia che oggi ha 12 anni e gli scrive, indica centinaia di testimoni falsi e consulenti incapaci di tradurre dal sardo.
Ribadisce di continuo la sua innocenza, dice pure che non avrebbe mai lasciato la moglie per l’amante: almeno nella prima fase era solo un’avventura «scopereccia». Quanto al supertestimone lo bolla come mentitore e si mostra dispiaciuto per il ragazzo condannato a 16 anni: obbedendo alle sue richieste avrebbe ammazzato la moglie.
Nella biblioteca della casa di reclusione di Alghero, dove sconta l’ergastolo, Francesco Rocca siede di fronte a Franca Leosini che con il delitto di Gavoi apre la nuova serie di “Storie maledette”, la fortunata trasmissione di Raitre sui casi più terribili di cronaca nera. Alla sua sinistra una pila di carte processuali che non consulta, davanti a sé un quaderno aperto dove ogni tanto scrive qualcosa, gli occhiali da lettura appesi a una catenella che non inforca mai.
“Quello scotch che sigilla un mistero” è il titolo della prima puntata: il riferimento è al modo terribile in cui è stata uccisa Dina Dore, la sera del 26 marzo 2008 nel garage della sua abitazione, in via Sant’Antioco, a Gavoi, davanti alla figlioletta di otto mesi. Un nastro per pacchi avvolto dalla punta dei capelli al mento le ha tolto il respiro fino a farla morire. Poi l’hanno presa, l’hanno sistemata del bagagliaio della sua Fiat Punto dopo aver appoggiato il seggiolino con la bambina per terra. Probabilmente volevano scappare con l’auto della vittima ma qualcosa è andato storto e l’hanno lasciata lì per dileguarsi a piedi.
Non a caso per quasi cinque anni gli inquirenti hanno indagato su un sequestro finito male ma Rocca nega di aver portato gli inquirenti su quella falsa pista. «Io non so che cosa sia successo, non lo sapevo allora e non lo so oggi. Chi fa scattare il piano antisequestri sono gli inquirenti, non sono io. A me è stato chiesto di acquisire informazioni in merito e io sono stato molto collaborativo».
La giornalista conosce gli atti del processo alla perfezione e incalza Rocca con domande pertinenti su quasi tutti i passaggi cruciali della vicenda giudiziaria. E Rocca risponde ma non a tutto. Arriva a sollevare il tono della voce quando si tratta di indicare quelle che definisce le menzogne del supertestimone: Stefano Lai è il ragazzo che ha dichiarato di aver ricevuto le confidenze di Pierpaolo Contu, il diciassettenne condannato a 16 anni come esecutore materiale del delitto. Avrebbe ucciso su mandato di Rocca dietro la promessa di un sacco di soldi e dopo avrebbe detto all’amico: «Ci ho preso gusto, lo rifarei».
Ma davanti alle intercettazioni con l’amante Anna Guiso («Qualcuno un giorno ti dirà che cosa ho fatto per te», «Mi dispiace per la fine che ha fatto ma è stata una liberazione, ha avuto la fine che si meritava») abbassa lo sguardo e ammette che si tratta di frasi brutte: le giustifica col fatto che voleva trattenere l’amante nel momento in cui voleva lasciarlo. «Volevo solo farle sapere che non era meno importante di Dina».
Quanto ai messaggi scambiati con la moglie pochi giorni prima dell’omicidio («Sto bruciando una scrofa, la prossima volta prendo te») si infuria con gli «scienziati che non sanno tradurre dal sardo».
La conduttrice si sofferma a lungo sulla relazione extraconiugale di Francesco Rocca, «sciupafemmine, farabutto fedifrago» ma il dentista di Gavoi non si scompone: «Hanno voluto costruire un mostro. La mia coscienza allora come oggi cerca la verità vera», dunque diversa da quella sancita da due processi chiusi da sentenze definitive di condanna.
«Hanno arrestato due innocenti», ha la voce rotta dal pianto il vedovo di Dina Dore, «Pierpaolo ha avuto l’unica colpa di essere venuto a caccia con me e di essere amico mio. Adesso è qui in carcere con me, ci vediamo». Non ha ricordi precisi sulla sera del delitto, però dice di non essere tanto «sicuro che la volessero prendere, o forse sì e lei ha riconosciuto qualcuno e allora l’hanno uccisa, o forse volevano entrare in casa e Dina li ha visti, non lo so».
Sta cercando elementi per ottenere la revisione del processo Rocca che a un certo punto annuncia: «L’anno prossimo avrò diritto anche ai permessi premio». Per tutta la durata della lunga intervista, quasi due ore interrotte da pochi break pubblicitari, parla sempre di “loro”: gli inquirenti. «Avevano la necessità e l’urgenza di arrivare alla soluzione del caso. Non sono persone oneste, corrette, obbiettive e capaci».
Leosini prende le distanze, come fa tutte le volte che Rocca lancia accuse con nomi e cognomi ma il finale svolta sul campo sentimentale. «Io ho fatto tre battaglie e le ho perse», dice Rocca riferendosi ai tre gradi di giudizio che lo hanno sempre visto colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio, «ma la battaglia è ancora lunga. E non lo dico per me ma per Dina che non ha avuto giustizia». Parla anche della figlia, su precisa richiesta della conduttrice: Rocca quasi si commuove nel ricordare le lettere che la figlia, oggi dodicenne, gli scrive e che arrivano con mesi di ritardo. «Questo è molto triste. Mia figlia crede nella mia innocenza e non vede l’ora di compiere 14 anni per decidere di venire a trovarmi. Per me mia figlia è tutto».
Parole così diverse queste da quelle registrate nelle conversazioni con l’amante: la protagonista era proprio la bambina, e non erano certo belle frasi, anzi. E forse per questo a quelle intercettazioni ieri sera non è stato fatto neanche il minimo accenno.
«Mia figlia è in mani insicure»: Franca Leosini a questo punto si irrigidisce sulla sedia, forse pensando a Graziella Dore, la sorella di Dina che così amorevolmente da anni si occupa con tutta la sua famiglia della nipotina rimasta di fatto senza madre e senza padre. Rocca capisce e subito spiega: «È in mani insicure perché è ancora in giro chi ha ucciso la madre e nessuno lo cerca». Pensa al Dna ritrovato sullo scotch che ha ucciso Dina che non è stato mai attribuito a nessuno: «È del killer, devono scoprire chi è».
Fonte: di Maria Francesca Chiappe/ Unione Sarda on line