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Roberta Bruzzone, l’intervista: in uscita il libro Dieci favole da incubo
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Roberta Bruzzone, l’intervista: in uscita il libro Dieci favole da incubo
Roberta Bruzzone intervistata da MMI, si racconta: la prima moto, gli studi, il suo nuovo libro. Le sue considerazioni sui casi Valsassina e Pesci
47 anni oggi, primo luglio, per Roberta Bruzzone, criminologa e psicologa forense di origini liguri, tra le più accreditate nei casi di cronaca giudiziaria. Dal delitto di Erba nel 2006 a quello di Avetrana nel 2010, dal caso di Meredith Kercher nel 2007 al più recente di Elisa Pomarelli. Omicidi truculenti, quelli per i quali viene richiesta la sua consulenza, e tanti casi di violenza di genere, per il cui contrasto è impegnata da anni attraverso la divulgazione sui mass media, le interviste e anche la recente pubblicazione di un libro, Io non ci sto più edito da De Agostini nel 2018 e dedicato alle vittime dei cosiddetti “manipolatori affettivi”.
Nominata nel 2012 ambasciatrice nel mondo dell’associazione Telefono Rosa, il suo impegno è stato riconosciuto nell’agosto del 2014 con il Premio Filottete mentre l’anno successivo è stata la volta del Pericle d’oro per le sue competenze in ambito investigativo e la sua formazione specialistica in scienze forensi e criminologia investigativa. Molto presente anche sui media, in programmi televisivi come Porta a Porta con Bruno Vespa, dove è ospite fissa nelle puntate dedicate alla cronaca nera.
I suoi libri più conosciuti: Chi è l’assassino? (ed Mondadori, 2012), Segreti di famiglia, sul delitto Sarah Scazzi, scritto con Giuseppe Centonze e Filomena Cavallaro (Aracne editore, 2013), Delitti allo specchio. I casi di Perugia e Garlasco a confronto oltre ogni ragionevole dubbio, scritto a quattro mani insieme a Valentina Magrin (2016, ed. Feltrinelli).
Andiamo a conoscere un po’ più da vicino questo personaggio, poi, nella seconda parte, approfondiamo con lei alcuni aspetti del caso giudiziario Pesci e il recente delitto della Valsassina.
Partiamo dall’inizio. Quando ha deciso che sarebbe diventata una criminologa, c’è stato un avvenimento particolare, un libro che ha letto e che l’ha colpita?
“No, e devo dire che non è stata una scelta nemmeno tanto graduale. A 7 anni pensavo già che in futuro mi sarei dedicata a questo tipo di lavoro. Lo sapevo, chiaramente, non a livello razionale, ma nell’ambito del gioco ero attratta dall’indagine, dal voler capire a fondo come funzionano le cose. Ho frequentato il liceo scientifico, poi mi sono iscritta all’Università degli Studi di Torino dove mi sono laureata in Psicologia clinica con una tesi in ambito criminologico.
Il professor Guglielmo Gulotta, che mi seguiva in ateneo, è stato un punto di riferimento importante. Proprio lui, il giorno della discussione della tesi mi chiese che tipo di professione avrei voluto intraprendere. Io ho risposto che mi sarebbe piaciuto specializzarmi in criminologia e poter svolgere indagini sulla scena del crimine. Lui allora mi ha detto che in Italia questo tipo di indagine non era ancora molto sviluppata anche se c’era stato qualche tentativo. Io ho risposto che quello che era difficile per gli altri non era detto lo fosse anche per me e i fatti, alla fine, mi hanno dato ragione”.
Negli Stati Uniti, infatti, lei ha ottenuto le certificazioni di Bloodstain Pattern Analyst rilasciata dal Miami Dade Police Department e di Bloodstain Pattern Analysis Crime Scene Documentation, rilasciata dalla Bevel, Gardner and Associates e dal Criminal Investigation Training Center di Youngsville.
La sua passione per i motori invece, è nata anche questa, in modo spontaneo?
“E’ stato mio padre a trasmettermela. Lui non ha mai guidato moto, faceva i Go kart e mi ha ‘contagiato’ con il suo entusiasmo. Io ci sono salita su per la prima volta a 8 anni. Mia madre era terrorizzata ogni volta (sorride). La mia prima moto è stata una Fantik 125 nel 1985, mentre adesso ho una Harley Davidson Fat Boy 114, gran bel motore”.
Il prossimo libro: Dieci favole da incubo più una, edito da De Agostini, sui pregiudizi sessisti
Qualche anticipazione sui progetti futuri?
“Guardi, ne ho tanti. Intanto due pubblicazioni, una delle quali per De Agostini in uscita a breve, dal titolo Dieci favole da incubo più una, che sto scrivendo insieme alla dottoressa Emanuela Valente. Partiamo dalle favole più conosciute quali Biancaneve, Cenerentola etc. per andare a smascherare quegli stereotipi sessisti di matrice patriarcale che sono ancora molto radicati nella nostra cultura. Tanto che continuano ad essere usati per fare le similitudini. Credo che a molti non piacerà e sarò contestata, ma la cosa non mi spaventa”.
Veniamo ora a un caso giudiziario che lei sta seguendo in questi giorni, il processo per violenza sessuale di cui è accusato l’imprenditore parmense Federico Pesci, insieme al pusher Wilson Ndu Aniyem, che ha già accettato il rito abbreviato ed è stato condannato a 5 anni e 8 mesi di carcere. Il caso, lo ricordiamo ai lettori, risale a due anni fa. La violenza sarebbe avvenuta all’interno del lussuoso attico di Pesci.
L’avvocato della difesa di Pesci, Fabio Anselmo, le ha chiesto consulenza. Lei ha accettato e dopo aver analizzato la documentazione, ha ritenuto di confermare la tesi di non attendibilità della ragazza, che è stata accolta dal Collegio dei Giudici del Tribunale di Parma. Ora è stata disposta una perizia psichiatrica sulla presunta vittima di cui si farà carico Giuseppina Paolillo, psichiatra e direttrice della Residenza Esecuzione Misure di Sicurezza di Parma. Vuole spiegarci come è arrivata a questa conclusione?
“Ritengo che si tratti di una personalità affetta da disturbo borderline. Proviene da un contesto disfunzionale, ha subito un abuso nella sua infanzia che ne ha compromesso l’equilibrio psichico. E’ una vittima, sicuramente, e come tale le si deve essere il massimo rispetto. Deve essere tutelata a prescindere, ma non è attendibile la sua accusa contro Pesci. Nel 2010, tredicenne, aveva già accusato di molestie, prima un compagno di classe, poi un vicino di casa. Le accuse furono archiviate perché risultate prive di fondamento dall’allora Pubblico Ministero Lucia Russo.
Da quanto si è potuto leggere nella relazione di allora fornita dalla psicologa Maria Beatrice Cassani emergeva già un quadro allarmante sulla salute psichica della ragazza. Altro punto: mancano gli indicatori di stress post traumatico che in caso di violenza ci sono e qui no. E’ come se qualcuno cadesse dal terzo piano di un palazzo senza farsi neanche un graffio. Altra cosa da considerare: Pesci non ha mai negato di praticare sesso estremo con le sue amanti. Intercettato con altre donne, non risulta essere mai stato violento e quando l’amante rifiutava le pratiche sadomaso (Bds), lui si fermava”.
Il dissenso al suo intervento nel caso Pesci
Non tutti erano d’accordo sul suo intervento nel caso Pesci, anche da parte di alcune associazioni per la tutela delle donne si è attirata delle critiche. E’ la prima volta che si trova a difendere un imputato di violenza sessuale?
“No, mi è già capitato. Ammetto che all’inizio sono stata recalcitrante, avevo seguito la vicenda ma non avevo voluto approfondire più di tanto. Poi però ho accettato e quando ho analizzato il caso, ho capito che qualcosa non quadrava. Non mi importa di quello che dicono le associazioni. Qui nessuno mette in dubbio che questa ragazza debba essere aiutata, ma non si può incolpare una persona di un crimine che non ha commesso. In tribunale, davanti ai giudici, siamo noi tecnici che ci mettiamo la faccia”.
Il delitto della Valsassina e il linguaggio della stampa
Veniamo al delitto della Valsasassina. Sulla stampa hanno fatto discutere alcuni titoli che parlavano di tragedia dei padri separati.
“Sì, si tratta di titoli fuorvianti e disonesti, oltre che ingiusti per la moglie che si trova a dover fare i conti anche con l’accusa subdola di essere la responsabile della tragedia familiare per aver voluto separarsi dal marito. Questo è un caso fortemente fuori standard. Un uomo problematico di cui forse solo la moglie aveva intuito qualcosa e forse per questo aveva deciso di allontanarsene. E’ prematuro adesso voler fare diagnosi, ma quasi sempre in omicidi efferati come questo, ci sono disturbi con tratti di narcisismo patologico-ossessivi”.
Il narcisismo patologico che caratteristiche ha?
“Il non accettare di mettere in discussione il proprio ruolo, l’ossessione per la propria immagine sociale e di status per difendere la quale si è disposti purtroppo anche a gesti estremi. Il fatto di avere sedato i ragazzi prima di ucciderli c’entra anche con questo aspetto. Vederli reagire, urlare, mentre li finiva, sarebbe stato inaccettabile per il suo ego. Non ha avuto il coraggio. Una persona vile, oltre che disumana”.
I narcisisti ossessivi non provano sentimenti ed emozioni, quindi, sono anaffettivi?
“Provano le emozioni e anche i sentimenti, ma solo quelli negativi. Piuttosto, mancano di empatia”.
In questo caso, secondo lei, ci potevano essere dei segnali di allarme?
“Difficile. Come ho detto prima, gli unici che possono intuire qualcosa sono i familiari, ma prevederne il comportamento, non credo. Mario Bressi è riuscito a mantenere il controllo fino alla fine, mostrandosi affidabile agli occhi della moglie, che probabilmente non sospettava nulla di quello che stava per fare”.