Mellini, il radicale delle battaglie per divorzio e garantismo: Il bavaglio in tv e poi la lite con Pannella. La scomparsa a 92 anni dopo una vita per i diritti

 

Avvocato, quindi garantista fino in fondo; radicale storico e perciò tendenzialmente libertario; borghese colto e di minoranza, senza pregiudizi; e infine anticlericale, quanto genuinamente lo si può essere a Roma, dove il potere temporale si avverte in mille ricordi e suggestioni perfino architettoniche.

Alla bella età di 93 anni se n’è andato Mauro Mellini. Era anche un signore affabile e gioviale; fino all’ultimo, si può dire, instancabile e curioso polemista, sempre attento alle storie buffe e ai particolari della vita: una figura d’altri tempi, si può dire con un sospiro, ma nemmeno troppo a disagio in questi ultimi che sui temi prediletti della giustizia parecchio gli hanno dato e anzi stanno continuando a dargli ragione.

Gli italiani ormai di una certa età sanno che a lui si deve molto riguardo al divorzio. Già segretario del Pr nel 1968, insieme con il gruppo storico dei nuovi radicali (Pannella, Bandinelli, Spadaccia, Strik Livers, Teodori), Mellini fu il fondatore, il presidente e la mente politica della Lid, Lega italiana per il divorzio, moderno gruppo di pressione che nel 1970 con un’inedita maggioranza antidemocristiana strappò al Parlamento la legge, poi difesa con successo nel referendum. Durante questa battaglia civile si procurò gli atti delle “sante nullità” pronunciate dal tribunale vaticano della Sacra Rota a beneficio di potenti democristiani anti-divorzisti, e li pubblicò fior da fiore in un delizioso piccolo saggio che quella pretestuosa intimità esprimeva in solenne e ridicolo latino.

Nella seconda metà degli anni 70, insieme ai primi quattro deputati radicali, a rigore di norme regolamentari e gusto di provocazione contribuì a terremotare Montecitorio e un po’ anche il sistema politico.

Ai lettori più moderni, avvezzi alle immagini, sarà utile sapere che Mellini comparve sempre con Pannella nella famosa scena del bavaglio in tv, inizio della politica spettacolo. Fu deputato, pure a rotazione, per quattro legislature, anche se faceva un po’ effetto vederlo in giacca e cravatta accompagnarsi a ex hippy e mattoidi di vario genere, omosessuali del Fuori, combattenti e reduci extraparlamentari, femministe in zoccoli e gonne peruane. Ma nel partito s’impegnò generosamente, fino a sostenere iniziative di autofinanziamento che lo videro ai fornelli, orgoglioso autore di certe notorie penne all’arrabbiata, autentiche bombe all’aglio che rendevano problematica la convivenza a via di Torre Argentina.

Quando Pannella, fine anni 80, varò la linea della trasversalità e poi della disseminazione in altri partiti, Mellini la prese malissimo: “Hai ucciso il partito!”; e fu lite terribile, amara e definitiva. Nel 1994 venne eletto membro laico del Csm. Ma senza mai smettere di scrivere sui mali e gli errori della giustizia, le forzature del pentitismo, gli spropositi di Mani Pulite, le assurdità dell’antimafia. Appassionato del sistema giudiziario pontificio e di Giuseppe Gioachino Belli, gli ha dedicato un altro bello studio di arcaica e civile attualità: “Ch’er giustizzià la ggente è da tiranno”.

 

 

 

Fonte:  di  FILIPPO CECCARELLI/ Radio Radicale