Battisti e il questurino Salvini

 Cesare Battisti, l’ex terrorista “rosso”, in carcere dopo una lunga latitanza tra portinerie parigine, Messico e Brasile, lamenta ora, laggiù in cella, il bisogno di un cibo adeguato al suo stato di salute. Richiesta umanissima. Propria di uno stato di diritto, qual è – si spera – il nostro. Sciocco ribadire che la pena non può corrispondere al ghigno della vendetta fuori dallo spioncino. Evidentemente, nonostante il transito di Beccaria nella storia del nostro diritto, non tutti hanno acquisito il dato della dignità.

Matteo Salvini, per esempio, per l’occasione mostra gli abiti del secondino di complemento. Su tutto, il dubbio che lo faccia per dare soddisfazione alla subcultura – intatta come bene rifugio nell’istinto belluino di molti nostri dirimpettai, talvolta perfino cognati – ma sì, diciamo pure “fascista”. Con chi non è abituato a sottilizzare, inutile ricorrere alle sfumature. “Cibo scarso, troppi fritti e grassi. Ho l’epatite e una prostatite,” così sembra che Battisti, attualmente nel carcere di Massama, in Sardegna, dove sconta due ergastoli per omicidi e rapine commessi negli anni della militanza fra i Proletari armati per il comunismo, abbia lamentato. Infatti, diversamente da altri detenuti, non può acquistare generi alimentari e ancor meno cucinarli in cella, in quanto sottoposto a un regime particolare in un carcere di massima sicurezza, dove è rinchiuso da gennaio 2019.

Alle sue spalle, riepiloghiamo, una latitanza quasi quarantennale, la fuga dal carcere di Frosinone, poi Francia, Messico, uno status di “rifugiato politico”, scrittore di “noir”, la solidarietà di molto ceto intellettuale internazionale, infine, nel 2018, la cattura e in breve tempo l’estradizione in Italia.

La questione del cibo negato dipenderebbe, insomma, da un dettaglio: il livello di “alta sorveglianza” cui l’uomo è sottoposto. Il suo difensore spiega infatti che “ci sarebbe dovuto rimanere per sei mesi, fino al luglio dello scorso anno. Invece questo regime di detenzione si è inspiegabilmente prolungato e va avanti ancora adesso, nonostante non sia supportato da alcuna sentenza né disposizione di legge”. La macchina burocratica si inceppa anche davanti alle celle, storia nota.

Le parole di Battisti sull’inadeguatezza del cibo, nel frattempo, hanno consegnato combustibile nero solido sia alla Lega sia a Fratelli d’Italia, le destre che fronteggiandosi giocano a mostrarsi l’una peggiore dell’altra. Così Salvini: “Taci e digiuna, assassino comunista”. Frase che sembra corrispondere alle iscrizioni da camere di sicurezza con tavolaccio da caserma, ossia quel “mutismo e rassegnazione” proprio dei caporali di giornata. E noi, pensa un po’, lo ritenevamo già Capitano!

Giorgia Meloni, calandosi nel fondo del barile di un prevedibile lessico non meno “fascista”, conferma: “Era abituato al caviale… È dura la vita degli assassini che pagano per i loro crimini”. Impliciti invisibili emoticon accompagnano la frase innalzando ora un dito medio ora un faccina-ghigno. Linguaggio feroce, tutto vero. Ciononostante, tornando al leghista, obiettivamente caricaturale, Salvini, in questo tristo caso, par di vederlo nei panni del carceriere guercio e coperto di stracci che appare nelle segrete ora de “L’isola del tesoro” ora de “Il Conte di Montecristo”, calco perfetto della maschera demagogica che le destre offrono all’immancabile risentimento plebeo. Tragicamente, in presenza di un simile linguaggio degradato, perfino il “coatto” Cesare Battisti assume spessore etico, sembra giganteggiare.

Intendiamoci, personalmente, in tempi non sospetti, ho scritto parole durissime proprio sull’allora fuggitivo Battisti, soffermandomi sulla sua protervia tracotante, sul tratto, appunto, da “coatto”, sulla sua faccia di. Conquistando insulti e perfino minacce da parte di un segmento di mondo che ancora adesso ritiene che il cosiddetto “partito armato” avesse ragioni palingenetiche per provarci e magari farcela. Ah, se solo fossimo riusciti a prendere il potere…, così era possibile leggere nei commenti, tra le righe.

Ho raccolto gli insulti degli ex brigatisti e dei loro nipotini che ancora adesso pensano agli zii e alle zie già armati con la deferenza che va riconosciuta ai titani. Colpevole di avere insultato “Cesare”. Dimenticavo: ho trovato apprezzabili i modi civili dei nostri poliziotti che hanno scortato Battisti dal Brasile di Bolsonaro fino a Ciampino, con Salvini, allora ministro degli Interni, a mostrarsi tronfio, la giacca a vento della Polizia addosso, accanto alla “preda” ormai nel sacco.

Negli ultimi mesi, più volte ho però ripensato all’ex terrorista-scrittore Cesare Battisti con gli occhi della compassione, perfino a dispetto della sua trascorsa tracotanza e della ottusa difesa d’ufficio dei suoi “amici” e “compagni”.

La pelle dell’orso sconfitto, inchiodata ormai al muro come un trofeo, merita rispetto, assai meno le parole da grevi questurini di Salvini e Meloni. Terribile essere condannati a mostrarsi, ma che dico, a essere migliori di chi vorrebbe governarci schiumando studiato livore.

Fonte: di Fulvio Abbate/  huffingtonpost.it, 13 luglio 2020