Tra il consulente della difesa e quello dell’accusa, quest’ultimo è per principio più credibile… secondo la Cassazione
Giancarlo Pittelli e Francesco Stilo, tutti e due avvocati, sono in carcere da oltre otto mesi. Ristretti in luoghi molto lontani da dove risiedono le loro famiglie, da dove si svolge il procedimento che li riguarda, che è anche il luogo ove di regola si trovano i difensori. Perciò non solo in carcere, ma anche posti in una drammatica difficoltà di ricevere anche un minimo di sostegno affettivo e di poter avere un ruolo nel preparare la propria difesa.
Come si giustifica tutto questo? Semplicemente con il fatto che pende la fumosa accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Esistono le esigenze cautelari e, cioè, le condizioni di concreto pericolo di alterazione delle prove o di reiterazione del fatto, che secondo la legge giustificano la custodia cautelare in carcere? A leggere i provvedimenti giudiziari sinora emessi consistono nel fatto che chi è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa è, per ciò stesso, pericoloso. Di fatto, non esistono. Diventa, allora, inevitabile chiedersi se la carcerazione preventiva non sia funzionale, in realtà, ad impedire un pieno esercizio del diritto di difesa.
Di fronte ad una così discutibile applicazione della legge occorre domandarsi se anche questa volta non ci si trovi di fronte al frutto avvelenato della mancata soluzione di due nodi fondamentali della giustizia: la responsabilità dei giudici e la separazione delle carriere. Per quello che concerne il primo aspetto, vale la pena ricordare che chi ha incontrato Giancarlo Pittelli in carcere ha incontrato un uomo distrutto, nello spirito e nel fisico. E la distruzione di un uomo è anche la distruzione della sua famiglia e del suo mondo professionale. E se è innocente, come oggi bisogna presumere a tenore di dettato costituzionale, chi risponderà mai del male fatto? Il potere di distruggere una persona e il piccolo mondo che intorno ad essa ruota può essere disgiunto da qualsiasi forma di responsabilità? Non è così per i medici, non è così per gli avvocati, non è così per qualsiasi persona. Può essere così solo per i magistrati?
Si dirà che, in questo caso, è intervenuto il vaglio di più magistrati, sino a quello della Suprema Corte. Ma qui interviene il carico di problemi che porta con sé il secondo dei nodi irrisolti, quello della separazione delle carriere. Vi è una recente sentenza della Cassazione che meglio di ogni altro argomento esprime l’atmosfera determinata dalla mancata separazione delle carriere: tra il consulente della difesa e quello dell’accusa, quest’ultimo è per principio più credibile (cass. 16458/2020). Una palese assurdità, che, siccome detta dal supremo organo di giustizia, certifica quanto sia urgente intervenire su questo punto.
Da ultimo, non si deve tacere la brutta sensazione che Giancarlo Pittelli e Francesco Stilo subiscano questo trattamento perché avvocati. Se fosse così, il significato sarebbe “attenti a chi difendete”! E quelli che sono con la bocca sempre piena della parola antifascismo perché stanno zitti?
Fonte: di Astolfo Di Amato/ Il Riformista, 6 settembre 2020