Napoli. “Il mega-carcere di Nola: progetto insostenibile”
Intervista a Domenico Alessandro De Rossi, architetto. Si torna a parlare del carcere di Nola: si farà e quando? Ancora difficile trovare delle risposte. Ogni tanto riemerge in qualche discussione ma dal Dap ci dicono che dovrebbero essere ancora in fase di svolgimento le indagini geologiche sull’area e di progettazione preliminare. Il progetto però risale al bando ministeriale del 2017, elaborato dagli uffici tecnici del Dap, frutto del lavoro scaturito da quanto pensato e stabilito dai tecnici del Tavolo n. 1 degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale “Spazio della pena: Architettura e Carcere” nel 2015.
“Tuttavia quel progetto ministeriale è in netta contraddizione con le conclusioni degli Stati Generali e mal pensato dal punto di vista della territorialità, della capienza e sostanzialmente architettonico” ci dice l’architetto Domenico Alessandro De Rossi, cofondatore e vice presidente del Centro Europeo Studi Penitenziari, curatore di due libri “L’universo della detenzione” del 2011 e “Non solo carcere”, del 2016 (Mursia ed.).
Architetto cosa critica di quel progetto?
Il principale e più grave sbaglio che determina poi a cascata ulteriori errori e problemi è dato dalla insostenibilità del gigantesco impianto che prevede ben oltre 1500 reclusi. La cultura più aggiornata e sperimentata oggi vede la capienza sostenibile dal punto di vista tecnico e gestionale intorno ai 300, 350 detenuti al massimo. La ormai consolidata carenza di integrazione politica, culturale e tecnica tra le diverse competenze destinate alla pianificazione del futuro della detenzione viene ancora in questo Paese a concepire mega impianti carcerari fuori scala, fuori misura, totalmente fuori da una concezione sistemica della detenzione come occasione di recupero del condannato, della sua integrazione e riqualificazione. Tra gli immani problemi di “sistema” che si presenteranno, qualora fosse portato ancora ottusamente avanti il programma, pensiamo solo alle migliaia di persone in visita ai detenuti, al personale della Polizia penitenziaria, agli addetti alla formazione, al personale tecnico e amministrativo. Anche dal punto di vista dei trasporti occorrerebbe una efficienza che non abbiamo in quelle aree né su ferro, né su gomma. Ultimo argomento, ma non meno importante, è quello riguardante il distanziamento fisico tra le persone detenute e circolanti a vario titolo nel carcere in presenza del Coronavirus.
Quali altri problemi rileva?
Sembrerebbe che il sottosuolo, come per altre parti del territorio in quella regione, sia inquinato da rifiuti tossici.
I progettisti, tenendo conto della prospettiva interna e dell’oppressione dei muri di cinta delle carceri tradizionali, vantano di aver pensato ad un carcere senza muri perimetrali.
Si tratta di una scelta stigmatizzata da molti e con vari argomenti, anche in occasione del dibattito tenutosi nel marzo 2017 all’Università degli Studi di Roma Tre. Alla presenza, tra gli altri, dell’allora Sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri emerse una aspra critica verso questa scriteriata scelta proprio avvalendosi di un mio articolo pubblicato su Polizia Penitenziaria. Da allora di Nola e del suo mostruoso carcere non se ne parlò più. Pochi giorni fa però è tornato a parlare bene del mega carcere l’architetto Luca Zevi, già coordinatore del tavolo n. 1 degli Stati Generali. Col tempo ha cambiato idea sul progetto e oggi sembrerebbe che coordini i lavori affidatigli dal Dap.
Quale sarebbe per lei il modello di carcere perfetto?
Il carcere perfetto è un ossimoro e l’architettura per quanto possa fare miracoli non può rendere accettabile ciò che in partenza è pensato male o voluto peggio. Ciò che occorre è ripensare l’esecuzione penale in tutt’altro modo dalla consuetudine nella quale il nostro Paese è immerso. Politiche contraddittorie, competenze settoriali, spoils system (quel perverso meccanismo in cui i dirigenti o i consulenti ricoprono il loro mandato finché rimane in carica il dirigente politico che li ha nominati) contrapposto al merit system, da sempre a parole auspicato ma raramente in Italia praticato. In Europa ci sono carceri ben fatti e che funzionano. Per paradosso, basterebbe copiare. Comunque studiare.
Fonte: di Valentina Stella/ Il Dubbio, 16 settembre 2020