È ormai trascorsa una settimana, dall’assoluzione, in Appello, dell’ex parlamentare Nicola Cosentino, condannato in primo grado a cinque anni e mezzo di carcere, nell’ambito del processo “Il Principe e la scheda ballerina”. Di questa assoluzione (e quello che comporta e significa) quasi tutti se ne sono bellamente “liberati”, con una scrollata di spalle. Dimenticate le paginate a suo tempo dedicate alla vicenda, senza neppure l’avvertenza di un cautelativo punto interrogativo. Capofila l’Espresso.
Nell’ottobre del 2008 scrive di una “rete dove affari e politica si confondono, con l’ombra dominante della mafia campana”. E ancora: l’Espresso rivelò come nasceva il potere di Cosentino con una copertina dell’ottobre 2008. Titolo inequivocabile: “La camorra nel governo”.
Tra i commentatori più implacabili, il carissimo Roberto Saviano, che il 25 marzo 2013, tra l’altro, scrive: “Nella distorta visione della mia terra, il carcere non è percepito solo come una vergogna. È uno svantaggio, una tragedia, a volte un’ingiustizia, un ostacolo su cui però inciampa chi si relaziona al potere. Su cui inciampano le persone ambiziose… Sono nato e cresciuto dove molti considerano il carcere un’accademia, un luogo di “formazione”, una prova che solo gli “uomini” possono sostenere. Se non sei capace di affrontare il carcere non sarai mai un uomo di responsabilità, un uomo di potere. Non inciderai mai sulle cose… Cosentino, costituendosi e non aspettando l’arresto, intende dimostrare di essere il più forte dei diadochi berlusconiani, più forte di Berlusconi stesso”.
Poi arriva l’assoluzione. Saviano questa volta non commenta. Neppure un rigo su l’Espresso, poco o nulla gli altri. Nel dispositivo della sentenza che cancella la condanna di Cosentino si legge: “Assolto per non aver commesso il fatto”. Non per non essere riusciti a provare la colpevolezza; perché gli avvocati siano stati così bravi da trovare chissà quale diavoleria giuridica; per prescrizione. Per “non aver commesso il fatto”.
A parte il comportamento di stampa e commentatori, c’è la politica. Politica politicante, ma pur sempre politica. Occorre fare un passo indietro, al 16 gennaio del 2012. Soccorre una dichiarazione di voto, resa dall’allora deputato del Partito Radicale Maurizio Turco, membro della Giunta per le Autorizzazioni a procedere. Conviene, almeno ora, leggerla con attenzione: “Il contesto ed il testo nel quale maturano le accuse rivolte al collega Cosentino fanno riferimento all’esistenza, storicamente accertata e giudiziariamente cristallizzata, del gruppo camorristico denominato “clan dei Casalesi. La natura, la struttura, i protagonisti e le dinamiche del “clan dei Casalesi” sono state approfonditamente delineate nelle sentenze conclusive e definitive dei processi denominati Spartacus 1 e Spartacus 2, oltreché nel saggio “Gomorra”.
Sia le citate sentenze, sia il noto saggio, prendono in esame ed approfondiscono un lungo arco temporale di vita dell’associazione criminale di Casal di Principe, paese nel quale è nato ed ha lungamente vissuto l’on. Cosentino. Ciò nonostante e sino al 2005, cioè sino a quando l’on. Cosentino non ha ricoperto un ruolo politico di livello nazionale, le strade del clan dei Casalesi e dell’on. Cosentino non si sono mai, neppure per sbaglio, incrociate.
Nessuna traccia nei procedimenti e nei saggi. Oggi l’on. Cosentino viene accusato di condotte che non hanno, in sé, a alcun rilievo penale e delle quali l’on. Cosentino ha fornito ampia ed esaustiva spiegazione nelle memorie depositate presso questa commissione. Ritengo pertanto che la richiesta di esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del collega sia infondata e frutto di un obiettivo fumus persecutionis.
Il Partito Radicale, quindi, vota contro l’autorizzazione richiesta. Perché, spiega Turco, “sulla base della documentazione prodotta alla Giunta, più che il fumus della persecuzione è ravvisabile un fumus della Procura stessa che ha agito un po’ come ai vecchi tempi, come il caso Tortora per intenderci. Siamo passati dai processi in stile Tortora a quelli che io definisco gli spezzatini”. Il fatto è che pur nello spazio delle poche ore concesse, Turco coscienziosamente, legge le migliaia di pagine inviate dalla procura. Per questo può giungere alla conclusione cui è giunto. Altri si sono invece “fidati” di quanto veniva detto loro; “semplicemente” non si sono documentati.
È vero, come si dice, che ci si deve difendere nel processo, e non dal processo; ma se il compito della Giunta per le autorizzazioni è quello di accertare se vi sia o meno “fumus” nei confronti di un parlamentare, è proprio quello che Turco ha fatto, a differenza della maggioranza dei suoi colleghi di allora. Per aver svolto con coscienza e acribia il suo compito, lui i suoi colleghi, in quei giorni vengono non solo metaforicamente, linciati.
Marco Pannella, Turco, i radicali invitano Saviano a leggere con loro le migliaia di carte, per aiutarli a trovare qualcosa che “inchiodi” Cosentino, come chiede la pubblica accusa. Saviano non raccoglie l’invito. Questi sono i fatti. Ignorati allora; occultati ora. La stampa, la comunicazione da una parte; il modo di essere e fare il parlamentare dall’altra. Come si vede c’è ampia materia per riflettere, dibattere, confrontarsi. Cosa si aspetta?
Fonte: di Valter Vecellio/ Il Dubbio, 6 ottobre 2020