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Corruzioni e usura. Il governo prova a limitare i danni
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Corruzioni e usura. Il governo prova a limitare i danni
La maggioranza giallorosa ha messo una pezza che ha coperto solamente in parte il buco della sentenza emessa dalle Sezioni unite della Cassazione, quella sui limiti decisamente rilevanti per l’uso delle intercettazioni cosiddette a strascico. Dei grossi paletti, ritenuti discutibili dai magistrati che conducono le indagini. L’intervento della maggioranza che ha raccolto le preoccupazioni del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, risale agli ultimi giorni di febbraio scorso, quando era in corso al Senato la discussione sulla riforma intercettazioni. Una riforma tormentata, nata dall’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando e diventata nel frattempo sostanzialmente altro con le modifiche volute dal successore Bonafede.
A palazzo Madama è stato inserito un emendamento che ridimensiona per alcuni versi quella sentenza della Cassazione. Secondo le Sezioni unite della Suprema Corte, in sostanza, non si possono utilizzare le intercettazioni per un reato diverso da quello per cui sono state autorizzate se non in caso di connessione con l’originario e autonomamente intercettabile, oppure in caso il reato “emergente” preveda l’arresto in flagrante. Con l’emendamento cade il paletto della connessione con il reato originario per cui le registrazioni sono state autorizzate, ma anche in questo caso le intercettazioni a strascico sono utilizzabili solo in casi specifici: “I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e per reati gravi, fra i quali spaccio, usura e reati corruttivi con pena sopra i 5 anni”. Quindi viene escluso, per esempio, un reato tipico dei colletti bianchi e/o dei politici, il traffico di influenze, che avendo una pena massima al di sotto dei quattro anni non è autonomamente intercettabile. Quell’emendamento, concepito in commissione Giustizia del Senato dall’ex magistrato Piero Grasso, ha vissuto pericolosamente per le barricate dei renziani di Italia Viva. Tanto che Grasso, pur di non far saltare l’obiettivo di mitigare la pronuncia della Cassazione, ritira l’emendamento, e dopo una giornata di discussioni Iv cede, accontentandosi di un aggettivo in più che non cambia la sostanza.
Il testo viene approvato anche dall’Aula. Così integra la riforma intercettazioni, approvata definitivamente alla Camera a fine febbraio. Anche se restano dei paletti, in ogni caso, con l’intervento della maggioranza di governo siamo di fronte a una previsione più ampia delle sentenza delle Sezioni unite della Cassazione, che vale, naturalmente, solo per le intercettazioni disposte a partire dall’entrata in vigore della legge, cioè, causa Covid, dal 1º settembre.
È la riforma Bonafede che conferma, a differenza della precedente di Orlando, mai entrata in vigore per il blocco dell’attuale ministro, il potere del vaglio delle intercettazioni ai pm e non alla polizia giudiziaria, in linea gerarchica dipendente dal governo.