Vittime del lavoro, dovere e terrorismo: aiutiamo i familiari superstiti
Stiamo vivendo un periodo storico complesso, difficile. Il Governo ci ripete un giorno sì e l’altro pure che bisogna tenere duro, non abbassare la guardia, fare quadrato perché nessuno verrà lasciato indietro.
Le migliaia di vittime del Covid fanno il paio con quelle che continuano a soccombere negli scenari di guerra che imperversano nel mondo: vittime del terrorismo, del dovere, del lavoro. Ecco. In questo frangente così spaventosamente drammatico non bisogna dimenticarsi di queste persone e delle loro famiglie.
Le leggi che tutelano queste vittime si sono succedute negli anni, destinando loro e ai propri familiari una serie di indennizzi, pensioni privilegiate, assegni accessori. Tali sussidi sono stati introdotti già a partire dagli anni ’80, riassunti nell’art. 3 della legge 466/1980 ed irrobustiti con la legge 266/2005, armonizzando la normativa con quella riguardante le vittime del terrorismo.
Nelle vittime del dovere figurano tutti coloro i quali hanno trovato la morte o riportato ferite/lesioni mentre svolgevano il proprio dovere; hanno un’invalidità permanente non inferiore all’80% della capacità lavorativa o, in ogni caso, la cessazione del rapporto di lavoro.
A questi si aggiungono tutti i dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in servizio per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza d’eventi verificatesi: nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; nello svolgimento di servizi d’ordine pubblico; nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; in operazioni di soccorso; in attività di tutela della pubblica incolumità; a causa d’azioni in situazioni d’impiego internazionale, non necessariamente ostili.
Tra i benefit vi è anche l’assunzione dei familiari delle vittime del terrorismo, della criminalità e del dovere, gli orfani o in alternativa i coniugi superstiti dei deceduti per fatto di lavoro, che vengono avviati con precedenza ed indipendentemente dallo stato di disoccupazione e dalla minore età dei figli. Inoltre, l’art. 1 comma 2 del D.P.R. n. 333/2000 ammette espressamente l’iscrizione negli elenchi del collocamento obbligatorio per i soggetti destinatari della legge n. 407/98 pure se non dispongano dello stato di disoccupazione: ovvero sia che già lavorano nel frangente in cui accade la tragedia.
Ora il punto qual è: che donare un posto di lavoro ai figli o alle mogli delle vittime del lavoro, dovere e terrorismo è sacrosanto, tuttavia, forse, sarebbe più giusto ed umano che coloro i quali lavorano nella pubblica amministrazione e nel settore privato potessero accedere anche a trasferimenti “agevolati” o con qualche riconoscimento in più, volti a ricompattare quel poco di nucleo familiare rimasto, al fine di superare, mediante la vicinanza e l’affetto, un momento di puro sconvolgimento.
Dal punto di vista legislativo occorrerebbe un adeguamento della normativa vigente, dal punto di vista umano sarebbe un grande passo in avanti verso il raggiungimento di quella pietās di cui parlavano i latini, individuandola nell’amore, nella compassione e nella solidarietà tra individui.
Il momento che stiamo vivendo deve farci riflettere tanto. La famiglia esiste solo se esiste l’amore dei familiari che la supporta.