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Tra Arlecchino e Pulcinella (di Stelio W. Venceslai)
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Tra Arlecchino e Pulcinella
(di Stelio W. Venceslai)
Fino ad ora sono stati spesi più di cento miliardi. Una cifra enorme, in mille rivoli dispersi, facendo poco o nulla nel periodo in cui il contagio si è placato. Si credeva che fosse finita. Solo il Governo ci ha creduto. E i risultati si vedono. Tra Arlecchino e Pulcinella, come al solito, chi paga è sempre Pantalone
Ciò che sta accadendo, in questo Paese, è straordinario. Sarei lieto di conoscere cosa diranno di questo periodo gli storici del futuro.
Abbiamo un governo che non governa, un sistema regionale che si crede federale, sindaci che si tramutano in sceriffi e un popolo disorientato e perplesso. Non sono gli effetti della pandemia, ma è solo ciò che la pandemia mette alla luce ogni giorno.
Questo governo è composto d’ignoranti che, ovviamente, sono tanto presuntuosi quanto incapaci. Non è colpa loro. Li abbiamo eletti e ce li dobbiamo tenere. Fino a quando e con chi sostituirli è nelle mani di Dio e di Mattarella.
Abbiamo un Ministro della Salute che di buono ha solo il cognome: Speranza. Per il resto, visto come vanno le cose con l’esplosione della pandemia, è da buttare via.
Abbiamo un Presidente del Consiglio che ha scambiato per bagni turchi, dove si chiacchiera del più e del meno, i continui vertici di Ministri, Sottosegretari, Presidenti di Regione e Segretari di Partito. I vertici si sprecano, come i DPCM, ma sono inutili. Fanno pensare alle grida di manzoniana memoria. Nessuno li sta a sentire.
Abbiamo una stampa che non riesce neppure più ad essere edulcorata: i morti aumentano, il contagio dilaga. A mezza bocca, sempre più spesso, affiorano le critiche anche da chi è dalla parte dei partiti al governo. Il troppo è troppo.
Il troppo, in realtà, è molto poco, quasi nulla. In un disastro sanitario nazionale come quello attuale, il Presidente del Consiglio “lavora”, a suo dire, otto o dieci ore il giorno, a suo dire, per non adottare il lockdown.
A marzo scorso, per tre mesi, l’isolamento coatto ha quasi fermato il contagio e rovinato l’economia. A novembre, che è peggiore di marzo, si deve salvare l’economia a scapito della salute, quella delle casse da morto.
Poiché le idee mancano, si ricorre alla scienza. Ventun parametri per appurare, ad esempio, che nel Meridione la sanità non funziona, che non ci sono ospedali decenti (v. il Cardarelli di Napoli), che difettano le attrezzature e gli operatori per farle funzionare, che la sanità calabrese è commissariata da 12 (dodici!) anni (nelle mani, pare, di un generale di corpo d’armata dei Carabinieri), il che è un insulto al buon senso comune. A quando un cuoco o un maestro d’orchestra come Commissario straordinario all’Alitalia o all’ILVA di Taranto?
Tutte cose che si sapevano, non da giorni, ma da anni. Solo il governo non le sa. Ricorre agli algoritmi e vengono fuori sciocchezze inenarrabili: la Lombardia si può chiudere, la Calabria, dove la mortalità è bassissima, è rossa, la Campania, che ha più morti ed è più disastrata da sempre, no, perché l’algoritmo dei ventuno parametri non lo dice. Ma il buon senso, dov’è?
L’Italia tricolore è diventata semaforica: spartita tra giallo, arancione e rosso. Si accende e si spegne a ogni morto in più o in meno. Viva l’elasticità della politica sanitaria!
I governatori e i Sindaci, in questa confusione generale, provvedono per conto loro. Adesso ci sono anche le luci blu: città o quartieri o strade chiusi, Un vero caleidoscopio di colori, forse in previsione del Natale. È la festa, il trionfo, la santificazione di Arlecchino.
A Napoli De Luca, il governatore della Campania, tre settimane fa, gridava contro il governo chiedendo a gran voce la chiusura della regione. Adesso, ispirato forse da S. Gennaro, grida contro il governo perché la vogliono chiudere. La coerenza non è di Pulcinella. Ce l’ha contro tutti: il Governo Conte, il Sindaco De Magistris, il Pd, i Ministri incapaci, tranne che con se stesso.
Per fortuna sovrasta il Dio algoritmo che sistema tutti i dissidi, salvo fregarsene. De Luca non vuole ospedali, né mobili né da campo, ma più medici. Così i malati li cureranno nei corridoi, nei bagni o nei parcheggi, dove aspettano d’entrare al Pronto Soccorso, se non muoiono prima.
Il tocco finale di questa sceneggiata è l’aver affidato a “padre” Arcuri, come lo chiama il Messaggero, la gestione del prossimo vaccino Pfizer, se mai ci sarà, se sarà affidabile e debitamente testato, se funzionerà la catena del freddo e se saremo in grado di distribuirlo a sessanta milioni di cittadini, in fila davanti a capannoni d’accoglienza da costruire.
A giudicare dal vaccino contro l’influenza, che difetta tuttora presso i medici di base e nelle farmacie, le previsioni sono pessimistiche.
Tridico all’INPS e Arcuri Commissario agli acquisti hanno dato ottima prova della qualità delle scelte governative. I cassintegrati aspettano ancora l’assegno dell’INPS e Arcuri, di cui è difficile parlare bene, ha già scaricato l’onere delle vaccinazioni di massa sugli altri: provvederà l’esercito.
Fino ad ora sono stati spesi più di cento miliardi. Una cifra enorme, in mille rivoli dispersi, facendo poco o nulla nel periodo in cui il contagio si è placato. Si credeva che fosse finita. Solo il Governo ci ha creduto. E i risultati si vedono. Tra Arlecchino e Pulcinella, come al solito, chi paga è sempre Pantalone