E se qualcuno morirà
Non ho nessuna voglia di prendermela con Domenico Guzzini, l’ignoto presidente della Confindustria di Macerata salito ieri alla notorietà per aver invocato le riaperture, «e se qualcuno morirà, pazienza». Lo stanno già menando per bene, ci sono eserciti di buoni che gli stanno raddrizzando la schiena. Ma perlomeno ha detto una frase breve e senza rimedio, e fu santo Giosuè Carducci quando giudicò capace di ogni cattiveria l’uomo che dice in venti parole quanto si può dire in dieci. E dunque quale differenza c’è, se non l’incontinenza verbale, la dissimulazione nel profluvio, con Giuseppe Conte secondo cui il Paese sta reggendo all’urto della seconda ondata? Lo dice e ci sono ottocento e passa morti ieri, e seicento e settecento e cinquecento i giorni precedenti. Ma reggiamo all’urto.
E se qualcuno muore, pazienza? E c’è il suo compare, quello che Conte l’aveva messo lì per giostrarselo a piacimento, e non se ne libera più, dico Di Maio, che ieri ha pensato di farsi vanto della sua rettitudine, e ha annunciato la generosa devoluzione agli ospedali di quaranta degli ottanta milioni risparmiati a Montecitorio. Quaranta milioni. E sessantaseimila morti. Lascerò stare i trentasette miliardi del Mes, per carità: non è un’idea che Di Maio possiede, ma da cui è posseduto. Ed è persuaso di essere lì per risparmiare quaranta milioni e non per governare, lui e il resto della truppa, un Paese piegato dalla pandemia: servirebbero atti di governo, o persino di coraggio. E invece no, viene meglio essere demagoghi, cortigiani del popolo, prendete quaranta milioni. E se qualcuno morirà, pazienza.