l Conte fumo
Ecco chi è, mi arrovellavo da anni e finalmente ho la risposta: è Perelà, l’omino di fumo di Aldo Palazzeschi, che già adulto spuntò dal camino, ovvero dal nulla, e si mostrò al mondo. Arrivò in città e i cittadini videro che era di fumo e se ne incuriosirono, perché gli uomini erano pesanti e talvolta soldati o cattedratici o principi, cioè appesantiti dalle armature, dal sapere, dalle responsabilità, mentre lui era leggero, era di fumo: più che leggero, era etereo, era il prodotto purissimo del fuoco purificatore. Era, insomma, proprio quello che serviva. Il Re volle conoscerlo. La Regina anche. E poi l’arcivescovo, il banchiere, il massimo filosofo, il sommo pittore, la schiera dei blasonati, e lui incantava con la delicatezza, l’affabilità, era adattabile, gentile, ascoltava ognuno con un sorriso di fumo. Il popolo lo idolatrò, ne cercava l’udienza e i consigli, gli dedicava inchini profondi.
E infine gli fu affidato – a lui così lieve – il compito più gravoso: la stesura del nuovo codice per il governo dello Stato, affinché allo stesso modo fosse puro e leggero. Ma quando sopraggiunse una disgrazia, l’omino di fumo fu altrettanto fumoso di prima, e dove si diceva leggerezza si disse vacuità, e dove si diceva purezza si disse incoscienza, la stesura del codice gli venne sottratta per risparmiarsi ulteriori guai, e non ci fu colpa che non gli fosse attribuita, né umiliazione risparmiata, non una maledizione trattenuta. Perelà subì un processo e una condanna, e fu rinchiuso in prigione da dove, omino di fumo, uscì attraverso il camino, per sparire nel nulla da cui era venuto.
Fonte: Topo News de La Stampa