Tempo di draghi di Stelio W. Venceslai 

  L’incarico conferito a Draghi dal Presidente della Repubblica con il suo conseguente appello all’unità dei partiti e per la costituzione di un governo di alto profilo, in questo momento di gravissima crisi, come una grossa pietra gettata nella palude stagnante dei governi Conte, ha provocato nella gente, un quasi unanime senso di liberazione da una situazione politica incomprensibile, scaduta nel mercimonio delle cariche e dei voti e caratterizzata dal bassissimo livello dei suoi attori.

      Della storia e dei meriti di Draghi è quasi inutile parlare. La stampa internazionale ha visto con piacere questa svolta della politica italiana, caratterizzata da governi “impotenti e incompetenti”.

      La svolta c’è stata, anche se da più parti si sottolinea la difficoltà dell’impresa. Una cosa è certa: il futuro governo Draghi sarà diverso da tutti quelli che l’hanno preceduto negli ultimi anni. La storia politica della Repubblica potrebbe cambiare radicalmente.

      Draghi ha un compito difficilissimo ma, a ben vedere, le eventuali difficoltà parlamentari sono solo quisquilie. La sfida che deve affrontare non è in Parlamento, checché se ne dica, ma sui contenuti del suo programma: lotta alla pandemia, rilancio dell’economia, utilizzo del Recovery Fund.

      I governi giallo-rossi sono falliti come lo fu quello giallo-verde. 5Stelle è riuscito con i suoi dogmi a frantumare tutti gli schieramenti, ma il fallimento è complessivo. Draghi, oggi, è una specie di Commissario straordinario della Repubblica per rimettere assieme i cocci o buttarli nella spazzatura.

      Stupisce che il segretario del PD parli di un patrimonio da salvare. Quale? L’idea preminente fra i partiti della coalizione del Conte bis è che con Draghi si farà una versione del mancato Conti ter. Una sciocchezza che non tiene conto dei desiderata del Presidente della Repubblica. I partiti della ex maggioranza si propongono per “un contributo d’idee”. Quali? Non ne hanno avuta una di buona, fino ad ora. Difficile immaginare adesso uno sprazzo di luce.

      Le convulsioni del partito che ha il maggior numero di rappresentanti in Parlamento, 5Stelle, sono patetiche, Temono di essere relegati all’opposizione, se negano la fiducia, e quindi di perdere voti, o di perderli lo stesso se danno la fiducia. Un equivoco politico che né Grillo, chiamato in tutta fretta, né Casaleggio, con la sua patetica piattaforma Rosseau, né i Di Maio, Crimi, Toninelli e soci potranno risolvere adeguatamente.

      Si discute, in modo lunare, se nella mente di Draghi c’è un governo tecnico oppure politico o, misto, politico-tecnico. Un governo, qualunque esso sia, governa e fa politica. In questo caso e con questa crisi, altro che politica!

      Usciti da un fallimento complessivo, che investe sia il centro-sinistra sia il centro-destra, bisognerà rifare i conti e riallinearsi, dubito con gli stessi uomini. Ciò fa paura. Un governo Draghi di unità nazionale, il governo dei migliori, dopo molti governi dei peggiori, spezza le ossa dei nostri partiti tradizionali.

      Al momento, e sbaglia, solo la Meloni si distacca dal coro dei petulanti e improvvisati estimatori di Draghi. Insiste sulla necessità di andare alle urne. Sbaglia perché, in tal modo, si rinchiude nel ghetto dal quale era uscita con i suoi consensi crescenti. Tutti gli altri, Lega compresa, si accodano a Draghi, perché l’isolamento non fa bene a nessuno. Tuttavia, la Meloni è l’unico personaggio politico coerente rispetto a banderuole, profittatori e bugiardi, assolutamente non affidabili, specie quando scagliano anatemi del tipo: mai con questo e mai con quello.

      La questione di fondo sarà la composizione del governo e se ci saranno le vecchie facce o no. L’idea suggestiva è che non ce ne debbano essere, se non paio, ma solo per la loro competenza. Il resto dovrebbe essere innovativo e di qualità. Le complesse relazioni personali di Draghi fanno ben sperare in questo senso.

      La mano pesante sulla spalla di Draghi da parte di Mattarella e la gravità eccezionale della crisi che stiamo vivendo, sono fattori decisivi per il successo del prossimo governo. Con le loro beghe da parrocchia di provincia i partiti, ormai, sono fuori gioco. Avranno un bel dire sulle loro posizioni pregresse. Se non saranno d’accordo con Draghi, potranno negargli la fiducia in Parlamento. Ma l’alternativa sono le elezioni che nessuno vuole, tranne la Meloni, (con la vecchia legge elettorale, le nuove circoscrizioni da fare, il quasi dimezzamento del Parlamento attuale), elezioni che, comunque, gestirebbe un governo Draghi dimissionario.

      Le discussioni e le analisi che si fanno su Draghi (è stato educato dai Gesuiti, forse è un massone, è esponente dell’alta finanza internazionale, forse è di destra, no, di sinistra, è un grand’uomo di statura internazionale, però …) sono idiozie e, soprattutto, non hanno nulla a che vedere con la necessità di salvare il Paese.

      Draghi ha il coltello dalla parte del manico: o si beve o si affoga (o fiducia o elezioni). Il rischio è troppo grosso. Pare che bevano tutti.