La lettera di Joe Petrosino ritrovata in Calabria, su un delitto compiuto a New York
Il ritrovamento della missiva, avvenuto ad oltre un secolo di distanza, lo si deve a Francesco Caravetta scrittore e antropologo di Cosenza
06 Mar 2021
Intervista con l’autore di vari libri e studioso di delitti commessi nei secoli scorsi, curatore del sito antichidelitti.it: “A proposito di Stati Uniti, ho trovato e pubblicato molti delitti commessi da italiani negli USA e poi processati in Italia…”
Ill.mo Signor Prefetto di Cosenza
Ill.mo Signor,
Prego la S.V. Ill.ma volersi benignare considerare quanto segue.
Nella città di New York, Stati Uniti d’America lì 18 aprile 1898 il nominato Arcangelo Olivieri del Comune di San Giacomo prov. Cosenza, uccise barbaramente Giovanni Ryan, contrattista con tre colpi di revolvere senza nessuna provocazione.
La data che si legge sulla lettera è del 5 Maggio 1898. La firma, Giuseppe Petrosino. Quel nome è praticamente sconosciuto. Giuseppe, Joe, Petrosino non è ancora famoso in Italia per le sue indagini sulla criminalità italiana in America. Probabilmente quella lettera, con quell’ossequiosa richiesta di avviare un’indagine su un italiano accusato a New York di omicidio, avrà fatto sbuffare qualche funzionario, che adesso avrebbe dovuto lavorare su un caso di cui non si sapeva nulla e per di più con carte che dovevano andare e venire da una parte all’altra dell’oceano. All’epoca, ed evidentemente anche negli anni successivi, quella lettera sarà sembrata poco più di una comunicazione che un poliziotto americano inviò a dei colleghi italiani.
La sua straordinarietà sta invece nel fatto che è una delle rare note autografe rinvenute in Italia, nell’Archivio di Stato di Cosenza in Calabria, di quello che oggi viene giustamente ricordato come il pioniere nella lotta al crimine organizzato, quel poliziotto che, quando ancora la mafia non si chiamava così, provò a combatterla e della quale, il 19 marzo 1909 fu ucciso a Palermo, dove si era recato per condurre una delle sue indagini sui rapporti tra i mafiosi siciliani e calabresi con quelli emigrati negli Stati Uniti.
Il ritrovamento della missiva, avvenuto ad oltre un secolo di distanza lo si deve a Francesco Caravetta scrittore e antropologo di Cosenza, autore della raccolta Antichi delitti, che durante una delle sue ricerche si ritrovò tra le mani la nota di Petrosino.
Devo ad una fortunata coincidenza l’incontro con questo studioso. Stavo ricercando delle carte processuali risalenti al 1896 e tramite conoscenze in comune mi arrivò il nome di questo ricercatore, considerato tra i massimi esperti di casi criminali avvenuti in Calabria alla fine del 1800. E’ stato poi così Francesco Caravetta mi ha raccontato come nascono i suoi racconti e di come, per tornare a ciò di cui sto scrivendo, si sia casualmente imbattuto nella lettera di Petrosino, detective dai metodi moderni, e, sfortunatamente, primo agente delle forze dell’ordine di New York ucciso dalla mafia.
Francesco, ci racconta come ha scoperto questa lettera?
“Il caso che riguarda Joe Petrosino l’ho trovato nel mio lavoro di ricerca ed è stato un tuffo al cuore! Negli atti processuali c’era una lettera autografa del famoso poliziotto italo-americano e per di più sconosciuta. Mi sono subito messo al lavoro e ne ho tratto una storia appassionante, una delle più lette su antichidelitti.it in Italia. È stato come conoscerlo personalmente, una sensazione straordinaria!”
Alla fine poi, questo Arcangelo Olivieri venne trovato? Arrestato?
“Le indagini partirono con oltre un mese di ritardo, nessuno si disturbò a rispondere a Petrosino. Passano diverse settimane prima che si riesca a capire che quel San Giacomo a cui si riferisce Petrosino è in realtà San Giacomo di Cerzeto. Arcangelo Olivieri, che a New York era conosciuto con il nome di Fiori, era ricercato dalla polizia per l’uccisione del suo datore di lavoro, John Ryan. Olivieri aveva reclamato il pagamento degli stipendi, pagamento che veniva continuamente rimandato. Un classico esempio di caporalato. Fu così che Olivieri decise di farsi giustizia da solo, uccidendo Ryan con tre colpi di rivoltella”.
L’omicidio di primo grado nello Stato di New York era sanzionabile con la pena di morte, ad Olivieri non rimase che imbarcarsi sulla prima nave disponibile diretta in Italia per sfuggire alla giustizia americana. Ci vorrà quasi un anno, era infatti il 15 Aprile 1899 quando i Carabinieri di Cassano fermano un uomo che corrisponde alla descrizione di Olivieri. Ed effettivamente viene identificato come l’omicida ricercato tanto in America quanto in Italia. I giudici decidono per la non estradizione.
“L’accusa anche in Italia resta quella di omicidio volontario – continua Caravetta – però gli va bene lo stesso perché si decide di processarlo in patria. Tra diminuzioni di pena ed attenuati generiche viene condannato ad 8 anni e 4 mesi. Il 29 Dicembre 1899 la Suprema Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso dell’imputato e la sentenza diventa definitiva”.
E Petrosino? Gli fu comunicato della cattura e poi condanna di Olivieri?
“Di questo non si hanno informazioni. Non sappiamo se a Petrosino arrivò mai la notizia. Una collaborazione tra Usa e Italia esisteva già. In molte comunicazioni trasmesse dagli Usa al Ministero di Grazia e Giustizia italiano sono allegati tutti gli atti originali americani, poi tradotti qui. Tutto sommato la lettera di Petrosino possiamo considerarla una iniziativa personale, probabilmente per aggirare qualche intoppo burocratico. Questo sarebbe in linea con il suo modo di procedere. Riscontri documentali non ne ho trovati, ma è presumibile che il Prefetto abbia fatto conoscere il risultato del processo italiano”.
Cosa la spinge a ricercare per poi scriverne dei racconti, vecchi casi criminali? Alcuni anche abbastanza raccapriccianti.
“Studio casi criminali ormai da dodici anni e ho cominciato quasi per caso perché stavo cercando notizie utili a ricostruire il mio albero genealogico e una funzionaria dell’Archivio di Stato di Cosenza mi consigliò di controllare se qualche mio antenato avesse avuto a che fare con la giustizia perché negli atti sono contenuti anche certificati anagrafici. E questo mondo sconosciuto di vecchi casi criminali mi ha subito appassionato, così ho cominciato a passare le mie giornate studiando in vari Archivi di Stato (Cosenza, Catanzaro, Lamezia Terme, Palermo, Reggio Emilia), dove sono conservati molti atti giudiziari. Nel tempo ho raccolto moltissimo materiale e nel 2012 ho pubblicato Guagliuni i mala vita, nel quale racconto la nascita e la storia del crimine organizzato a Cosenza dal 1875 al 1931. Ma il resto del materiale accumulato e quello che continuavo ad accumulare era veramente tanto per poterlo racchiudere in un volume, così nel 2015 ho deciso di aprire un sito web, antichidelitti.it, nel quale pubblicare queste storie criminali in forma di racconto. Ed è stato subito un successo! In sei anni di attività, durante i quali ho pubblicato le storie di quasi 650 casi, antichidelitti.it è stato visitato circa 3.000.000 di volte da tutto il mondo, pensi che dagli Stati Uniti fino ad oggi ho circa 350.000 contatti. A proposito di Stati Uniti, ho trovato e pubblicato molti delitti commessi da italiani negli USA e poi processati in Italia. Nel 2016 e 2018 sono stati pubblicati due volumi da collezione, Antichi Delitti e Antichi Delitti vol. 2, ormai esauriti, che contengono una selezione dei delitti più atroci che ho trovato. Infine, nel 2019, da questo lavoro di ricerca è nato un ultimo volume: Il patto infame – l’antica mafia della Riviera dei Cedri, che ripercorre la nascita e lo sviluppo del crimine organizzato nell’Alto Tirreno cosentino, che ha ricevuto premi e riconoscimenti.”
Come sceglie le storie sulle quali lavorare?
“Il lavoro per selezionare le storie che meritano, a mio giudizio, di essere riportate alla luce e raccontate è abbastanza lungo perché bisogna leggere ogni singolo processo per capire se ne vale la pena. Nel tempo, però, ho cominciato anche a ricevere le segnalazioni di molti lettori che mi segnalano casi avvenuti nei loro paesi o che hanno coinvolto loro antenati e così utilizzo anche queste indicazioni per trovare casi appassionanti. Si comincia a studiare un caso, ma non si sa mai cosa può esserci allegato nel fascicolo, per cui le scoperte di reperti è sempre casuale, se qualcun altro non lo ha consultato prima e ha segnalato il rinvenimento. Mi è capitato di trovare bustine con capelli, peli pubici, cartoline illustrate, lettere, proiettili, vetrini col sangue della vittima, fotografie e addirittura uno scalpo umano!”
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