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La crisi del sistema (di Stelio W. Venceslai) -Editoriale
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La crisi del sistema (di Stelio W. Venceslai)
L’esperimento Draghi ha messo in crisi l’intero schieramento politico italiano. Che il sistema fosse avvitato in una crisi ormai endemica era piuttosto chiaro. Non era evidente, invece, che sbocco avrebbe preso la nostra fragile democrazia, incerta fra un populismo di maniera e una sotterranea tendenza all’autocrazia.
C’erano, però, due difetti: il popolo, che non c’è, perché non lo si fa votare e, se vota, vota a vanvera, in preda a risentimenti, e il potere politico, anch’esso carente, perché la gestione del potere è altrove, a Bruxelles o a Washington o nelle mani delle grandi multinazionali. Il nostro è solo un potere di piccolo cabotaggio, destinato a naufragare di fronte al primo scoglio.
La qualità degli uomini è molto scarsa. Sono inaffidabili nelle loro promesse e nelle loro decisioni. In questi ultimi anni, nonostante le varie alternanze al potere, nessuna decisione seria è stata presa, nessun problema è stato risolto. Per un Paese che è fermo da decenni sul binario morto dell’incapacità di decidere, in preda alle convulsioni per la ricerca di un consenso fondato sui sondaggi e non sulle idee, la pandemia ha messo a nudo e, soprattutto, ha aggravato una profonda crisi di sistema.
La carenza del potere centrale ha evidenziato, per contro, l’importanza del ruolo dei Sindaci e dei Presidenti delle Regioni, una nuova realtà politica, legata a quel territorio che i vari governi nazionali hanno così spesso dimenticato. Sono questi i nuovi partiti del futuro.
Il governo Draghi sta sbriciolando il tradizionale apparato politico. Draghi governa, forte del suo prestigio interno e internazionale, conquistato sul campo e non per via di promesse elettorali fasulle, con l’appoggio pesante del Presidente della Repubblica. La nave cammina e si fa largo tra i gommoni dei profughi dei vari partiti e i rottami del sistema.
Le dimissioni di Zingaretti evidenziano un punto di rottura per il PD, allo sbando, come lo è il Movimento 5Stelle, diviso fra Di Maio e Di Battista, Conte, Grillo e Casaleggio. La sinistra e la pseudo-sinistra annaspano nelle loro contraddizioni. Non parliamo, poi, del gruppuscolo di Renzi, il battitore libero della Repubblica.
Ma anche la destra e il centro-destra sono nelle stesse condizioni. Se la sinistra sta male, la destra non sta meglio.
L’ammucchiata governativa dove i nemici di ieri sono oggi alleati nel sostenere Draghi, non inganna nessuno. In un sistema democratico i partiti politici sono necessari, così com’è necessaria un’opposizione costituzionale. L’attuale maggioranza governativa, prona alla virata energica di Draghi, è solo un’assemblea di yesmen che non hanno un’alternativa seria da proporre al Paese, tranne l’ossequio alla volontà di Mattarella.
La coalizione di centro-destra ha molti limiti. Più che una coalizione politica con una visione a medio lungo termine delle prospettive del Paese, è un comitato d’affari che funziona quando la borsa del governo tira.
Ha retto con la Lega al governo con 5Stelle e con l’opposizione di FI di Berlusconi e di FdI della Meloni. Poi è stata compatta all’opposizione contro il governo giallo-rosso di Conte. Con il governo Draghi è rientrata nella maggioranza, tranne Fratelli d’Italia. Regge sempre, qualunque cosa accada, perché, in realtà, più che una coalizione, è una convenienza.
In nessun Paese al mondo sarebbero tollerati dei leader che cambiano posizione da un giorno all’altro e improvvisano politiche di cabotaggio che poi smentiscono, sostenendo il contrario di ciò che avevano spergiurato il giorno prima. Ci siamo abituati a questi comportamenti e non li condanniamo più, convinti che in politica ciò sia sensato. Questo è un errore fondamentale perché in tal modo i nostri rappresentanti politici sono del tutto inaffidabili, bugiardi e inaffidabili. La coerenza, come il buon senso, sono andati in soffitta e le menzogne, invece, sono nel salotto buono.
L’unica che sembra coerente è la Meloni. Lo stare all’opposizione le frutterà consensi, non c’è dubbio. Purtroppo, non ha una classe dirigente adeguata: tutta gente di buona volontà ma, tranne qualcuno, di scarsa qualificazione. Buoni per i comizi e per le tirate elettorali, ma se La Meloni non si mette in testa di fare una scuola di formazione, se mai dovesse governare, si troverebbe nelle stesse difficoltà pratiche degli altri.
La sua pecca, apparentemente almeno, è quella d’essere populista, un aggettivo che non significa nulla ma che, nel gergo corrente, ha sostituito quello di fascista. Se populismo significa prima gli Italiani, allora anche Draghi è un populista quando impone il divieto di esportazione in Australia dei vaccini prodotti in Europa. E che dire del buon vecchio Trump oppure del più pimpante Johonson o degli Olandesi?
Salvini, a sua volta, dopo aver sparato a zero contro l’Europa e immaginato un Asse danubiano con Ungheria e Slovacchia (e magari anche con la Polonia), adesso è diventato quasi europeista. Di sciocchezze ne hanno fatte parecchi, quelli della Lega, ad esempio non votando la von der Layen, isolandosi in un orgoglioso quanto inutile gruppo parlamentare europeo, sparando a zero sull’euro, che adesso sono costretti a ingoiare con il governo Draghi che, dell’euro, ha fatto una questione fondamentale. Tutti zitti, tutti d’accordo, anche Salvini.
La crociata contro Bruxelles è finita. Lì ci sono i quattrini del Recovery Fund, e questo interessa l’industria del nord che sorregge la Lega. Vogliamo scherzare? L’Europa ci serve.
Salvini polemizza per principio, contro le mascherine, contro i divieti, contro le regole imposte dalla pandemia. Sono regole stupide, però necessarie. Appena può, grida allo scandalo, ma non serve a molto. Anche per la Lega i consensi calano.
Infine, Forza Italia: più che un partito è un’accolta di notabili in cerca di sistemazione. Per quanto Tajani, forte del suo passato di Presidente del Parlamento europeo, cerchi di dare una smerigliata a Berlusconi, Forza Italia è in declino di fuga verso lidi più promettenti. L’adesione al governo Draghi ha dato un sussulto di virilità al partito personale di Berlusconi, forse più aduso al viagra di altri, ma è un fenomeno transitorio. Non c’è futuro.
In conclusione, se la sinistra piange, la destra non ride. I rottami sono dovunque. La nave Draghi passa e i naufraghi applaudono, sperando d’essere raccolti. Ma è uno spettacolo assai triste.