Santa Maria Capua Vetere (Ce). Dopo 25 anni arriva l’acqua in carcere, al via i lavori

di Piero Rossano Corriere del Mezzogiorno, 1 aprile 2021

Il 6 aprile apre il cantiere per il collegamento con la rete idrica cittadina. Il penitenziario era stato teatro anche di rivolte dei detenuti che lamentavano disagi specie in estate. Dopo un quarto di secolo di vita il carcere di Santa Maria Capua Vetere sarà allacciato alla rete idrica della città. I lavori di collegamento con la condotta principale saranno inaugurati subito dopo Pasqua. Una novità che il sindaco Antonio Mirra non ha esitato a definire “momento storico” tanto il problema era avvertito.

Storia di disagi – Era il 1996 quando l’amministrazione penitenziaria inaugurava il nuovo carcere di Santa Maria Capua Vetere. Una sede posta al confine con San Tammaro, giusto di fronte allo Stir, e che nelle intenzioni avrebbe dovuto superare le carenze strutturali dello storico penitenziario della città del Foro, ricavato da una ex fortezza borbonica (dopo la dismissione divenuta per qualche anno sede della facoltà di Lettere dell’allora Seconda Università di Napoli), ma che invece, dopo 25 anni, si dibatte ancora tra mancanze e limitatezze. Non ultima, l’assenza di un’adeguata fornitura di acqua corrente. Motivo che ha scatenato negli anni anche moti di rivolta da parte della popolazione carceraria, anche qui in sovrannumero rispetto alla disponibilità di celle, costretta a misurarsi con disagi enormi specie nei mesi più caldi.

Apre il cantiere – La svolta, invocata ed attesa anche dal personale dipendente dell’istituto di pena, si compirà entro l’estate. “I lavori alla condotta idrica – spiega una nota della casa comunale – hanno registrato una significativa accelerata con quel percorso amministrativo con la Regione Campania avviato dall’Amministrazione Mirra che ha portato, nel 2018, alla messa a disposizione del Comune delle somme per arrivare alle procedure di gara prima per la progettazione dell’opera e poi per l’aggiudicazione dei lavori”.

E così, martedì 6 aprile, alla presenza degli amministratori della città, dei vertici degli uffici giudiziari del posto, di rappresentanti della Regione e dell’amministrazione penitenziaria, saranno avviati i lavori di allacciamento alla rete idrica cittadina. Il cantiere è previsto all’incrocio tra via Napoli e via Mastantuono, nei pressi del liceo scientifico Amaldi. “Raggiungiamo un altro significativo traguardo, che era uno degli obiettivi di questa Amministrazione” ha commentato il sindaco Mirra, avvocato penalista di professione e profondo conoscitore dei problemi del carcere cittadino.

 Appello alla Cartabia: la Magistratura di Sorveglianza non va dimenticata

di Samuele Ciambriello* Il Riformista, 1 aprile 2021

Mi sono più volte espresso sia sui ritardi di funzionamento dell’Ufficio di Sorveglianza, in termini di tempi e di efficacia delle risposte da garantire ai detenuti, sia in termini di carenza di personale, condividendo le mie preoccupazioni in tal senso, nel febbraio del 2020, attraverso una lettera indirizzata all’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.

In quella mia comunicazione si evidenziava come la carenza di personale rischiasse di mettere in ginocchio il funzionamento di un settore strategico della giustizia, quello deputato all’esecuzione della pena, ben prima che emergessero le difficoltà organizzative e gestionali legate al Covid. Inoltre il continuo rinvio degli appuntamenti già calendarizzati con i responsabili dell’Ufficio di Sorveglianza e il mancato incremento del personale amministrativo e dei magistrati di sorveglianza da parte del Ministero, apparivano come una sorta di “politica dello struzzo”. Quella tanto bistrattata esecuzione della pena non interessa a nessuno, se non a parole ed esclusivamente in funzione di slogan usati per invocare la famosa certezza della pena che, in conseguenza di tale carenza di mezzi, non può essere assicurata. La polemica scatenatasi tra la Camera penale e il Tribunale di Sorveglianza di Napoli, dunque, non è di certo una novità.

Gli ultimi governi hanno mostrato opinioni divergenti circa l’operatività e l’organizzazione della giustizia. Anche l’ex presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, Adriana Pangia, ha denunciato la mancanza di una risposta risolutiva da parte del Ministero della Giustizia e del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Quanto evidenziato dalla Camera Penale sui ritardi disfunzionali non può non essere condiviso. Circa un anno fa i numeri della sofferenza degli uffici del Tribunale di Sorveglianza erano così riassunti: mancavano il 42% del personale amministrativo a Napoli e Avellino, il 37% a Santa Maria Capua Vetere e contestualmente aumentava il carico di lavoro con 17mila procedure in più dinanzi al Tribunale e addirittura 39mila in più da evadere per il solo Ufficio di Sorveglianza. Quello che mi preoccupa, in questo caso, sono i toni polemici a discapito della qualità della pena e dell’accesso alle misure alternative alla detenzione che, a mio parere, rappresentano gli elementi fondanti del reinserimento sociale.

Non intendo rinfocolare una polemica che rischia di essere dannosa e non rendere giustizia al lavoro dei magistrati di sorveglianza e degli avvocati, ma voglio fare il punto dell’attuale situazione giudiziaria, concentrandomi sugli elementi del trattamento che per legge devono essere garantiti alle persone ristrette sulla scorta dell’ordinamento penitenziario. Nella mia relazione annuale 2020 ho evidenziato che su 1.292 colloqui effettuati con i detenuti, la prima criticità è risultata essere quella sanitaria, seguita con 601 richieste da quella relativa ai ritardi di risposta e all’impossibilità di svolgere colloqui con la Magistratura di Sorveglianza. La pandemia ha amplificato ancora di più l’emergenza della giustizia sul versante dell’esecuzione penale. In tale scenario è auspicabile ristabilire un dialogo che tenda a unire le forze in funzione del mandato istituzionale e professionale così da affrontare e superare lo scenario di paralisi che vive attualmente il pianeta carcere.

di Samuele Ciambriello* Il Riformista, 1 aprile 2021

*Garante dei detenuti della Campania

E adesso riducete le pene a tutti i detenuti

di Stefano Anastasia* Il Riformista, 1 aprile 2021

Questo anno molto più afflittivo degli altri è una ferita. Merita un atto di giustizia che solo il Parlamento può compiere. Grandi speranze ha suscitato l’arrivo di Marta Cartabia al Ministero della Giustizia. Grandi quanto grande è stata la sofferenza di questi mesi di pandemia in carcere. La vita quotidiana, le relazioni con i familiari, la prospettiva del reinserimento, tutto si è fatto più difficile. I rapporti con i figli sopra ogni altro: come si può mantenere una relazione significativa con bambini di pochi anni attraverso venti minuti di videochiamata alla settimana da condividere con tutti gli altri familiari?

La tecnologia, certo, un po’ ha aiutato, ma se non ha risolto i problemi della nostra vita sociale dimidiata fuori, è mai possibile che risolva i problemi di chi a quella tecnologia ha potuto far accesso per pochi minuti alla settimana, a turno, secondo gli orari stabiliti dall’Amministrazione?

Poi, quando arriva il focolaio, tutto precipita nell’isolamento, di chi ha contratto il virus e di chi no. La “chiusura” delle sezioni rimane la soluzione più semplice e sbrigativa. anche se talvolta viene fatta senza vera prevenzione, lasciando nella stessa stanza persone in attesa del risultato di tamponi che potrebbero metterli su binari diversi, dei positivi e dei negativi.

Si chiama “isolamento di coorte” e va molto di moda in carcere. Del resto, nonostante la riduzione del numero dei detenuti, gli spazi sono quelli che sono, e come si fa a rispettare le norme generali di prevenzione che vorrebbero non solo separati i positivi dai negativi, ma soprattutto isolati quelli di cui ancora non si sa se siano tra gli uni o tra gli altri?

La speranza, dunque, non è solo nella Ministra, ma anche nel vaccino. Non a caso la prima importante presa di posizione della professoressa Cartabia è stata proprio sulla priorità vaccinale delle comunità penitenziarie, e da allora – nonostante gli stop & go su questo o quel vaccino, nonostante qualche improvvida voce istituzionale dal sen sfuggita, ma tempestivamente autocorrettasi – la campagna vaccinale in carcere è partita: lunedì sera erano 4.540 i detenuti “vaccinati”, 15.000 le unità di personale “avviate alla vaccinazione” (qualunque cosa questa differenza terminologica significhi nel linguaggio ministeriale).

All’appello ne mancano circa 80mila (al netto dei richiami). Roba che, forniture permettendo, si può smaltire in una settimana o poco più di impegno serio e coordinato da parte di Asl e Istituti penitenziari. Speriamo, dunque, che nel corso del mese di aprile tutti i detenuti e tutto il personale possa avere almeno la prima somministrazione del vaccino.

Poi, lentamente, si potrà tornare alla normale vita del carcere (se “normale” si può chiamare la vita in un carcere): potranno riprendere le attività, e prima di tutto la scuola, i colloqui in presenza e i contatti umani. Resteranno, però, quelle ferite profonde che i detenuti di Rebibbia ci raccontano. Ferite che medierebbero un atto di giustizia, che solo il Parlamento può compiere, nella sua piena responsabilità e nella consapevolezza di quello che è stato.

Questo anno di pena in carcere non è stato un anno come gli altri, ma molto più afflittivo. Per ragioni di prevenzione, si sarebbe dovuto drasticamente ridurre la popolazione detenuta un anno fa. Non lo si è fatto come si sarebbe dovuto e non vale la pena di tornare a discutere di errori e passi falsi.

Ma ora che vediamo la fine di questo calvario, non vediamo anche quanta sofferenza tutto ciò ha causato nei detenuti? Non è il caso di riconoscerla questa sofferenza e ridurre a tutti loro la pena ancora da scontare nella misura che il Parlamento riterrà più equa? La giustizia, dopo la pandemia. Chiamatela così, se vi piace.

*Portavoce dei Garanti territoriali delle persone private della libertà