di Giovanni M. Jacobazzi
Il Dubbio, 5 aprile 2021
Non solo intercettazioni, con il virus anche “perquisizioni digitali” mai autorizzate. Il deputato di Azione Enrico Costa ora chiede norme chiare. Sono moltissime le potenzialità del “trojan”, il software spia nato per trasformare il telefono cellulare in un microfono sempre acceso. L’uso del “captatore” informatico, inizialmente previsto solo per i reati associativi e di terrorismo, è stato esteso dall’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede anche a quelli contro la Pubblica amministrazione. Le indagini della Procura di Perugia nei confronti dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara, indagato appunto per corruzione, rappresentano ad esempio uno dei primi casi in Italia di utilizzo di tale strumento investigativo.
Un strumento molto “invasivo” su cui è necessario mettere quanto prima dei paletti. Le potenzialità del trojan, come detto, sono tantissime e non tutte al momento regolamentate in maniera chiara dalle norme. Una di queste potenzialità riguarda la possibilità da parte del trojan, una volta installato nel cellulare, di acquisire tutti i documenti contenuti al suo interno. Quindi dai contatti presenti nella rubrica del telefono, alle foto o ai video conservati nella memoria: i cosiddetti “dati statici”.
La loro “apprensione”, oggi, avviene di fatto all’insaputa dell’indagato. Il gip, su richiesta del pm, autorizza l’utilizzo del trojan solo per l’ascolto delle conversazioni e non per il sequestro di dati sopra menzionati. “Serve regolamentare lo strumento con una legge che chiarisca bene questi passaggi”, sottolinea l’avvocato romano Stefano Aterno, fra gli auditi in commissione Giustizia alla Camera sul tema degli “ascolti”, e in particolare sul decreto ministeriale che stabilisce le tariffe delle prestazioni richieste dalle Procure alle società private incaricate di trattare il materiale captato. Il punto è che attualmente lo Stato italiano paga tali compagnie anche per attività, come l’acquisizione di foto e rubrica contatti, di fatto illegittime, perché assimilabili a perquisizioni che nessun gip ha mai autorizzato, come spiega Aterno.
In pratica il trojan supera il concetto della normale intercettazione divenendo uno strumento altamente invasivo. Le norme, come detto, disciplinano solo le intercettazioni “ambientali itineranti”. Per l’acquisizione di tutto il resto, servirebbe invece un provvedimento ad hoc del magistrato senza il quale non è possibile acquisire i documenti contenuti nel telefono cellulare. Questo, però, teoricamente.
La Cassazione, fino ad oggi, in tali casi ha parlato di “prova atipica” che, non essendo disciplinata dalla legge, è comunque possibile. Un altro argomento molto delicato riguarda le intercettazioni telematiche tramite flusso di dati. È il caso delle conversazioni effettuate mediante gli applicativi WhatsApp, Telegram o Signal.
Sono conversazioni “cifrate” che non vengono ascoltate come le normali intercettazioni telefoniche. In soccorso arriva sempre il trojan che, oltre a prendere tutta la messaggistica salvata nella memoria del cellulare, riesce ad intercettare anche la conversazione. Più precisamente ascolta la chiamata effettuata dal soggetto nel cui cellulare è stato installato il captatore.
La conversazione viene registrata per intero se si utilizza il vivavoce, e quindi accedendo al microfono del telefono. Ecco quindi l’invito rivolto alla commissione Giustizia da parte dell’avvocato Aterno, e che il deputato di Azione Enrico Costa ha già dichiarato essere pronto a far proprio con emendamenti ad hoc al testo in discussione circa le modifiche al decreto 161 del 2019 la riforma che ha introdotto “modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni”.
Nella nuova previsione normativa la questione della captazione da remoto o “perquisizione occulta” di documenti o altri dati che non rientrano nel concetto di “comunicazioni” o “comportamenti comunicativi” dovrà essere ben esplicitata. Essendo possibile con il captatore acquisire da remoto documenti e file, andranno previste le opportune garanzie difensive. Ad esempio, la notifica all’indagato dell’atto di perquisizione classico.
Questa attività di perquisizione o ispezione informatica oggi, invece, non è oggetto del ricordato decreto 161 proprio per mancata previsione da parte del legislatore. Servirà, allora, prevedere in futuro tali mezzi di ricerca della prova (con le opportune garanzie difensive come la notifica ritardata del provvedimento) al fine di evitare che la giurisprudenza ricorra ancora al concetto di “prova atipica” per legittimare attività con il captatore molto più simili alle ispezioni e alle perquisizioni piuttosto che alle intercettazioni.
Per questo tipo di attività di captazione informatica e per il suo tentativo di regolamentarlo da tempo esiste una proposta che cercò di prevedere un nuovo mezzo di ricerca della prova, attraverso l’introduzione di un articolo 254-ter nel codice di procedura penale in materia di osservazione e acquisizione da remoto.
Va infine rilevato che gli strumenti in uso alla criminalità impongono nuove e maggiori tecniche di captazione e di elusione degli apparati di cifratura (ormai con i telefoni Encrochat, cellulari cifrati olandesi BQ Acquaris, per citare solo alcuni, il solo captatore non serve più a nulla essendo necessari nuovi e diversi strumenti di hacking), pertanto è più corretto e, in previsione futura, più efficace parlare di “attività di captazione informatica” al fine di prevedere ed estendere a livello normativo le opportune garanzie menzionate proprio dal Dl 161 anche tutte le altre attività di captazione che la tecnologia rende e renderà possibile nel futuro e che non sono basate solo sul captatore, ma sullo sfruttamento, in generale e in sintesi, delle vulnerabilità di sistema.
Ultimo accenno, infine, alle società private che forniscono all’autorità giudiziaria i software spia. Nel loro caso è importante verificare le modalità di gestione del dato acquisito, con un controllo puntuale sui server utilizzati. Oltre che sulle tariffe attualmente previste per servizi non coperti dalla legge.
Palamaragate, il Gip chiede ai Pm di Firenze di non insabbiare la fuga di notizie |
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di Paolo Comi
Il Riformista, 5 aprile 2021
“Sussiste senza dubbio” il reato di rivelazione del segreto, gli autori sono stati dei “pubblici ufficiali” e la Procura deve compiere gli “opportuni approfondimenti investigativi” per individuare “i responsabili della indebita propalazione”. È quanto scrive Sara Farini, gip del Tribunale di Firenze, a proposito della fuga di notizie relativa all’indagine di Perugia, rispondendo a una nota dei pm della locale Procura. A distanza di quasi due anni dai fatti, dunque, siamo ancora a questo punto: da Erode a Pilato. I fatti sono stranoti.
Il 29 maggio 2019, Repubblica, Corriere e Messaggero pubblicarono la notizia dell’indagine della Procura umbra, gestione Luigi De Ficchy, a carico dell’ex zar delle nomine. “Corruzione al Csm: il mercato delle toghe”, scrisse Repubblica; “Una inchiesta per corruzione agita la corsa per la Procura di Roma”, il Corriere; “L’accusa al pm Palamara complica i giochi per la Procura di Roma”, il Messaggero. Gli articoli erano tutti molto dettagliati.
Il pezzo di Repubblica, in particolare, riportava alcuni elementi che erano emersi grazie alle intercettazioni effettuate con il trojan inserito nel cellulare di Palamara. Ad esempio, i colloqui fra quest’ultimo e Cosimo Ferri, deputato allora del Pd ed esponente di spicco della corrente di destra delle toghe, Magistratura indipendente, relativi alla nomina del successore di Giuseppe Pignatone al vertice della Procura di Roma.
Il Corriere, invece, non era bene informato come Repubblica, limitandosi a scrivere che la Procura di Perugia aveva notiziato il Consiglio superiore della magistratura dell’indagine nei confronti di Palamara, ricordando poi che l’ex presidente dell’Anm aveva fatto domanda per diventare aggiunto a Roma. Il giorno dopo, il 30 maggio, Palamara venne perquisito all’alba dal Gico della guardia di finanza. Insieme a lui erano indagati anche l’allora togato del Csm Luigi Spina e il pm romano Stefano Rocco Fava.
Il Corriere in edicola quella mattina, recuperando il parziale buco del giorno prima, dava la notizia dei motivi della perquisizione, informando i lettori anche che Palamara negli ultimi mesi era stato costantemente “monitorato” duranti i suoi incontri notturni. Da allora Corriere e Repubblica iniziarono una campagna pancia a terra pubblicando per giorni stralci di intercettazioni ambientali che riguardano anche la sfera privata di Palamara, non trascurando i consiglieri del Csm che avevano partecipato al dopo cena all’hotel Champagne e che poi furono costretti alle dimissioni. Un romanzo a puntate.
Il risultato fu che la nomina del procuratore generale di Firenze, Marcello Viola, a procuratore di Roma, votata in Commissione per gli incarichi direttivi del Csm il precedente 23 marzo e pronta per andare in plenum in quei giorni, saltò, per poi essere definitivamente annullata nelle settimane successive. Vale la pena di ricordare che al Csm vennero, fino alla chiusura delle indagini di Perugia avvenuta il 20 aprile 2020, trasmessi pochissimi atti.
Nonostante ciò, il 5 luglio 2019 il Corriere riportò alcuni passi degli interrogatori di Palamara avvenuti il 30 e il 31 maggio davanti ai pm di Perugia. E lo stesso fece Repubblica. Un filone investigativo, poi, finì in tempo reale sui giornali, con le dichiarazioni di alcuni imprenditori che avevano effettuati dei lavori edili, frutto di una presunta corruzione, per un’amica di Palamara. Gli imprenditori erano stati interrogati a giugno del 2019 mentre erano sottoposti ad intercettazione telefonica. Uno di loro verrà risentito a luglio, modificando la testimonianza in modo da renderla più aderente a quanto riportato dai giornali.
La Procura di Perugia ha sempre sottolineato che gli atti d’indagine non fossero “ostensibili” per il segreto istruttorio. Il 26 luglio 2019 il pm di Perugia Mario Formisano, titolare del fascicolo insieme alla collega Gemma Miliani, come riportato dalla Verità, affermerà che le fughe di notizie avevano “rovinato l’inchiesta”. Palamara, pur essendo la rivelazione del segreto procedibile d’ufficio, ha presentato lo scorso novembre un esposto alla Procura di Firenze, competente per i reati commessi dai magistrati umbri, chiedendo di svolgere accertamenti. Fra le richieste, il sequestro dei telefoni e l’acquisizione dei tabulati telefonici nei confronti dei “soggetti interessati” alla fuga di notizie: “giornalisti, operatori di polizia, ecc.”.
Il gip Farini, con una nota del 27 gennaio scorso, ha respinto, come richiesto dalla Procura, le istanze di Palamara, evidenziando però che non risultano essere mai stati compiuti atti d’indagine per i soggetti “che possono essere venuti in contatto con le notizie segrete”. Da qui, dunque, l’invito alla Procura a “circoscrivere” la platea di questi soggetti e ad effettuare gli “opportuni approfondimenti investigativi”. La tempistica gioca, ovviamente, a favore degli autori della fuga di notizie: dopo due anni i tabulati vengono cancellati per legge dai gestori telefonici. Il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, come si ricorderà, è attualmente sotto disciplinare al Csm per presunte molestie nei confronti della pm antimafia Alessia Sinatra.
di Viviana Lanza
Il Riformista, 5 aprile 2021
Il caso del Tribunale di Sorveglianza napoletano, sollevato dalle Camere penali del distretto di Napoli che ne hanno denunciato lungaggini e criticità, finisce ora all’attenzione della guardasigilli Marta Cartabia. Riccardo Magi, deputato di +Europa e già segretario nazionale di Radicali Italiani, ha presentato un’interrogazione a risposta scritta al ministro Marta Cartabia per sapere “quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministero interrogato intenda adottare e in quali tempi al fine di risolvere le criticità relative al Tribunale di Sorveglianza di Napoli e garantire così il pieno rispetto dei principi costituzionali in materia di esecuzione della pena”.
In premessa ci sono le denunce e i numeri di un settore in grande affanno. Il quadro emerge dalle cifre del bilancio che annualmente elaborano gli uffici giudiziari in occasione del nuovo anno giudiziario e dalle disfunzioni indicate nel documento firmato pochi giorni fa dai presidenti delle Camere penali di Napoli, Benevento, Irpinia, Napoli Nord, Nola, Santa Maria Capua Vetere e Torre Annunziata. Un documento di denuncia e di ferma presa di posizione e che ha segnato lo strappo tra i penalisti e la neopresidente Angelica Di Giovanni, la quale ha chiesto al Csm di aprire una pratica a tutela di tutte le toghe della Sorveglianza.
“Il 21 marzo – ricostruisce il deputato Magi nell’interrogazione al Ministro – le Camere penali del distretto di Corte d’appello di Napoli hanno divulgato un documento in cui denunciano le gravi criticità in cui versa il Tribunale di Sorveglianza di Napoli. Vengono lamentati tempi lunghissimi per la registrazione delle istanze provenienti dai detenuti e dai loro difensori, continui rinvii delle udienze dovuti a carenza o assenza di istruttorie, intempestività dei provvedimenti rispetto al fine pena o alle esigenze degli istanti, ritardi nella decisione delle richieste di detenzione domiciliare per motivi di salute e ulteriori criticità e disfunzioni”.
In particolare, la denuncia dei penalisti punta l’attenzione sui ritardi delle decisioni sulla libertà anticipata che arrivano quando ormai il detenuto ha terminato di scontare la pena; sulle attese anche di un anno per la fissazione delle udienze per la concessione di misure alternative a cui spesso si aggiunge il rinvio della prima udienza che va avuto perché il fascicolo è incompleto; su fatto che le istanze per il differimento della pena per i detenuti che hanno problemi di salute restano pendenti per mesi mentre, al di là della valutazione di merito, dovrebbero avere priorità poiché riguardano la salute della persona.
“Le gravissime e croniche disfunzioni del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, rese ancora più acute dall’attuale contesto emergenziale, ormai non sono più tollerabili – si legge nel documento firmato dai penalisti – La sistematica, atavica e non più tollerabile compressione dei diritti dei detenuti da parte dell’Ufficio di Sorveglianza di Napoli necessita di risposte ferme e tempestive e di un’assunzione di responsabilità da parte di tutti i protagonisti della giurisdizione”.
Nell’interrogazione a Cartabia, Magi sottolinea i dati del bilancio annuale del Tribunale di Sorveglianza: un incremento del 21% delle pendenze con oltre 52mila procedimenti arretrati e una sopravvenienza che risulta la più alta in Italia. Il deputato ricorda anche gli sforzi compiuti dalla ex presidente Adriana Pangia, che è in pensione da pochi mesi e negli anni scorsi ha più volte rappresentato alla politica le criticità e le croniche carenze di organico che affliggono il Tribunale di Sorveglianza napoletano, ma “la risposta – evidenzia Magi – è stata assolutamente insufficiente”.
Ci sono vuoti di organico sia tra i magistrati sia, e soprattutto, tra il personale amministrativo fino a scoperture che superano il 40%. “Tale situazione – si legge nell’interrogazione – incide come osservato dalle Camere penali sulla legalità costituzionale della pena e sui diritti fondamentali dei detenuti”, “sul sovraffollamento carcerario che nell’attuale situazione di emergenza sanitaria sta già esponendo i detenuti a un elevato rischio di contagio” e “sulla qualità e utilità dell’esecuzione della pena”. Di qui la richiesta “urgente” di provvedimenti, anche di natura emergenziale.
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