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Csm: Ciechi Muti Sordi o Centro di Salute Mentale? di Marco Travaglio | 8 MAGGIO 2021

Csm: Ciechi Muti Sordi o Centro di Salute Mentale?

di Marco Travaglio | 8 MAGGIO 2021

Anche nell’amarissimo caso Amara, il Csm si conferma l’acronimo di Ciechi Sordi e Muti, per non dire di Centro di Salute Mentale. L’avvocato esterno dell’Eni, noto depistatore, taroccatore di prove, corruttore di magistrati (ha patteggiato) mette a verbale a Milano una nuova loggia P2 chiamata Ungheria, piena di magistrati, politici, avvocati, big di vari apparati.

Il pm Storari litiga coi capi perché vuole iscrivere subito Amara e gli altri due che ammettono di far parte della loggia, mentre i capi vanno coi piedi di piombo e aspettano cinque mesi.

Storari ne parla per autotutela con Davigo e gli mostra il contenuto dei verbali (senza violare il segreto, che Davigo – membro del Csm – è tenuto a custodire). Davigo scopre che Amara tira in ballo due colleghi del Csm, il suo compagno di corrente Ardita e Mancinetti.

Quindi non può seguire le vie formali, cioè investire tutto il Csm con una relazione di servizio. Altrimenti i due consiglieri verrebbero a sapere delle accuse (o calunnie) a loro carico. E lui commetterebbe due reati: violazione di segreto e favoreggiamento personale.

Il 4 maggio, nella prima trasferta a Roma dopo il lockdown, racconta tutto al vicepresidente Ermini (anche lui tenuto al segreto), perché ne informi il presidente Mattarella. Ermini lo fa. Davigo avvisa anche gli altri due membri del Comitato di Presidenza: il Pg della Cassazione Salvi e il primo presidente Curzio.

Dice qualcosa anche a tre consiglieri che gli chiedono perché non parla più con Ardita, vincolando anch’essi al segreto. Poi lo mandano in pensione. La sua ex segretaria – secondo l’accusa – prende i verbali non firmati passati da Storari a Davigo e li porta al Fatto, che non li pubblica e li porta a Milano.

Per quattro motivi. 1) Siamo un giornale, non una buca delle lettere. 2) Amara è un depistatore e potrebbe averli fabbricati a tavolino. 3) La loggia Ungheria potrebbe essere una sua invenzione e pubblicare i suoi verbali sputtanerebbe decine di innocenti. 4) La loggia Ungheria potrebbe esistere davvero e spiattellarla coram populo a inizio indagini significherebbe rovinarle e rendersi complici di un depistaggio per salvare chi ne fa parte.

Ora che i fatti iniziano a emergere, poche cose sono chiare come questa: se Davigo, tentando di avvertire i vertici del Csm senza perforare il segreto sulle indagini, ha sbagliato qualcosa, perché i colleghi a cui ne parlò glielo contestano dopo un anno? Tra i pochi con cui ne parlò c’era il Pg Salvi. Se riteneva che Davigo dovesse stilare una relazione, perché non gliela chiese? E, se pensava che avesse violato qualche norma, perché non gli attivò un’azione disciplinare, di cui è il titolare? Quando ciascuno si assumerà le proprie responsabilità, sarà sempre troppo tardi.

Davigo diede anche un rapporto scritto al vicepresidente Ermini

Davigo diede anche un rapporto scritto al vicepresidente Ermini
Entrano in scena un nuovo testimone, il presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, e un’informativa scritta e consegnata dall’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo al vicepresidente del Csm David Ermini.

Partiamo da Nicola Morra. Il senatore ha voluto inviare ai pm di Roma una nota scritta nella quale ricostruisce quel che sa sulla questione dei verbali consegnati in copia informale dal pm Paolo Storari (indagato per rivelazione di segreto, sarà interrogato oggi a Roma) all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo nell’aprile del 2020, a Milano.

Al Fatto risulta che questa sia la versione di Morra: il senatore andò a parlare con Piercamillo Davigo intorno al giugno dello scorso anno perché era dispiaciuto della sua frattura con Sebastiano Ardita. I due consiglieri del Csm sono stimati e considerati dal senatore un riferimento. Quando Morra cercò di comporre la frattura però spiega il senatore: “Davigo mi mostrò queste carte e mi disse che mi parlava in qualità di presidente della commissione antimafia, tanto è che io ho mantenuto il riserbo finora anche perchè attendevo che si facessero i riscontri doverosi. Ricordo che mi fece andare sulla tromba delle scale come se ci fossero problemi a mostrarle nel suo studio. Se non ricordo male lui aprì un armadio con un’anta a vetri e li prese. Ci allontanammo dalla stanza e mi raccontò che c’era un collaboratore di giustizia che stava rendendo delle dichiarazioni a una Procura del nord. Non mi disse né la città, né il nome dei pm, né il nome del collaboratore. Non parlò di un dissidio tra sostituto e procuratore capo. Mi mostrò le carte ma io non sono uno specialista e non so se un consigliere del Csm avesse diritto ad averle. Questo collaboratore – mi disse Davigo – stava rendendo dichiarazioni sull’esistenza di una loggia massonica occulta alla quale apparteneva anche Sebastiano Ardita (circostanza diffamatoria come ha dichiarato al Csm il consigliere Antonino Di Matteo). Poi con il tempo ho riflettuto e ho pensato che senza riscontri quelle accuse non valevano nulla. Tanto che dopo quella conversazione ho continuato a collaborare con Ardita e ho anche presentato il suo libro (Cosa Nostra Spa, Paper First) senza che lo stesso Davigo avesse nulla da ridire”.

Morra si è deciso a scrivere per mail ai pm romani dopo averne parlato con due persone che stima, cioé Di Matteo e Ardita. La versione di Davigo combacia soltanto in parte con quella di Morra. Conferma sia l’incontro, sia l’intento pacificatorio, sia di avergli spiegato che il distacco da Ardita era legato ai verbali milanesi sulla loggia Ungheria. Poi vincola Morra al segreto d’ufficio in qualità di presidente della commissione Antimafia. Certo, va detto che Morra non è un componente del Csm – come invece nel caso di Ermini e del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi – e non ha nessuna competenza. Comunque Davigo ne parlerà poi anche con i consiglieri del Csm Giuseppe Marra, Fulvio Gigliotti e Giuseppe Cascini. Anche in questo caso per motivare, dinanzi alle loro domande, la distanza presa da Ardita e sempre vincolando i suoi colleghi al segreto. In totale, quindi, tra maggio e giugno 2020 Davigo parla della vicenda con il primo presidente della Corte di Cassazione Pietro Curzio, Ermini (che mette al corrente il Quirinale), Salvi, Morra, Marra, Gigliotti e Cascini. Con tutti parla senza stilare atti formali e a chi gli contesta la modalità scelta obietta con due argomentazioni. La prima è che non ha formalizzato la questione perché il Csm non avrebbe potuto aprire una pratica nei riguardi dei due consiglieri citati da Amara (Ardita e Marco Mancinetti) perché altrimenti avrebbe rivelato l’esistenza di un’indagine in cui si parlava di loro. La seconda è che nessuno tra Ermini, Salvi e Curzio, che come i consiglieri Marra, Gigliotti e Cascini, sono tutti pubblici ufficiali, ha avuto nulla da obiettare altrimenti avrebbero dovuto denunciarlo e questo non è accaduto. Un atto scritto però esiste: Davigo sostiene di aver consegnato un’informativa al vicepresidente del Csm David Ermini, quando, dopo averlo informato della vicenda, parlandogli anche di Ardita, lo stesso Ermini avverte il Quirinale, torna portandogli i ringraziamenti del Colle e gli dice che non sono necessarie misure ulteriori.

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