venerdì, 20 Settembre 2024
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Foto Roberto Monaldo / LaPresse 03-11-2019 Roma Politica Trasmissione tv "Mezz'Ora in Più" Nella foto Nino Di Matteo Photo Roberto Monaldo / LaPresse 03-11-2019 Rome (Italy) Tv program "Mezz'Ora in Più" In the pic Nino Di Matteo

“Il carcere a vita per i mafiosi: abolirlo è disonorare Falcone”

“Il carcere a vita per i mafiosi: abolirlo è disonorare Falcone”

“Il carcere a vita per i mafiosi: abolirlo è disonorare Falcone”
C’era da fare la guardia alla bara di Giovanni Falcone. Lo chiamano picchetto d’onore, ed è stato quel giorno che Nino Di Matteo ha dovuto indossare la toga per la prima volta. “Dopo aver realizzato il sogno di vincere il concorso in magistratura, io ed altri giovani colleghi siamo stati subito proiettati nella dimensione della tragedia”, racconta il magistrato in un’intervista sul prossimo Fq Millennium. Consigliere togato del Csm, per 25 anni Di Matteo ha indagato sui legami oscuri tra Cosa nostra e pezzi dello Stato. Quasi una carriera intera passata sotto scorta, segnata dalle minacce di morte di Totò Riina, dal piano per ucciderlo che – secondo alcuni pentiti – era stato ordinato da Matteo Messina Denaro, dagli scontri con i più alti livelli istituzionali, all’epoca dell’indagine sulla Trattativa. Una carriera che comincia proprio nel day after dell’Attentatuni, quando gli uditori del Palazzo di giustizia di Palermo risposero alla richiesta di Paolo Borsellino: allestire la camera ardente per le vittime della strage di Capaci con, accanto a ogni bara, un magistrato in toga. Anche di notte, quando dal palazzo erano andati via tutti.Di Matteo, cosa ricorda di quella notte?Il pianto sincero di tanti semplici cittadini. Lontano dai riflettori, arrivavano persone normali. Passarono dalla camera ardente di Falcone, magari prima di cominciare un’altra giornata di lavoro all’alba. E più in generale ho un ricordo di stravolgimento, che non potrò mai dimenticare. Ancora ne parlo con qualcuno di quei colleghi che, come me, erano giovani a quel tempo: sono convinto che ci porteremo per sempre dentro quel profondo coinvolgimento emotivo. Le stragi rappresentano un punto di non ritorno.

Ventinove anni dopo quel punto di non ritorno, sappiamo di non sapere. Alcune delicate indagini, tra Firenze e Caltanissetta, sono ancora in corso, altre sono state archiviate: le sentenze dicono che non conosciamo tutta la verità sulle bombe del 1992 e 1993.

Non è il caso di desistere. Non corrisponde al vero dire che non sappiamo nulla. I risultati conseguiti con le indagini e i processi sulle stragi non sono irrilevanti: non era scontato arrivare comunque all’affermazione di responsabilità di decine di esecutori materiali mafiosi.

Da decenni, però, si indaga su presunti mandanti esterni, mai – fino a oggi – individuati oltre ogni ragionevole dubbio.

È vero, ma è anche vero che la probabile cointeressenza di ambienti estranei a Cosa Nostra nell’ideazione e nell’esecuzione di quelle stragi è stata delineata proprio grazie alle indagini e ai processi. Semmai bisogna stare attenti a non celebrare quei martiri solo in un certo modo.

Sarebbe?

Fare memoria non può essere solo un esercizio retorico di devozione per le vittime di quelle stragi. Deve significare anche stimolare la ricerca della verità, per colmare le lacune che ancora ci sono. Fare memoria significa ricordare un dato oggettivo.

Quale?

Oggi stanno cominciando a realizzarsi alcuni degli scopi che Cosa Nostra intendeva perseguire nel momento in cui concepì quell’azione di ricatto allo Stato portato avanti con bombe e attentati esplosivi in tutto il Paese.

A che cosa si riferisce?

È certo che Riina e gli altri si muovessero tra le altre cose per abolire l’ergastolo, che significa veramente il fine pena mai, cioè il carcere a vita. L’apertura di alcune sentenze della Consulta e della Cedu a una sostanziale abolizione dell’ergastolo ostativo va in questa direzione. E ne sono consapevoli pure i detenuti all’ergastolo che hanno compiuto quelle stragi proprio con quest’obiettivo: ora sanno che possono sperare di tornare liberi.

I giudici della Consulta, però, hanno dato al Parlamento un anno di tempo per riscrivere la legge sull’ergastolo ostativo.

Già da qualche anno, però, quel sistema di contrasto alla criminalità organizzata si sta progressivamente smantellando. È un fatto oggettivo, e sto parlando di quel sistema di norme – che passa anche dal 41 bis – concepito da Falcone e poi finalmente entrato a pieno regime con i provvedimenti successivi alle stragi del 1992. Per approvare le leggi inventate da Falcone si è dovuta attendere la strage di Capaci. È per questo motivo che per tutta la magistratura la memoria di quei fatti deve costituire un punto di inizio dal quale ripartire.