domenica, 10 Novembre 2024
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La “mattanza” dei detenuti “Abbattiamoli come vitelli”. Negli atti giudiziari i retroscena di un pestaggio inumano, crudele, degradante una vera tortura

La “mattanza” dei detenuti “Abbattiamoli come vitelli”

La “mattanza” dei detenuti “Abbattiamoli come vitelli”

“Fu una orribile mattanza”, scrive il Gip Sergio Enea. Il 6 aprile 2020 fu un giorno di sangue e costole spezzate e torture in salsa ‘Diaz’, venti anni dopo. Fu un giorno di sospensione della democrazia e dei diritti dei detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) “sottoposti a violenze, intimidazioni e umiliazioni di indicibile gravità, senz’altro indegne per un Paese civile”. Picchiati con premeditazione, dopo perquisizioni nelle parti intime giustificate con la ricerca di microcellulari, da agenti di polizia penitenziaria coperti dai caschi e dalle mascherine. Agenti che poi lavorarono a inquinare le indagini falsificando informative, foto (per far apparire armi che non c’erano), video, nella speranza che sarebbero riusciti a occultare tutto.

Le 2.349 pagine delle misure cautelari notificate a 52 tra funzionari e agenti della polizia penitenziaria – 8 in carcere, 18 ai domiciliari, 3 obblighi di dimora, 23 sospensioni dal pubblico ufficio – accusati a vario titolo di tortura, lesioni aggravate, maltrattamenti aggravati, falso, calunnia, favoreggiamento, frode processuale e depistaggio, dipingono uno scenario da regime sudamericano. Quel giorno entrarono in azione 283 agenti di polizia penitenziaria. Fecero passare come “perquisizione”, secondo i pm, il pestaggio scientifico e organizzato di 292 detenuti del ‘Reparto Nilo’, trasferiti dalle celle alla sala ricreativa e poi fatti correre in mezzo a “corridoi umani” nei quali venivano percossi con schiaffi, calci e manganelli. Per gli inquirenti, fu una ritorsione per le rivolte del 9 marzo e del 5 aprile di detenuti preoccupati per i rischi del contagio a inizio pandemia, e per la scoperta di un caso di positività. Undici mesi di indagini della Procura sammaritana guidata da Maria Antonietta Troncone, tra intercettazioni, analisi della videosorveglianza interna e testimonianze di almeno 70 detenuti vittime dei pestaggi (uno era in carrozzella), hanno dimostrato “che nessun detenuto ha mai opposto resistenza alcuna all’attività di perquisizione” e l’unico loro sforzo fu quello di proteggersi dai colpi “fino a un vero e proprio linciaggio al suolo”. I video parlano da soli. Si vedono detenuti costretti a un “prolungato inginocchiamento” sotto i cazzotti. E parlano da soli anche i messaggi estrapolati dai cellulari degli indagati, prima e dopo la mattanza. “Li abbattiamo come i vitelli… si chiude il Reparto Nilo per sempre… spero che si pigliano tante di quelle mazzate i… 4 ore di inferno per loro… non si è salvato nessuno”. Non solo. Qualcuno si compiace: “Applauso finale ai colleghi di Santa Maria… aho ci siamo rifatti, 350 passati e ripassati… amo vinciut (abbiamo vinto, ndr)… Qualche ammaccato tra i detenuti, cose normali”. L’indagine ha affrontato anche la morte di un detenuto, avvenuta il 4 maggio. Schizofrenico, schiantato da un mix di oppiacei. “Non doveva stare in isolamento” secondo i pm, ma per il Gip fu un suicidio.

Il Sappe, sindacato della polizia penitenziaria, si dichiara “sorpreso da provvedimenti abnormi”. Anche il ministro di Giustizia, Marta Cartabia, ha rinnovato fiducia nel corpo di penitenziaria.