L’inflazione galoppante negli Stati Uniti ha solo marginalmente influenzato in negativo Wall Street, è stata quasi ignorata dalle obbligazioni ed ha avuto effetti rilevanti soltanto sul dollaro, in forte apprezzamento su euro.
Se la reazione ad un rincaro dei prezzi al consumo di parecchio più alto del previsto è stata così blanda sulle azioni, è perché prevale un atteggiamento di sfiducia sulla durata e sulla sostenibilità della ripresa economica in atto: nel medio-lungo periodo, l’incremento degli affitti, dei biglietti aerei e dei prezzi delle auto usate dovrebbe dovrebbe placarsi, ma allo stesso tempo, il trend di fondo del ciclo economico dovrebbe perdere vigore a causa dello strutturale problema della demografia.
Probabilmente per questa ragione, i bond a lunga ed a lunghissima scadenza hanno quasi del tutto ignorato il dato sull’inflazione, anzi, subito dopo la pubblicazione, il rendimento del trentennale, scendeva. La curva dei tassi, rappresentata dal differenziale tra il decennale ed il biennale, si è solo di poco fatta più ripida, stamattina lo spread è di nuovo in calo a 114 punti base.
Prevale sopra ogni cosa, la convinzione che la Federal Reserve non possa permettersi di chiamarsi fuori e continuerà di conseguenza a dare una mano: per il momento tollerando il surriscaldamento dell’inflazione, successivamente, continuando ad erogare sostegni ad un’economia che sta molto meglio di prima ma ha di fronte una lunghissima convalescenza. In questo contesto, anche le varianti del virus e lo scarso successo delle campagne vaccinali negli stati più vicini a Trump, sono elementi positivi, in quanto sono dei freni alla crescita che allontano il momento dell’uscita di scena della banca centrale.
Questo tipo di considerazioni hanno solo lievemente depresso ieri in serata Wall Street (S&P 500 -0,35%, Dow Jones -0,3%, Nasdaq -0,4%): stamattina i future sono piatti.
In Asia, il balzo superiore alle previsioni dell’economia di Singapore nel secondo trimestre, non ha effetti rilevanti sulle borse. Il Nikkei di Tokyo si avvia a chiudere in ribasso dello 0,2%. Più ampia la variazione negativa dell’Hang Seng di Hong Kong (-0,5%) e del CSI 300 dei listini di Shanghai e Shenzen (-0,9%). Quel che è diventato nelle ultime settimane un indicatore dello stato di salute del mercato finanziario della Cina, il bond in dollari del pericolante conglomerato cinese Huarong, è tornato a segnalare stress: per effetto delle vendite degli ultimi giorni, il prezzo si è riavvicinato ai minimi di aprile, nei giorni successivi all’annuncio del posticipo a data da definirsi della pubblicazione dei conti del semestre.
In Asia Pacifico c’è una borsa in lieve rialzo, è quella di Taipei: +0,2%. In questo listino, ad alta densità di società dell’alta tecnologia, si mettono in luce soprattutto i fornitori di Apple, tra questi il colosso Taiwan Semiconductor, in rialzo per il terzo giorno consecutivo il giorno prima della pubblicazione dei dati del trimestre. Bloomberg ha scritto stanotte che Apple abbia previsto di arrivare a produrre 90 milioni di iPhone di ultima generazione, il 20% in più dei volumi del 2020.
Le materie prime si sono placate nelle ultime ore, dopo qualche giorno di apprezzamento generalizzato: l’indice Bloomberg Commodity (94,3) è in calo dopo quattro giorni consecutivi di rialzo.
Il petrolio WTI tratta a 75 dollari il barile, in calo dello 0,5%, dopo il +1,5% di ieri.
Oro a 1.813 dollari l’oncia.
Il future del grano, +39% da inizio anno, è piatto stamattina dopo tre giorni di apprezzamento. Lunedì il Dipartimento per l’agricoltura degli Stati Uniti ha rivisto al ribasso le stime sulla produzione del Brasile, un altro dei paesi colpito della siccità.