Il procuratore nazionale: “È un forte indebolimento della lotta a terrorismo, mafie, corruzione: lesione alla sicurezza del Paese”
“Una lesione alla sicurezza del sistema democratico del nostro Paese”. “Un indebolimento della lotta alle mafie”. “Converrà di più delinquere”. “Il cinquanta per cento dei processi saranno improcedibili”. È cominciata malissimo ieri la giornata per la guardasigilli Marta Cartabia, la cui riforma della giustizia è stata fatta a pezzi dalle audizioni, in commissione alla Camera, del procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho e del capo della Procura di Catanzaro Nicola Gratteri. La ministra, dal canto suo, incontrando i capi degli uffici giudiziari della Corte d’appello di Napoli ha cercato di tenere il punto: “Lo status quo non è un’opzione sul tavolo”. E anche in quella sede non è andata un granché bene col procuratore generale Luigi Riello che non si è tirato indietro: “Mi sembrerebbe molto triste dover trarre la conclusione che l’unico modo di fare i processi in questo Paese sia non farli, sia offrire ponti d’oro agli imputati per indurli a scegliere, a suon di sconti, saldi, liquidazioni e riti alternativi”.
A Roma, appunto, nelle stesse ore il dibattito sulla riforma si spostava in commissione Giustizia a Montecitorio. Il primo a sedersi di fronte ai deputati è stato Gratteri, subito pronto a denunciare “un grande allarme sociale che riguarda la sicurezza: il cinquanta per cento dei processi finiranno sotto la scure della improcedibilità. E temo che i sette maxi processi contro la ’ndrangheta che si stanno celebrando nel distretto di Catanzaro saranno dichiarati tutti improcedibili in appello. Uno dei punti qualificanti della riforma Cartabia è, appunto, l’improcedibilità dell’azione penale che prevede l’annullamento della sentenza di condanna eventualmente pronunciata nei gradi precedenti trascorsi due anni e un anno rispettivamente in appello e Cassazione. È una disposizione che avrà come effetto quello di travolgere un enorme numero di sentenze di condanna con tutto ciò che questo comporta”. L’improcedibilità renderebbe quasi impossibili i processi con molti imputati. Il lavoro di anni, per Gratteri, rischia di andare in fumo per colpa (o merito, dipende dai punti di vista) del governo “dei migliori”, capace di arrivare dove neppure nel Ventennio berlusconiano si era arrivati con le cosiddette riforme della giustizia e i continui attacchi pubblici alla magistratura.
La riforma Cartabia è un vero colpo di mano, infatti, per Gratteri, che ha continuato: “In termini concreti le conseguenze saranno la diminuzione del livello di sicurezza per la nazione, visto che certamente ancor di più conviene delinquere”.
Se le parole di Gratteri bastavano a mandare di traverso il caffè alla guardasigilli e anche al premier Mario Draghi, il carico da novanta è arrivato poco dopo, quando sulla stessa seggiola di Montecitorio si è seduto il procuratore nazionale Antimafia De Raho: “Non è per nulla condivisibile che un procedimento per un delitto di mafia o di terrorismo diventi improcedibile, perché nella fase di appello non si è pervenuti a sentenza nei due anni o non è stato prorogato il termine dal giudice procedente. Il contrasto alle mafie ne uscirebbe fortemente indebolito. L’esigenza della ragionevole durata del processo richiede il superamento degli ostacoli che impediscono alla macchina della giustizia di muoversi velocemente, rendendo la giustizia più efficiente e consentendole di celebrare i processi in tempi rapidi, coprendo o aumentando gli organici dei magistrati e fornendo di assistenza necessaria l’attività giudiziaria. La durata dei gradi di giudizio – ha concluso De Raho con un’ultima sberla al governo – non può rendere improcedibili i delitti di mafia, di terrorismo e di corruzione, rappresentando essi una lesione alla sicurezza del sistema democratico del nostro Paese”.
Pure i giudici di Napoli umiliano la ministra: “Riforma per impuniti”
All’Attacco – Il pg Luigi Riello: “Beffa per le vittime”
Doveva essere una delle tante visite nei tribunali per iniziare a toccare con mano lo stato della giustizia in Italia. E invece quello di ieri mattina si è trasformato in un processo alla ministra Marta Cartabia, rea di aver firmato una riforma del processo penale che ha fatto arrabbiare i magistrati. E anche a Napoli dove ieri la ministra ha partecipato a un dibattito con il presidente della Corte di appello Giuseppe De Carolis, il procuratore generale Luigi Riello e il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, Antonio Tafuri.
I due giudici hanno attaccato la ministra per la nuova prescrizione che scatta se il processo non si celebra in 2 anni in Appello e un anno in Cassazione. Un’ipotesi insostenibile per una corte, quella di Napoli, dove la media dei processi di Appello è di oltre quattro anni. E così, nel convegno di ieri mattina la riforma è stata stroncata, con grande imbarazzo della ministra presente al tavolo dei relatori. Il primo è stato il presidente della Corte di appello, Giuseppe De Carolis: “Basta guardare i numeri per capire che molti processi saranno improcedibili – ha detto – nel 2021 abbiamo 57 mila processi pendenti e di fronte ai 235 magistrati in primo grado, nel distretto di Napoli ci sono solo 39 giudici in Corte d’Appello. La sproporzione è evidente”. De Carolis ha anche spiegato che sarà quasi impossibile rispettare i tempi perché i tribunali di primo grado “trasmettono gli atti dopo un anno o due anni dalla sentenza quindi ci restano solo 2, 3, 6 mesi per fare il processo o in alcuni casi sarà già improcedibile”. Risultato: “La stragrande maggioranza dei reati finirà impunita e non è un bel segnale in un territorio colpito dalla criminalità organizzata – ha concluso De Carolis – Le condizioni sono proibitive”.
Poi è intervenuto il procuratore generale Luigi Riello che è stato ancora più duro con la Cartabia che in un’intervista al Corriere aveva detto che se a Milano “ce la fanno” a celebrare i processi in due anni, possono farcela anche a Napoli: “Non è così– ha detto Riello – e non perché i magistrati di Napoli siano scansafatiche, ma perché l’organico è inadeguato”. Riello ha usato una metafora ferroviaria per descrivere come sarà la nuova prescrizione: “Se salgo sul frecciarossa Napoli-Roma può capitare che per un guasto ci si mette due ore e mezzo invece che un’ora ma è comunque meglio arrivare in ritardo che dover scendere nelle campagne di Frosinone quando scatta il tempo: è triste che il modo per risolvere il problema dei processi sia non farli”. Quella dei processi, ha concluso Riello, sarà “una morte annunciata” e una “beffa” per le vittime. In conclusione è intervenuta la ministra, palesemente imbarazzata. Cartabia ha detto che, restando nella metafora, non si può far fermare i frecciarossa ma nemmeno “tornare al calesse” (ovvero ai tempi lunghi). “La giustizia – ha concluso Cartabia – deve funzionare perché è un presidio contro la legge del più forte”. Il rischio, con la nuova norma, è che sia esattamente il contrario.
Alessandra Dolci: “Sulla base dei numeri già si capisce che non funzionerà: è un’amnistia”
Anche gli imputati mafiosi potranno godere dell’improcedibilità escogitata dalla riforma Cartabia. Lo teme Alessandra Dolci, il procuratore aggiunto di Milano a capo della Direzione distrettuale antimafia.
Rendere “improcedibili” i procedimenti che durano più di 2 anni in Appello e più di 1 in Cassazione è una buona soluzione per rendere più veloci i processi?
Forse sì, in un mondo ideale. Ma nel nostro mondo, questo diventa il modo migliore non per renderli più veloci, ma per mandare al macero migliaia di processi. È una sostanziale amnistia. Per definire un procedimento in Italia ci vogliono in media 1.038 giorni. E ci sono sette distretti di Corte d’appello che sforano questo dato. Anche solo sulla base di questi numeri si capisce che questa riforma non funziona. Per assicurare la ragionevole durata dei processi si dovrebbe aumentare gli organici dei magistrati e del personale giudiziario. Nelle Corti d’appello abbiamo un arretrato in media di due anni, i procedimenti che andrebbero a regime con la nuova disciplina andrebbero in coda a quelli già pendenti. Con quale risultato? L’improcedibilità generalizzata. E poi, che cosa facciamo delle condanne in primo grado, dopo che il giudice d’appello ha dichiarato improcedibile il procedimento perché è scaduto il tempo? Delle carenze d’organico della giustizia italiana, del resto, ha parlato anche il commissario europeo alla Giustizia.
Ma ci ripetono che questa riforma della giustizia la dobbiamo fare perché ce lo chiede l’Europa.
L’Europa non ci chiede questa riforma, ci chiede di fare processi più veloci, abbattendo i tempi, per la giustizia penale, del 25 per cento. Gli interventi potrebbero essere l’aumento degli organici e la riduzione del numero dei processi, anche togliendo l’impossibilità di reformatio in pejus, cioè l’impossibilità di aumentare la pena in Appello. In Francia, le impugnazioni sono solo nel 40 per cento dei processi. Da noi invece quasi tutte le sentenze vengono impugnate, anche quelle di patteggiamento, spesso oggetto di ricorso per Cassazione: un continuo tentativo di prender tempo per allontanare l’esecuzione della condanna.
Questa riforma avrà impatti anche nei procedimenti di criminalità organizzata?
Le Direzioni distrettuali antimafia sono competenti anche per reati come il traffico illecito di rifiuti, spesso organizzato dalle mafie: la riforma potrebbe d’ora in avanti azzerare questi processi. Così pure quelli per reati fiscali, che contestiamo (aggravati dell’agevolazione mafiosa) ai gruppi di criminalità organizzata che in Lombardia hanno vocazione imprenditoriale.
Il Parlamento dovrà dettare le priorità sui reati da perseguire.
È una proposta che presenta evidenti profili d’incostituzionalità. L’azione penale è obbligatoria e il pubblico ministero è indipendente. Ed è chiaro che le priorità sono diverse a Palermo e a Bolzano.
Come ottenere, allora, l’abbreviazione dei tempi del processo?
Questa riforma sembra avere un retropensiero: che i magistrati lavorano poco e dunque bisogna imporre loro dei tempi. Ma le statistiche europee dicono che i magistrati italiani sono tra i più laboriosi. Le strade per ridurre i tempi devono essere diverse da quelle di far scattare prescrizione o improcedibilità: ridurre il numero dei processi con una radicale depenalizzazione dei reati minori, filtri ai ricorsi in appello e in Cassazione, fine del divieto di reformatio in pejus, procedibilità a querela di parte per alcuni reati per i quali oggi si procede d’ufficio. Poi vorrei ricordare che non sento mai parlare delle vittime e delle parti offese. Potrebbe capitare a tutti noi di diventarlo, per esempio con le truffe online che oggi colpiscono migliaia di cittadini che chiedono giustizia. Che fine faranno, domani, i loro processi?