L’operaio di lettere. Pennacchi
1950-2021. Morto all’improvviso lo Strega 2010
Coppola e sciarpa rossa, sguardo scanzonato, lingua impertinente. Una figura inconfondibile nello stagno conformista della nostra narrativa. Antonio Pennacchi, morto di infarto ieri a 71 anni, incubo di tutti i suoi uffici stampa in Mondadori per il temperamento sanguigno (le sue partecipazioni televisive erano sorvegliate col batticuore per il timore di qualche battutaccia di troppo), non abbandonava mai le sue sigarette e un senso del dovere che aveva radici nella sua esperienza professionale. “Non è un piacere scrivere, ma dolore” era solito ribadire, memore dei suoi turni di notte alla Fulgorcavi.Ha scritto i suoi libri con la stessa tenace abnegazione con la quale ha attraversato trent’anni di fatica e di sudore in una “fabbrica che ci avrà fatto pure ammalare, però ci ha dato da campare a noi e alle nostre famiglie”. Un operaio, che si è fatto scrittore, lontanissimo dallo stereotipo dell’intellettuale borghese del generone romano, uno che è entrato nel salotto buono della letteratura dopo una vita esposta all’amianto. Nessuna via di fuga nel sottobosco editoriale a pietire collaborazioni e strapuntini. Pennacchi viveva della sua pensione di operaio e dei diritti d’autore.
Era riuscito a strappare al suo destino apparentemente inamovibile una laurea in lettere alla Sapienza, profittando di un periodo di cassa integrazione. Quando prova a misurarsi con il demone della scrittura non può che raccontare se stesso e la propria esperienza. Porta a termine una storia di lotte operaie e di rivendicazioni sindacali, mostrando la condizione dei lavoratori in tutta la loro impudicizia. “L’unico modo di conoscere me stesso è capire gli altri”, aveva affermato in un’intervista, quasi una dichiarazione di poetica, la traccia di tutta la sua narrativa.
L’esordio, Mammut, esce solo nel 1994 da Donzelli dopo avere collezionato la bellezza di 55 rifiuti. Non si arrende l’operaio diventato scrittore, consapevole che la verità del suo racconto saprà fare giustizia delle trame inverosimili di certa narrativa. Una tigna che lo ha portato a trionfare al premio Strega nel 2010 con Canale Mussolini: la storia dei Peruzzi e dell’Agro Pontino, fino al 1930 un deserto paludoso malarico con continui flussi migratori, prima veneti, poi ferraresi e friulani che si mischiano e diventano un popolo che costruisce la città di Latina si lancia verso l’espansione del boom economico. Una saga proseguita con Canale Mussolini. Parte seconda e La strada del mare, uscito lo scorso anno e centrata sugli anni Cinquanta.
Aveva scelto di defilarsi, di diradare la sua attività pubblica, fedele alla sua vena fumantina: “Mi rifiuto di andare in quei teatrini, mi hanno rotto i coglioni”. Forse scontava la delusione di una certa marginalità dopo i fasti del Premio Strega. Successo che aveva redento le sue radici dimesse. Dopo un primo approccio con la destra, in contrasto con i fratelli, si avvicina al marxismo e partecipa alle contestazioni del Sessantotto.
Il suo Il fasciocomunista del 2003 (da cui il film Mio fratello è figlio unico di Luchetti, con Riccardo Scamarcio, Elio Germano, Luca Zingaretti et al.) racconta il suo stesso turbamento ideologico nella storia di Accio Benassi, che passa dal Movimento sociale italiano (Msi, ndr) a un gruppo maoista, con tanto di cameo di Pier Paolo Pasolini, col quale litiga dopo un passaggio in autostop.
Fonte: di Crocifisso Dentello | 4 AGOSTO 2021/ Il Fatto Quotidiano
Secondo me “Il delitto di Agora”
è IL SUO MIGLIORE LIBRO.
Ispirandosi a fatti realmente accaduti rielaborati con le armi della letteratura, Antonio Pennacchi tesse un romanzo giallo inconsueto e imprevedibile, un dramma esistenziale sulla spasmodica ricerca della Verità che, già pubblicato con il titolo Una nuvola rossa, torna corretto, ripreso e riscritto con nuovi sviluppi e un inedito, sorprendente finale.
Tutto inizia ad Agora, un paesaccio sull’Agro Pontino, dove Loredana ed Emanuele, giovani fidanzati, vengono ritrovati uccisi da centottantaquattro coltellate. A scoprire i cadaveri sono il padre e il fratellino della ragazza, insieme a Giacinto, un amico delle vittime, ovviamente le prime tre persone che la polizia interroga. Presto però arriva il turno di parenti, amici e semplici conoscenti, un coro disarticolato da cui emergono discrepanze, comportamenti incongruenti, alibi poco attendibili…
Ferdinando Terlizzi, direttore di Cronache