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CONSIDERAZIONI DI MERITO SULL’ARTICOLO A FIRMA DELL’ON. ROBERTO MORASSUT EDITO SU IL QUOTIDIANO “IL TEMPO” DOVE CHIEDE CON ONESTA’ E FERMEZZA LA COSTITUZIONE DI UNA “COMMISSIONE PARLAMENTARE” SPECIALE SUI COLD CASE DI QUALUNQUE TIPOLOGIA.
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CONSIDERAZIONI DI MERITO SULL’ARTICOLO A FIRMA DELL’ON. ROBERTO MORASSUT EDITO SU IL QUOTIDIANO “IL TEMPO” DOVE CHIEDE CON ONESTA’ E FERMEZZA LA COSTITUZIONE DI UNA “COMMISSIONE PARLAMENTARE” SPECIALE SUI COLD CASE DI QUALUNQUE TIPOLOGIA.
Sono pienamente e perfettamente d’accordo su tutte le argomentazioni proposte dall’on. Morassut e simmetricamente appongo, come forma di “collaborazione”, un mio contributo con oggetto “LA DOZZINA ERRORIFICA: I DODICI FATTORI NEGATIVI CHE CREANO LA CATASTROFE INVESTIGATIVA E GIUDIZIARIA”.
PREMESSA
Delitti irrisolti, morti equivoche, suicidi camuffati da omicidi, errori giudiziari con innocenti accusati e a volte condannati, errori giudiziari con colpevoli non condannati e, a volte, nemmeno sospettati.
Di questi casi nella mia carriera professionale ne ho affrontati a decine; ad iniziare dai delitti del Mostro di Firenze, del giallo di Via Poma, dell’orribile delitto di Cogne, di quello Arce ed altri ancora, del rapimento e dell’uccisione del piccolo Tommaso Onofri, degli omicidi camuffati da suicidi del brig. Salvatore Incorvaia, dell’imprenditore Mario Natali, del fisico Rodolfo Manno, dell’insegnante d’inglese Claudia Agostini, del giovane Umberto Cocco, della giovane Glenda Alberti, della signora Marcella Leonardi Pacciarella, sino all’odierno giallo e mistero di Caronia dove illogicamente e senza basi scientifiche alcune e prove inconfutabili – ma con molta saccenteria fondata sul nulla, sulla fede privilegiata e sulla base di congetture di consulenza spacciate come “tesi altamente scientifiche” – gli Inquirenti ritengono che si tratti (!?) di “omicidio-suicidio” andando molto ma molto oltre la c.d. “sospensione dell’incredulità”.
Ogni caso irrisolto mi ha portato alla conclusione che quando gli Inquirenti sbagliano e/o si fanno fuorviare dai falsi indizi a tre facce (ambiguità + falsità + incertezza), dalle emozioni e dai sentimenti, non hanno l’onestà, la capacità e la freddezza di fermarsi, di fare autocritica e tornare indietro sino a farne alla fine e sempre un caso di prestigio personale. Questa mia considerazione si aggancia a quella di Morassut quando parla di “Ruolo opaco dello Stato”.
In tal modo e specie alle piccole/grandi manchevolezze del Pubblico Ministero si affiancano, per poi sommarsi e mettersi in sinergia negativa ed iconoclastica, quelle della Polizia Giudiziaria, dei vari consulenti che “attaccano il somaro dove vuole il padrone”, oltre alle “compiacenze” ed alla pigrizia di qualche “giornalista” che, invece di comportarsi come vero segugio delle verità nascoste e delle inchieste totali, si accontenta della verità propalata dagli inquirenti così fungendo da “cantore del vincitore” e “uomo da sportula oraziana”. Anche questa mia considerazione si aggancia a quella di Morassut quando parla di “Ruolo opaco dello Stato”.
Posso affermare serenamente che “La colpa muore sempre orfana e fanciulla: nessuno la vuole, la “cura e la fa crescere e prosperare”: la colpa viene uccisa da coloro i quali la aborriscono con la negazione della sua stessa esistenza” e che il “Ruolo opaco dello Stato” di cui parla Morassut ci sta tutto… purtroppo.
Sinora ho considerato ovviamente che gli Inquirenti siano sempre e comunque in perfetta buona fede, però, quando l’inquirente (l’iniziale minuscola è voluta) è in mala e inopportuna fede, la questione si complica con gravità logaritmica.
LA DOZZINA ERRORIFICA
Un caso diventa irrisolto perché vengono commessi diversi (se non tutti) i seguenti errori, che ho classificato in base alla mia profusa esperienza criminologico-criminalistica nella DOZZINA ERRORIFICA: in tutti i casi irrisolti gli errori dal numero uno sino al numero undici sono sempre e comunque presenti, diversamente in vero dosati e interrelati. Purtroppo la maggior parte degli errori dipende sempre e comunque dal fattore umano inteso come “debolezza + egoismo + volontà di dominio + impossibilità di ammettere i propri errori + prepotenza + arroganza + avidità + cupidigia”.
Il tranello delle false apparenze.
L’inganno strutturale.
La superficialità, le carenze, la pigrizia e l’incapacità di auto-correzione.
Il pregiudizio, l’errore di contestualizzazione e la trappola dell’ affrettata conclusione.
L’errore a triangolo e di rimbalzo.
L’errore d’équipe e l’auto-convincimento riverberante.
L’innamoramento del sospetto e della congettura che diviene tesi.
La personalizzazione dell’indagine.
La passione e l’emotività nello scontro fra gli inquirenti e la difesa delle persone offese e i famigliari delle vittime.
La fortuna (eventuale) dell’assassino e le circostanze.
Un metodo investigativo inadeguato sommato a dati fallaci, a decisioni non congrue ed all’inadeguatezza investigativa.
La malafede annidata segretamente all’interno del gruppo degli inquirenti in uno o più soggetti.
ERRORE 1. IL TRANELLO DELLE FALSE APPARENZE: l’assassino, quasi sempre, organizza la scena del crimine, i fatti, le tracce e le memorie, presentando il tutto in modo invisibilmente alterato, contaminato e inquinato, così da fare apparire quello che non è, e quello che le menti vogliono vedere… e a volte lo fanno pure le più inaspettate ed impensabili circostanze. Purtroppo gli Inquirenti abboccano all’amo e MAI E POI MAI ammetteranno di essere stati beffati e turlupinati dall’autore del crimine.
ERRORE 2. L’INGANNO STRUTTURALE: si verifica quando si arriva a conclusioni sbagliate a causa di un invisibile e/o geniale falso presupposto, inserito da qualcuno nel nucleo reggente del fatto/evento che si sta analizzando. Si forma così, in modo segreto, invisibile, impercettibile, sottile e impalpabile, l’incredibile errore logico detto per l’appunto INGANNO STRUTTURALE, cioè “L’induzione in errore da parte di un abile regista nei confronti di chi cerca la verità: induzione in errore ottenuta tramite l’inserimento all’interno della struttura dell’enigma e degli elementi che la compongono, di falsi indizi, di falsi elementi, di falsi indicatori del crimine, di ingannevoli tracce”.
A questo punto l’inganno strutturale ha bisogno, per essere tale, di un abile regista, del falso presupposto ben nascosto e mimetizzato, del ragionamento esatto basato sul presupposto falso, delle conclusioni false in seguito al ragionamento esatto, ma basato su fondamenta false poste come assiomi, di destinatari delle conclusioni false che abbiano la caratteristica di nutrire fiducia in chi propina errori da fonte autorevole e/o da fonte tecnica, avendo tali destinatari la qualità dell’onestà etica ed intellettuale. L’inganno strutturale è il doppio sistema di presupposti errorifici, impalpabile e cementificato, formato (1) dalla barriera invisibile e/o muro di gomma che impedisce la soluzione del caso, (2) dal nucleo invisibile che contiene nella sua intimità segreta gli errori, i travisamenti, gli artifici e i raggiri che hanno permesso alla “combinazione criminale ” di farla franca.
ERRORE 3. LA SUPERFICIALITÀ, LA PIGRIZIA, LE CARENZE, E L’INCAPACITÀ DI AUTOCORREZIONE (SPIAC): nell’ambito dell’investigazione criminale effettuata dalla Polizia Giudiziaria e dai Magistrati inquirenti, quando prendono il sopravvento le quattro suddette negatività errorifiche è quasi deplorevolmente impossibile potere tornare indietro, perché tutti sono coinvolti in un modo o in un altro, per motivi di omesso controllo, di delega incontrollata, di accettazione dell’errore. Accade, inoltre, che ogni componente umano difende se stesso e i propri errori difendendo anche gli errori altrui: tutto perché la coscienza dell’errore si presenta ineluttabilmente e con ogni mezzo la si soffoca irresponsabilmente come meccanismo di autodifesa.
ERRORE 4. IL PREGIUDIZIO, L’ERRORE DI CONTESTUALIZZAZIONE E LA TRAPPOLA DELL’AFFRETTATA CONCLUSIONE (PECTAC): il pregiudizio è l’anticipazione apodittica e istintiva, dettata dalle prime apparenze; l’ errata contestualizzazione di omicidio si verifica quando non si “azzecca” la porta d’entrata, cioè, quando, si valuta in modo errato “come” l’omicidio si presenta, “in quale” ambiente appare essere maturato, “con quale” schema formativo criminogeno e crimino-dinamico si è svolto, “quali” indicazioni si possano trarre dall’insieme. La contestualizzazione dell’omicidio ha otto tipologie o classificazioni iniziali (o porte d’entrata), di cui una sola ci porta al suicidio e le altre sette all’omicidio: 1) omicidio di sé, atto suicidiario; 2) in seguito a litigio, a rissa, a colluttazione; 3) in seguito a rapina, a furto, a scippo o altro atto criminale; 4) commesso nell’ambito dello spaccio di droga o per motivi di droga; 5) del tipo dimostrativo o ideologico e/o crimine d’odio; 6) omicidio senza motivo apparente, del tipo non definito, del tipo misto; 7) su commissione e su incarico criminale; 8) per motivi sessuali o a sfondo sessuale.
La trappola dell’affrettata conclusione ci porta al brocardo di Goya “Il sonno della ragione genera mostri”, che si aggancia strettamente all’innamoramento del sospetto, intimamente a quello dell’intuizione e della congettura che magicamente diventa tesi.
ERRORE 5. L’ERRORE A TRIANGOLO E DI RIMBALZO: i componenti del pool investigativo sono tre, il Pubblico Ministero che coordina le indagini e si avvale della Polizia Giudiziaria; la Polizia Giudiziaria che indaga prettamente grazie all’esperienza, alla tradizione, alle capacità ed alle competenze che le vengono giustamente riconosciute ed attribuite; i consulenti tecnici e gli esperti forensi che forniscono ausilio tecnico-logistico, medico legale, criminalistico e criminologico. Può accadere che uno dei suddetti componenti dello staff investigativo sbagli e che l’errore non sia individuato dagli altri due componenti: allora si verifica con conseguenzialità non retroattiva la catastrofe investigativa causa il rimbalzo dell’errore all’interno del triangolo investigativo dello Stato. Addirittura può accadere che i componenti del pool investigativo possano ritenere che i consulenti dell’indagato, dell’imputato o delle persone offese, che, tra l’altro, non hanno nessun piano in comune con i precedenti siano individuati ed eponimati intellettivamente come “nemici”, al che precipitano in tal modo e con siffatto approccio nel becero baratro delle “guerre di religione”. In questo contesto si verifica anche la cattiva abitudine di “attaccare il somaro dove vuole il padrone… tanto se il somaro cade il danno è del padrone”.
ERRORE 6. L’ERRORE D’EQUIPE E L’AUTOCONVINCIMENTO RIVERBERANTE: è la conseguenza del precedente, si è sicuri di avere fatto tutto e bene, la squadra si è ben adoperata ed è coesa e protesa verso il risultato finale grazie alle attività svolte; nessuno si accorge dell’errore ed automaticamente lo espelle dalla propria reale percezione. In alternativa, o in aggiunta, vi è la regola “Lo dice il capo…e il capo non si contraddice”. È doveroso rifarsi alla massima di Schopenhauer: “Un’ipotesi svolge nella testa, una volta che vi si è insediata o, addirittura, vi è nata, una vita che somiglia a quella di un organismo, in quanto dal mondo esterno assimila soltanto ciò che le è giovevole ed omogeneo, mentre respinge ciò che le è eterogeneo e nocivo, oppure, se non può assolutamente fare a meno di accoglierlo, lo espelle, poi, tale e quale”.
Va da sé che che manca la capacità di autocritica e di individuazione dell’errore.
ERRORE 7. L’INNAMORAMENTO DELL’INTUIZIONE, DEL SOSPETTO E DELLA CONGETTURA CHE DIVIENE TESI: la direzione investigativa ha un sospetto grazie a un’intuizione dettata dall’esperienza e dalla fiducia sulle proprie qualità; il sospetto diviene certezza della verità; quindi, la apodittica congettura diviene tesi. Ci si concentra sulla tesi certi senza dubbi di essere partiti da un sospetto esatto, si cercano soltanto gli elementi a favore della tesi, si scommette addirittura sulla tesi. Quando sospetto e/o tesi sono fallaci si verifica la deplorevole e conseguente “catastrofe investigativa”.
ERRORE 8. LA PERSONALIZZAZIONE DELL’INDAGINE: invece di indagare SOLO per motivi di giustizia e di verità con freddezza e rigore, qualche inquirente o un suo collaboratore ne fa una questione personale. Indaga e vuole “risolvere il caso” per motivi di carriera, di prestigio, economici, di immagine, di equilibrio psichico, per apparire, per essere illuminato dai riflettori e dalla gloria della ribalta, per “farsi bello”, per ripicca. Poi, se ha sbagliato, deve difendere se stesso, l’errore, i colleghi passati, presenti e futuri e il sistema di appartenenza e di carriera. La storia italiana del crimine è zeppa di soggetti del genere che da funzionari dello Stato diventano poi autorevoli opinionisti televisi, scrittori, inviati speciali et similia, lasciandosi le spalle anche carriere troncate di netto e con demerito.
In tale ambito si verifica un comportamento scandaloso e deplorevole: i pubblici ministeri per farsi pubblicità e/o per fortificare la propria posizone (sic!!!) chiamano come consulenti tali “stelle mediatiche”.
ERRORE 9. LA PASSIONE E L’EMOTIVITÀ NELLO SCONTRO FRA GLI INQUIRENTI E LA DIFESA DELLE PERSONE OFFESE E I FAMIGLIARI DELLE VITTIME: i famigliari della vittima hanno il diritto di conoscere come siano andate realmente le cose e hanno la tendenza a reagire in modo istintivo all’insulto della morte del proprio caro. Sovente reputano le attività investigative non adeguate, se non, addirittura, contro gli interessi della vittima. In questi casi e frangenti criticano aspramente gli investigatori ed i consulenti tecnici, al che iniziano gli scontri personali perché a nessuno piace essere criticato e questa spirale di scontro apre il varco alle fazioni e iniziano senza pudore le “guerre di religione”.
Umanamente e logicamente è naturale e comprensibile che ciò possa accadere per i famigliari delle vittime, ma è gravissimo che si verifichi lo stesso nell’ambito degli inquirenti.
ERRORE 10. LA FORTUNA (EVENTUALE) DELL’ASSASSINO E LE CIRCOSTANZE: può accadere che l’assassino non venga notato da nessuno e/o non lasci tracce, oppure che gli inquirenti scelgano immediatamente la pista del suicidio o dell’incidente o di un falso colpevole, che i consulenti tecnici sbaglino e che i loro errori non siano doverosamente corretti dai Pubblici Ministeri e dai Giudici.
ERRORE 11. UN METODO INVESTIGATIVO INADEGUATO SOMMATO A DATI FALLACI ED A DECISIONI NON CONGRUE: indagini superficiali, cattivo apprezzamento delle circostanze e delle situazioni, tutti sommati ad una cattiva valutazione del contesto iniziale, il tutto seguito da decisioni non congrue. Inoltre, non sono rispettati alcuni dei cinque principi dell’accuratezza, cioè:
Accuratezza della raccolta delle dichiarazioni testimoniali delle persone informate dei fatti.
Accuratezza della scelta delle circostanze che possano indicare una direzione d’indagine e la pista investigativa da seguire.
Accuratezza delle attività di sopralluogo, repertazione, catena di custodia delle prove e delle procedure investigative.
Accuratezza delle indagini di laboratorio, medico legali e degli accertamenti tecnici.
Accuratezza delle scelte in fase decisionale (qualità del metodo + qualità dei dati + qualità del decisore).
ERRORE 12. LA MALAFEDE ANNIDATA SEGRETAMENTE ALL’INTERNO DEL GRUPPO DEGLI INQUIRENTI IN UNO O PIÙ SOGGETTI: qualcuno rema contro la ricerca della verità per motivi d’invidia, di rancore-odio nei confronti della vittima e/o dei suoi famigliari e/o per motivi di carriera, di autogratificazione, di nascosto narcisismo patologico. In ultimo sono ravvisabili estremi ben definiti di corruzione, tradimento e responsabilità diretta di qualche inquirente, sia a livello esecutivo che di copertura di qualunque tipologia proditoria.
TRE ESEMPI PER TUTTI
Giallo di Via Poma: nonostante abbiamo dimostrato che il sangue dell’assassino sul telefono della stanza nr 3 è di gruppo A DQAlfa, gli Inquirenti fanno finto di non saperlo e insistono nel ritenere che il sangue sia della vittima, gruppo A0 DQAlfa 4/4; nonostante abbiamo dimostrato che l’assassino ha usato la mano sinistra per colpire 30 volte la vittima, gli Inquirenti fanno finta di ritenere che che sia un destrimane..
Giallo di Arce: nonostante facemmo assolvere il carrozziere Carmine Belli confutando indagini e consulenze sbagliate, chi ha sbagliato non ha pagato e gode sia dei soldi che il contribuente gli ha versato, sia della fiducia dello Stato che, anche in questo caso, mostra un comportamento opaco.
Giallo di Caronia: tre magistrati inquirenti, un folto gruppo di consulenti nominati dai Pm e uno stuolo di investigatori dello Stato hanno prodotto, dopo un anno dal fatto di morte, un’istanza di archiviazione che non condividiamo e che confutiamo in quanto frutto di congetture senza alcun riscontro, col piccolo dettaglio che la parte offesa (i famigliari delle vittime) deve sborsare migliaia di euro per avere la copia degli atti, delle foto e dei video a colori, che noi consulenti della famiglia Mondello attendiamo ancora queste copie mentre i mentre i CT del PM le hanno da circa un anno.
Va da sé che in tale logica delle cose la Ragione dorme, e ben si sa: il sonno della Ragione genera mostri!
CONCLUSIONI
Quanto abbiamo esplorato alla luce della plurima esperienza sul campo è solo la cima della parte più visibile dell’iceberg.
Future pubblicazioni del CESCRIN metteranno in evidenza più sostanziali dettagli e questo di affermare con determinazione il rispetto dei sacri principi della Logica, della Scienza e dell’Etica. Ci saranno autorevoli e circostanziati contributi del dr. Antonio Della Valle, del dott. Enrico Delli Compagni e di tanti e diversi professionisti e specialisti, nonché studiosi dell’Investigazione criminale che da tempo percorrono ed incrociano i trivii dell’imprudenza, della negligenza e dell’imperizia colposi e dolosi.
Naturalmente si dovranno portare migliorie al codice di procedura penale, al merito delle investigazioni ed al coordinamento delle stesse. Si dovrà individuare e impostare un migliore circuito interno ed esterno di controllo e/o di individuazione dell’errore investigativo e giudiziario.
Un plauso all’on. Morassut per l’iniziativa che appoggiamo in toto.