Una rabbia sommersa
(di Stelio W. Venceslai)
C’è rabbia, in giro, da tempo. È rabbia sommersa. Ogni tanto sfoga in qualche dimostrazione dove il nemico è o deve essere tutti gli altri, quelli che una volta si chiamavano “borghesi” oppure, un po’ più tardi, la “maggioranza silenziosa”. Quelli, insomma, che non manifestano e non sfilano nei cortei.
Perché questa rabbia sommersa? È da notare che prende a pretesto qualunque motivo, dai banchi rotti e le scuole fatiscenti all’immondizia non rimossa per le strade, dal green pass dei no-vac alle dimostrazioni pseudo sindacali fino alle manifestazioni pro e contro il fascismo. Non importa se è roba vecchia di cento anni o se è nuova, come il lockdown. Qualunque pretesto è buono per dimostrare, gridare slogan, sfasciare vetrine e se del caso, rubare oggetti di valore, picchiare e farsi picchiare dalle forze dell’ordine.
Purtroppo, in questo periodo, sono mancati gli spettacoli di calcio aperti al pubblico, altro fomite di risse, di scontri e, talvolta, di stupidi ammazzamenti.
La gente protesta, spesso senza un perché, ma va bene lo stesso, purché si protesti. Si sfoga delle sue frustrazioni.
Bisogna riconoscere che ha tanti motivi per essere insoddisfatta e protestare. In realtà, diciamolo pure, non c’è nulla che vada bene. Qualunque istituzione è piena di magagne con le quali il cittadino comune s’imbatte e che deve combattere ogni giorno, tra cavilli, ritardi, complicazioni e procedure irrituali o digitali spesso complesse, che richiedono conoscenze di cui pochi o nessuno dispone.
In un certo senso, la cosiddetta “transizione digitale” ha complicato la vita della gente, basti pensare al problema delle password. Ci vuole un codice personale perché se uno le dimentica è perduto.
Ad ogni operazione che si fa, anche la più banale, si richiedono la carta d’identità, il codice fiscale, la tessera sanitaria, la carta di credito, l’indirizzo e-mail, e così via.
Questi dati sono ripetuti migliaia di volte, in spregio al buon senso e a quella privacy che viene così stupidamente tutelata da un’apposita Authority.
Se si compra un oggetto, il più delle volte le informazioni necessarie sono in inglese, lingua che non tutti conoscono. Se sono in italiano, spesso sono traduzioni malfatte da altre lingue, illeggibili, come il bugiardino dei farmaci. Da tutti questi dati emerge un flusso d’informazioni inutilmente duplicate, della cui utilità è lecito dubitare. Non consola il fatto che questi dati siano poi venduti o trasmessi a imprese di promozione pubblicitaria.
Per fare un contratto di assicurazione o la vendita di un immobile o di un mobile registrato oppure un’operazione bancaria un po’ complessa ci sono, nell’era della cosiddetta “transizione digitale”, decine di fogli prestampati che nessuno legge, ma alla fine del dossier, sullo stesso foglio finale, si appongono tre, quattro firme diverse. A che serve? Quale serietà maggiore deriva da tre o quattro firme diverse invece di una sola, conclusiva, sulla pagina finale?
Accoppiare il digitale con il passato, senza sostituirlo pienamente, genera solo confusione. Il cittadino comune è smarrito, si sente fuori, non trova una giustificazione razionale a questo eccesso di sistemi di sicurezza e d’identificazione. Al contrario, si sente inadatto, non capisce e s’irrita.
Vogliamo parlare dei “numeri verdi”? Chi si rivolge in buona fede a uno di questi numeri trascorre decine di minuti ascoltando informazioni che non gli si confanno, messaggi pubblicitari che non lo interessano e musiche non sempre gradite, specie se uno ha un problema urgente da risolvere. Sono servizi assolutamente inefficienti: gli operatori sono pochi perché le società non vogliono assumere personale. Loro risparmiano e il consumatore perde tempo, che anche per lui è denaro. Ma nessuno se ne preoccupa.
Il quaderno delle doglianze quotidiane è infinito. Avete un incidente d’auto? Se volete il verbale della Polizia, dovete pagare (pazienza), ma per pagare dovete prima richiedere il verbale, ma dovete farlo con una Pec. Ricevuta la Pec, la Polizia municipale vi manda il conto. Pagate on line e poi, dopo 15/30 giorni, ricevete il verbale e, intanto l’assicurazione scalpita. Davvero tutti sono in grado di svolgere queste operazioni?
Volete un certificato di stato civile? Evviva, potete collegarvi direttamente e ottenerlo a casa vostra. Niente code allo sportello, niente impiegati indolenti. Tutto automatico. Prima, però, dovete avere lo SPID, per averlo, dovete fare la solita trafila, presentare i vari documenti e, poi, entro quindici giorni, dovete tornare alla posta e, allora, forse, anche voi siete SPID. Un affare.
La propaganda sull’utilizzo della moneta digitale sembra una cosa buona: permette il “tracciamento”. Sono stupidaggini. Alzi la mano chi non ha pagato in nero (in contanti) un fornitore, un idraulico o un medico, un elettricista o un meccanico. Il giro dei contanti è enorme, sfugge al fisco e nessuno se ne preoccupa. Anche questa è evasione, ma nessuno ha idea di quanto sia enorme. Forse l’80% (azzardo una percentuale) di tutte le transazioni fra privati. Eppure, basterebbe così poco! Basterebbe permettere la deduzione totale di queste spese sulla dichiarazione dei redditi, come si fa per le imprese. Perché non si fa? Perché fa comodo a tutti.
Lo spettacolo della vita politica non vi appartiene più, Fa parte di un altro mondo, di una classe di ricchi cui tutto è permesso, protetti dalla legge (che si fanno loro), che attribuisce agli eletti dal popolo privilegi e prebende inauditi, ma i soldi sono dei contribuenti.
Diffidenza, disprezzo, disistima si accavallano tra loro. Il politico fra la gente perbene, quella che non chiede favori, è considerato talvolta, con curiosità, come un fantoccio imbelle e tal altra, inquinante. È un cacciatore di voti; dei problemi della gente non gliene importa nulla.
Vera o non vera che sia, questa è l’opinione corrente. Sono sempre le stesse facce, maestri del ritardo e dei luoghi comuni, hanno cambiato troppo spesso bandiere per il loro tornaconto. Non sono credibili.
E allora, come si può essere contenti?
Roma, 17/11/2021