Pulci di notte

di Stefano Lorenzetto

Natascia Ronchetti sul Fatto Quotidiano si occupa di Ugur Sahin, uno dei due cofondatori di Biontech, azienda produttrice di vaccini. Titolo: «Omicron, l’efficacia anche col booster scende fino al 70%». Occhiello: «Lo dicono cofondatore di Biontech e Iss». Sahin non è ancora la Santissima Trinità, ma si sta attrezzando.

Nonostante il suo articolo sia rubricato come «Il colloquio», e dunque si debba presumere che abbia dialogato con la persona di cui si occupa, Fabrizio Accatino su Specchio della Stampa riesce a prendere la seguente cantonata su Bruno Zanin, che fu protagonista dell’Amarcord di Federico Fellini: «Nel film, Bruno era Titta, l’alter ego adolescente del regista». In redazione allargano la frittata con questo titolo: «Bruno Zanin. “Ero l’alter ego di Fellini ma per poter campare ho fatto il muratore”». L’alter ego? Non sanno di che parlano: Zanin in Amarcord interpreta il personaggio di Titta Biondi, che nella vita reale era Titta Benzi, amico d’infanzia di Fellini a Rimini, divenuto avvocato da adulto.

Segnaliamo il gradito ritorno in questa rubrica del coltissimo Mephisto Waltz, che comincia così la sua omonima rubrica su Domenica del Sole 24 Ore: «Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich (1928-2021), per gli amici Lina (ma Arcangelo felice, di nome e di fatto) quando conquistò nel 2020 il Premio Oscar Onorario grazie al successo di Travolti da un insolito destinoMimì Metallurgico e Pasqualino Settebellezze, al momento di ritirare il premio esclamò: “Ci vorrebbe un Oscar al femminile accanto a quello maschile”». Trascurando la virgola mancante dopo la parentesi, facciamo presente che Lina Wertmüller in quell’occasione non pronunciò affatto la frase inventata da Mephisto Waltz. Ritirando la statuetta alla carriera, a proposito del premio disse invece, con un verbo in romanesco (l’attrice Isabella Rossellini fungeva da traduttrice in inglese): «Si dovrebbe chiamare con un nome femminile. È una cosa gravissima che si chiami Oscar. Si dovrebbe chiama’ Anna, toh».

Nella pubblicità di Sky, a tutta pagina sul Corriere della Sera, il volto truce di Salvatore Esposito, alias Gennaro Savastano, con cicatrice sullo zigomo, apre una patetica lettera di addio per il finale di Gomorra: «Caro Genny, sette anni fa ero solo un ragazzo della periferia che sognava di fare l’attore. (…) Domani realizzeremo che non ritorna mai più niente (sic), ma forse è questa la nostra più grande conquista. Forse ci mancheremo, forse ci rivedremo. Intanto quel ragazzo che inseguiva il suo sogno è divento l’uomo che lo ha realizzato». Cazzarola, scrive davvero come parla.

Titolo dalla Verità: «I pm sequestrano tutti i 59 vestiti donati all’ammiraglio Vecciarelli». Alé, il generale dell’Aeronautica militare trasferito in Marina a mezzo stampa.

Su Specchio della Stampa, Maria Corbi dialoga con lo scrittore e scultore Mauro Corona, il quale le racconta che i propri figli «da bambini si sono fatti il presepe di legno, o di dash». Dovevano essere dei veri fenomeni: neppure Paolo Ferrari, quello dei «due fustini in cambio di uno», riusciva a farsi i presepi con il detersivo Dash. Infatti la pasta modellabile si chiama Das.

Stefano Lorenzetto sul Corriere della Sera parla di Mérida, città messicana, ma scrive due volte Merida, dimenticando l’accento acuto sulla e. Subito si ritrova in buona compagnia con la prima pagina del Fatto Quotidiano («“El Pais”, in tre anni di inchiesta, raccoglie e verifica nuove denunce di 251 abusi di preti su minori») e con una pagina interna del Giornale («“El Pais” aveva consegnato un’indagine di tre anni sui presunti abusi di 251 membri del clero»), che citano la testata madrilena El País senza l’accento acuto sulla i.

Il poeta ciellino Davide Rondoni sulla prima pagina sull’Osservatore Romano fa sfoggio di cultura imparaticcia e, trattando di miniatori medievali, scrive di «quel Franco Bolognese, di cui non sappiamo nulla, e che è pur citato da Dante insieme a Masaccio, Giotto, Odorisi da Gubbio». L’espressione «non sappiamo nulla» appare pertinente. Consigliamo a Rondoni di ripassare almeno un po’ di storia dell’arte: Masaccio nacque nel 1401, ottant’anni dopo la morte di Dante, quindi appare improbabile che il Sommo Poeta abbia citato un pittore non ancora concepito dai suoi genitori. Quanto a «Odorisi da Gubbio», si chiamava in realtà Oderisi.

Michela Tamburrino sulla Stampa, occupandosi delle nomine in Rai, parla di «gioco del risico». Tenuto conto che nell’ente radiotelevisivo di Stato i dipendenti che rosicano sono molto più numerosi di quelle che risicano, il sostantivo che si doveva usare (entrato nell’uso comune fin dal 1968) è Risiko, voce di origine tedesca derivata da un «gioco da tavolo in cui si simula una guerra fra più eserciti; scopo di ogni giocatore è la conquista del dominio mondiale in battaglie il cui esito dipende da lanci di dadi», estensivamente «situazione di scontro globale, in genere fra soggetti economici» (Lo Zingarelli 2022).

Titolo del Corriere della Sera per il decesso di Lucia Hiriart, vedova di Augusto Pinochet: «Muore la dictadora. Il Cile va al voto all’ombra di Pinochet (più spaccato che mai)». La salma del dittatore cileno si è spezzata a metà? No? Allora bisognava scrivere «Il Cile va al voto (più spaccato che mai) all’ombra di Pinochet».

Titolo dalla prima pagina della Verità: «L’horror sexy di Marinetti che festeggio le nozze con una mummia rediviva». All’interno, il testo è firmato «Fillippo T. Marinetti». Futurismo puro.

Lettera dalla Gazzetta di Mantova: «Al rientro presso la mia abitazione ricevo una telefonata dal medico di famiglia minacciosa ed all’armante». Eh, quante storie per un apostrofo in più, che sarà mai.

SL

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