Il processo, l’appello, la condanna a 22 anni di reclusione col riconoscimento del vizio parziale di mente. La vittima una Maria Goretti? Parole di raccapriccio nella motivazione della Corte di Assise

Il delitto di ‘calcio’ e di ‘punta’ commesso da un calciatore di professionecome se volesse uccidere un serpente’… si costituirà per paura di essere ucciso dai parenti della sua vittima…

 

 

A marzo del 1960 Austilio Colella, con i ferri ai polsi, fu tradotto, sotto buona scorta nella gabbia dell’aula della Corte di Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Nella relazione del Presidente vi furono parole che facevano accapponare la pelle, che facevano rabbrividire. ‘Austilio Colella di anni 23, da Pidimonte di Sessa Aurunca deve rispondere di omicidio volontario aggravato perché cagionava la morte della moglie Carmina Di Meo usando sevizie e crudeltà, cioè calpestandola  Secondo la parte civile invece, come da accordi presi nell’ultima riunione in casa Palmieri la convivenza era stata rinviata temporaneamente finché il fratello dello sposo Andrea, non avesse raggiunto una sistemazione mediante il conseguimento di un posto nelle Ferrovie dello Stato cui aspirava ed egli, Austilio non aveva espletato il servizio militare.

 “La giovane – informarono i carabinieri – non era stata fidanzata con altri all’infuori del Colella, ed era onesta e stimata come la famiglia a cui apparteneva. Giuseppe Di Donato, parroco del paese ha deposto che la Carmela era ‘buona’, ‘religiosa’ e ‘bene educata’ e molti testi concordano in questa definizione: Giorina Iannucci, Anna Maria Capomacchia,  Domenico Mazzei,  Edoardo Martino,  tra cui qualche parente dello stesso imputato quale uguale Ada Colella”.

Tuttavia durante l’istruttoria, era pervenuta agli inquirenti una lettera anonima secondo la quale responsabile della deflorazione della Di Meo sarebbe stato Domenico Mazzei, proprietario del fondo dai Di Meo condotto. Ma i giudici non diedero molto credito all’anonimo e neppure all’imputato che affermava di aver trovato già abbastanza ‘usata’ la ragazza e faceva anche i nomi dei precedenti fidanzati: Antonio Viola, Michele Vietti (che però non furono mai identificati). Però, debbo ammetterlo che ad un certo punto del processo la Carmina Di Meo è apparsa quasi una Maria Goretti. Tuttavia i giudici contestarono all’imputato il fatto che…’quando, commesso il fatto constaterà –  alle prime luci del paese macchie di sangue alle scarpe – non appresterà alcun soccorso alla vittima,  ma da ‘vigliacco’ il suo pensiero sarà quello di evitare eventuali reazioni da parte dei familiari della moglie,  che potevano aver sentito le sue grida di aiuto dalla loro abitazione discosta di un centinaio di metri dal posto del delitto,  andandosi  a costituire ai Carabinieri di Sessa Aurunca anziché a quelli del proprio paese”. Inoltre la Corte chiarì che ‘venendo il vizio parziale di mente le conclusioni del perito sono pienamente accettabili perché scaturite da un’indagine seria fondata sull’anamnesi  familiare ed individuale del Colella. Il padre del Colella decedette nel manicomio giudiziario di Aversa ove era internato quale prosciolto per totale infermità mentale dal reato di tentato omicidio e si accertò che lo stesso era anche dedito all’uso dell’alcool. Una zia materna poi ricoverata nell’Ospedale Psichiatrico “Santa Maria Maddalena” di Aversa, per demenza senile decedette nel 1955. Alla pena dell’ergastolo previste per il reato così come contestato originariamente anche senza l’aggravante dell’articolo 61, va sostituita per il riconosciuto vizio parziale di mente la pena di 22 anni di reclusione che si ritiene adeguata al commesso reato.  

La condanna fu appellata e il 2 ottobre del 1965 – dopo otto anni dal delitto – iniziò il processo di Appello. La sentenza confermò il primo verdetto. Fu quindi prodotto un ricorso per Cassazione contro la decisione della Corte di Assise di Appello di Napoli che aveva confermato ‘in toto’ il verdetto di primo grado. Tra l’altro Erminio Di Meo e Caterina Binovelli, genitori della povera Carmina, si dovettero recare allo studio del Notaio Federico Girfatti  per sottoscrivere una procura speciale che serviva a rappresentarli innanzi la Suprema  Corte. Anche il Colella con l’assistenza di Giuseppe Irace presentò ricorso per Cassazione.

L’avvocato Giuseppe Irace poi nel suo ricorso pose l’accento sull’aggravante della crudeltà, riportandosi allo ‘stato di mente’ del Colella, al diniego delle ‘attenuanti generiche’. Ma il suo fu uno sforzo vano. La Cassazione ‘non cassò’ ed anzi confermò il verdetto di appello.