Innocenti in carcere: un detenuto su tre vittima di ingiusta detenzione

di Viviana Lanza

Il Riformista, 8 gennaio 2022

Le statistiche dicono che in Campania, e il dato è in linea con quello nazionale, un detenuto su tre è innocente. Le chiamano ingiuste detenzioni, sono quanto di peggio possa capitare ad una persona che, per un caso o per un errore di un pm o un investigatore, si ritrova ad essere rinchiuso in una cella, con persone sconosciute, per giorni, settimane, mesi. Persino anni quando ci si imbatte in pubblici ministeri convinti della propria tesi di partenza e per niente disposti a tornare sui propri passi. Ci sono ricostruzioni accusatorie che vengono portate avanti nonostante le lacune e le contraddizioni che emergono nel corso di accertamenti successivi, nonostante le alternative e i chiarimenti forniti dalla difesa, nonostante una pronuncia diversa da parte di un giudice.

Il tutto, nei tempi dilatati della giustizia, con l’incertezza di non sapere mai se ci vorranno mesi oppure anni per arrivare a ristabilire la verità. Spesso si dice che la custodia preventiva è una sorta di anticipazione sulla condanna, ma quando la condanna non c’è perché non ci deve essere, perché si stabilisce che la persona arrestata e messa sotto accusa è innocente, quella carcerazione preventiva diventa soltanto tortura. E non possono certo i soldi del risarcimento (riconosciuto dopo un percorso giudiziario altrettanto lungo e niente affatto scontato, perché lo Stato può anche negarlo) cancellare come un colpo di spugna i danni di una detenzione ingiusta. C’è chi perde il lavoro quando finisce coinvolto in un’inchiesta e non lo ritrova quando, dopo anni di processo, viene assolto. C’è perde anche gli affetti. Ci sono famiglie e vite rovinate da arresti e accuse che non hanno ragion d’essere, che magari sono solo il frutto di un convincimento sbagliato di un pm o di testimonianze che alla fine vengono ritrattate o di indizi che non poggiano su alcuna prova. Negli ultimi trent’anni, in Italia, si sono contati quasi 30 mila errori giudiziari, con risarcimenti per quasi 900 milioni di euro.

Napoli e la Campania hanno registrato negli ultimi dieci anni numeri da record. Nel solo distretto di Napoli, che comunque è tra i più grandi distretti giudiziari del Paese, si stimano più di cento casi all’anno. Nel 2012 si registrava un caso di ingiusta detenzione al giorno, poi il ricorso alle manette facili, seppure a fasi alterne, è stato ridimensionato ma non a sufficienza perché risulti sempre applicato il principio in base al quale la reclusione preventiva in carcere deve essere l’extrema ratio.

Nel 2020 si sono registrati 101 casi di innocenti ingiustamente arrestati, ma se si considera che questi accertati sono soltanto il 30% delle cause di risarcimento per ingiusta detenzione proposte è chiaro che il fenomeno ha proporzioni ben più ampie. A fine mese il ministero della Giustizia dovrebbe rendere noti i dati più aggiornati del 2021. Nel discorso di Natale, la ministra Marta Cartabia ha affrontato anche il tema degli errori giudiziari, delle lettere per i risarcimenti che arrivano al Ministero, “dietro ogni lettera ci sono sempre singole persone, vite in carne ed ossa”. Bisognerebbe ricordarlo sempre, in ogni istante. E tutti.

La ministra ha ricordato, tra quelle che l’hanno più colpita, la storia del professor Francesco Addeo, oggi 80enne, nel 2001 scienziato di fama internazionale finito al centro di un’inchiesta penale e persino in carcere per quattro mesi e ai domiciliari per altri due a seguito di dichiarazioni di due imprenditori che nel corso del processo non si sono rivelate fondate. Di qui la sua assoluzione ma un danno nell’anima che resta indelebile.

E storie come questa si ripetono a centinaia ogni anno. L’associazione Errorigiudiziari.com da venticinque anni raccoglie dati e storie di vittime di malagiustizia. Puntando la lente su Napoli si scopre l’incubo di un 35enne, sposato con una figlia di tre anni, che un pomeriggio di maggio di quattro anni fa viene convocato dai carabinieri per una generica comunicazione di servizio e si ritrova in manette, dopo che gli viene notificata un’ordinanza di custodia cautelare, per accuse gravi come rapina aggravata e violenza sessuale. Gli viene concessa una telefonata alla moglie e viene portato a Poggioreale. La vittima dice di aver riconosciuto in lui l’autore dell’aggressione subita mesi prima. E tanto basta.

Il 35enne resta in cella per tre giorni e ne trascorre altri 141 agli arresti domiciliari. In primo grado viene condannato a otto anni di reclusione, in appello la sentenza viene ribaltata e il 35enne viene assolto. L’assoluzione diventa definitiva ma ci vorranno due anni di calvario giudiziario.

Ora il 35enne è in attesa che venga accolta la sua richiesta di risarcimento per l’ingiusta detenzione sofferta. Iter più o meno simili hanno segnato le storie di altre vittime della giustizia, dal camionista scambiato per narcotrafficante all’imprenditore mandato in carcere come presunto killer e tenuto in cella per ottocento giorni e in sospeso, legato al filo esile della giustizia, per oltre quattro anni in attesa che nel processo si accertasse il grave errore dovuto a un’intercettazione male interpretata dagli investigatori. Si può finire in carcere davvero per poco. Più lungo e difficile il percorso per uscirne, anche se si è innocenti.