Sul Colle sventola la scheda bianca
di Vincenzo D’Anna (*)
Dopo il profluvio di buone intenzioni, il continuo, melenso, invito a trovare motivi d’intesa sul nome di un’alta personalità da eleggere alla carica di Presidente della Repubblica, tutto è stato archiviato alla prima, vera “prova del nove”. Per circa due settimane il mantra della sinistra è stato quello di esorcizzare la candidatura di Silvio Berlusconi e tutte le bocche da fuoco del moralismo partigiano sono state utilizzate senza risparmio. Ora che quella nomination non rientra più tra le cose possibili, per dichiarata indisponibilità dello stesso Cavaliere, ecco venire fuori il cinismo di coloro i quali hanno assegnato a quella stessa rinuncia la valenza di un’incapacità e dell’impossibilità, per il centrodestra, di poter concorrere alla scelta del nome del futuro inquilino del Colle. Siamo alle solite: la medaglia della presunta superiore capacità morale della sinistra risplende come sempre e reclama la scelta da sottoporre poi, semmai, ad un’eventuale ratifica degli altri. Insomma: il pallino della partita dovrebbe rimanere nelle mani di quelli che, fino a prova contraria, il Capo dello Stato hanno sempre indicato – da Scalfaro a Mattarella passando per Napolitano – nella cosiddetta Seconda Repubblica. Una sorta di lascito politico su base morale, perché tutto il centrodestra non avrebbe mai avuto nomi di alto prestigio da poter proporre per la somma carica. Se questa è la premessa vuol dire che la sceneggiata è già pronta e che il nome, oppure i nomi, “in pectore” sono stati già individuati da Letta e compagni. Non arriveremmo lontano se ipotizzassimo che si tratta di gente già nota al proscenio politico, magari la solita matura personalità che ha orbitato nell’arcipelago della sinistra. Il fatto che si voti scheda bianca senza un candidato di bandiera significa non che non esistano candidati ma che per il momento il gioco si limita a lasciare al centrodestra solo il compito di scegliere tra il meno peggio della rosa di curricula selezionati dai moralisti di turno. Tuttavia credo che, piccoli trasformismi a parte, il centrodestra possa e debba proporre, in autonomia, nomi di prestigio ineccepibili e trovare su di questi anche consensi altrove. Certo le scelte possono essere anche laceranti e molti ministri potrebbero fare da pompieri per salvare la propria poltrona, altri lamentarsi del rischio di dissolvenza per il governo e le elezioni anticipate, ma alla fine la partita andrà comunque giocata. Arricchire il centrodestra di una compattezza e di una comune prospettiva politica è un bene che vale quanto la carica quirinalizia e serve soprattutto per le prossime elezioni, per i referendum ed il progetto federativo a destra che tutti dicono – a parole – di voler approvare. Insomma: una serie di novità che chiuderebbero, com’è ineluttabile, il periodo berlusconiano e l’ipoteca di quest’ultimo sul centrodestra. Si tratterebbe, nei fatti, della rimozione di una ipoteca che per oltre un quarto di secolo ha condizionato strategie e prospettive di quel versante politico. Nuove e più ampie prospettive porterebbero specularmente a cambiare gli assetti anche a sinistra accorpando forze e rinnovando le varie leadership. Su queste basi si potrebbe ben riformulare una proposta di ritorno alla legge elettorale maggioritaria, e con essa ad una nuova fase costituente in grado di aggiornare l’assetto delle istituzioni. Se ne parla da quarant’anni e le parziali riforme, tentate da Berlusconi e da Renzi, non hanno avuto né l’ampiezza né il consenso popolare che una proposta scaturente da un’assemblea Costituente, eletta dal popolo, potrebbe invece incassare. Se la politica italiana continuerà ad essere un mondo a parte che ricorre agli elettori quando non può farne a meno, in costante diffidenza verso la volontà popolare ed il metodo diretto di scelta delle maggioranze, i veri programmi di riforma resteranno solo un miraggio. Se non si fa in modo, al posto dei mille giochi e della complessa composizione degli interessi di parte, di poter esercitare il libero voto per scegliere direttamente la più alta carica dello Stato, oltre al governo ed alla maggioranza che la sostiene (più che delegare i presunti detentori di una volontà elettorale che spesso viene ribaltata dai partiti dopo il voto), a farla da padrone saranno sempre e solo le vuote chiacchiere. A poche ore dalla scelta del nuovo Capo dello Stato l’opinione pubblica brancola nel buio afflitta da dichiarazioni auliche quanto vaghe, dalla ricerca di una personalità anfotera se non neutra. Di questo passo la gente continuerà a sentirsi estranea alla questione. Insomma si procederà a colpi di schede bianche, dopo mesi di chiacchiere, tatticismi e politichese. Sovviene alla mente una parodia dell’ode di Arnaldo Fusinato “L’ultima ora di Venezia”: “il morbo (Covid) infuria, il nome manca, sul colle sventola la scheda bianca”.
*già parlamentare
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