*L’uomo che volle farsi re*
di Vincenzo D’Anna*
Il tribunale di Napoli ha emesso una sentenza con la quale sono state sospese due delibere adottate lo scorso mese agosto dal M5S per modificare, in fretta e furia, il proprio statuto. Il tutto per favorire l’elezione dell’Avvocato del popolo, al secolo Giuseppe Conte, nel ruolo di presidente dei pentastellati. La notizia ha creato disorientamento e sconcerto nei vertici del partito fondato (e controllato) da una società lucrativa nella quale Beppe Grillo e e Gianroberto Casaleggio erano i soci di maggioranza. Dopo che il comico genovese e l’erede di Casaleggio, suo figlio Davide, si erano defilati dalla gestione politica, il timone di comando era passato, appunto, nelle mani di un direttorio al cui vertice era assurto l’avvocato pugliese. Affinché questo potesse accadere era stato necessario modificare l’originario statuto dei Cinque Stelle. Ora, su ricorso di alcuni iscritti, quelle stesse deliberazioni sono state sospese dal magistrato e di conseguenza sono stati dichiarati decaduti tutti i vertici del movimento. Conte compreso. In verità, fin dal suo insediamento, l’ex premier aveva lungamente discusso sulla necessità di adottare un nuovo statuto per disciplinare, con metodi democratici, la vita interna di un partito che già di per sé era nato in maniera anomala. Un partito che utilizzava il simbolo di proprietà di una società lucrativa, gestita con metodi autoritari ed inappellabili. Tutte le decisioni e le designazioni a ricoprire cariche direttive venivano, infatti, sostanzialmente manipolate e confermate attraverso il sapiente uso di una piattaforma informatica denominata “Rousseau”. L’uso di questo sistema telematico era pagato dagli iscritti e dagli eletti ai vari livelli (Parlamento, enti locali) e serviva, concretamente, per consultare le volontà di quanti erano chiamati ad esprimere la loro opinione sulle scelte del movimento. Mancando ogni forma di controllo da parte di organi di garanzia, attraverso Rousseau venivano, di fatto, ratificate ed avallate decisioni già prese dalla società dei due dioscuri che la utilizzavano a loro piacimento. Un sistema che oltre a garantire circa un milione di euro di contributi all’anno, fungeva anche da simulacro e paravento democratico affinché la cosiddetta base potesse apporre il suggello a decisioni già rate e consumate. In tal modo sono state gestite, in passato, anche le scelte per compilare le liste elettorali e per espellere dal Movimento, senza alcun contraltare o grado di giudizio, chiunque osasse sollevare obiezioni. Un sistema tirannico ed illiberale che veniva contrabbandato come un nuovo metodo assembleare mediante il quale si potevano scegliere i propri rappresentanti ed assumere le necessarie decisioni. Un grande bluff, un sistema sbrigativo e truffaldino che con la democrazia decisionale non ha mai avuto alcunché a che vedere. E tuttavia, nell’epoca e nel nome di una pseudo rivoluzione popolare, sorta contro le angherie ed i misfatti della classe politica allora imperante, definita spregiativamente come una casta di profittatori e malfattori, origine e causa di ogni male sociale e corruttela politica, molta gente ha preferito chiudere gli occhi. E’ stato così che un manipolo di disoccupati, incolti ed inesperti, ha potuto diventare maggioranza relativa nel Parlamento ed occupare lo scranno di sindaco in alcune grandi città come Roma e Torino. Il polverone e le menzogne furono perlopiù diffuse, sotto forma di fake, sulla rete social sempre più attrattiva è seguita. Un sistema che accecando la mente e le coscienze di un popolo alla perenne caccia di un capro espiatorio, alla fine altro non desiderava che nuovi padroni, dai quali ricevere sussidi di cittadinanza e nuove prebende clientelari ed assistenziali. Ma la storia, per quanto divenuta ormai chiara, dopo l’abiura di tutti i principii e la negazione di ogni promessa demagogica fatta dai grillini, ha radici che vanno ben oltre l’obnubilazione del corpo elettorale e le furbizie degli elettori. Si tratta infatti di un lascito della seconda repubblica, di quell’era politica che ha buttato via l’acqua sporca della partitocrazia, con tutto il bambino, i partiti politici democratici e rappresentativi. Insomma, questa ultima vicenda mette a nudo quanto sia necessario ritornare alle forze politiche tradizionali organizzate e gestite su base democratica, che adottino sistemi di controllo e verifica per la selezione degli organismi statutari e della classe dirigente. In soldoni: è l’ora che i partiti vengano considerati enti di diritto pubblico e non associazioni private come un qualsiasi circolo ricreativo. Serve un authority autonoma che controlli e verifichi se le forze politiche rispettino le regole che esse stesse si sono date con lo statuto. Non si tratta di sottoporre alla giurisdizione un “controllo”, ma di semplice verifica dell’attuazione di norme conformi alla trasparenza ed alla legittimità, anche per un oculato finanziamento pubblico. Basta, quindi, con le mezze calzette che vollero farsi re, senza consenso e legittimazione democratica, come Giuseppe Conte ed suoi emuli.
*già parlamentare