Giustizia, i veri problemi: lentezza e Prescrizione

15 FEBBRAIO 2022

Il cronista del Giornale Stefano Zurlo ha intervistato Giuliano Pisapia, figlio di Gian Domenico Pisapia, che era un giurista di grande valore, con cui mi onoro di essermi laureato a pieni voti, ma peraltro autore, con le migliori intenzioni, della disastrosa riforma del codice di procedura penale del 1989 (un incrocio fra sistema accusatorio e inquisitorio). Lì Pisapia jr. ha affermato che bisogna andare oltre “la solita litania sulla lentezza dei dibattimenti”. Peccato che questa litania sia “solita” per la semplice ragione che la lentezza dei processi va a incidere pesantemente su alcune questioni fondamentali: la custodia cautelare, la “presunzione di non colpevolezza”, la certezza della pena, la libertà di stampa.

È ovvio che più lunga è la durata dei processi, più lunga può diventare la carcerazione preventiva. Senza arrivare ai casi clamorosi di Giuliano Naria, il presunto terrorista rosso che fece nove anni di carcerazione preventiva per essere poi riconosciuto innocente, oggi le nostre carceri sono zeppe di persone in attesa di giudizio. Questo per gli stracci, gli altri vanno agli “arresti domiciliari”, anche questa una discriminazione sociale inaccettabile motivata dalla considerazione che i “colletti bianchi” soffrirebbero di più il carcere perché non ci sono abituati. La “presunzione di non colpevolezza” fino a condanna definitiva è un principio fondamentale del diritto. Ma se i processi si allungano all’infinito diventa di fatto una presunzione di impunità perché i processi finiscono inevitabilmente sotto la mannaia della prescrizione o della “improcedibilità” con cui la ministra della Giustizia Marta Cartabia, con un gioco direi quasi di parole, ha cercato di mascherare la prescrizione. Teniamo presente che se un imputato è sempre, e giustamente, un presunto innocente, la vittima del reato è però certa e ha quindi più diritto degli altri di avere una giustizia che invece, prescrizione operans, non avrà mai. La prescrizione poi annulla la certezza della pena che è un altro dei cardini di un buon funzionamento della giustizia e della società stessa. Le pene non devono essere troppo dure né tantomeno “esemplari”, come s’è detto e fatto troppe volte sotto spinte emozionali, ma devono essere certe. L’abnorme durata dei nostri procedimenti impedisce di tutelare la loro segretezza. Nel codice di Alfredo Rocco (ministro della Giustizia durante l’era fascista) le cui norme hanno avuto valore fino al 1988, l’istruttoria era segreta, il dibattimento ovviamente pubblico (nei sistemi totalitari è segreto anche il dibattimento). Ciò a tutela delle persone che durante la fase, per forza di cose incerta e a tentoni delle indagini preliminari, possono essere impigliate in un’inchiesta alla quale sono estranee. Cioè in un sistema ben regolato la polizia giudiziaria e il pubblico ministero portano alla valutazione del Gip il materiale che hanno raccolto. Il Gip scarta i fatti irrilevanti e porta al dibattimento solo quelli che sono utili al processo e così, a parer mio, dovrebbe essere. Ma così non è stato. Perché in questi anni i media hanno potuto violare un segreto istruttorio che di fatto non esiste più. Con conseguenze devastanti. Oggi basta che un personaggio pubblico sia raggiunto da un “avviso di garanzia”, che in teoria dovrebbe essere a sua tutela, perché si scateni il “tritacarne massmediatico” da parte di questa o quella formazione politica e dei media a essa aggiogati. Ma, d’altro canto, se le istruttorie durano anni, impedire ai media di raccontarle finisce per essere un’inaccettabile mordacchia alla libertà di stampa.

Ritorniamo quindi e sempre al problema dell’abnorme lunghezza delle nostre procedure. In Gran Bretagna durante le istruttorie i media forniscono solo le iniziali dell’indagato indicato come “persona informata dei fatti” e non possono fare nemmeno il nome del giudice inquirente a evitare che costui voglia farsi pubblicità evitando così la canzoncina che da anni è il leitmotiv delle destre italiane per squalificare le indagini. Ma in Gran Bretagna se c’è un imputato detenuto le istruttorie durano dai 28 ai 32 giorni a seconda della diversa composizione del Giurì cioè della diversa gravità del reato. Ma questo da noi è impensabile. In attesa che si metta mano seriamente a una riforma del codice di procedura penale che lo ripulisca degli infiniti ricorsi e controricorsi, esami e controesami e delle leggi cosiddette garantiste con cui è stato inzeppato il codice durante l’era Berlusconi, che in realtà si risolvono in un danno per l’innocente, il cui interesse è essere giudicato il prima possibile, e in un vantaggio per il colpevole il cui interesse è esattamente l’opposto, troviamo ragionevole la mediazione proposta dal procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi che ha inviato una circolare a tutti gli uffici giudiziari raccomandando di limitare al massimo le conferenze stampa e di non indicare come “colpevole” l’indagato. È già qualcosa. Anche se in passato, un passato ormai lontano, era una norma di civiltà che il magistrato si esprimesse solo “per atti e documenti”. Ma quelli erano altri tempi, altri uomini, altro tutto.

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RIFORMA

Dal sorteggio Csm alle “porte girevoli”: il governo rischia

I PARTITI E LA CARTABIA – Giudici: il Pd vuole ridurre la tagliola per chi fa politica. Il nodo dell’elezione del Consiglio

15 FEBBRAIO 2022

È ancora il momento dei messaggi in bottiglia, ma il Pd è pronto a fare le barricate: se alla Camera si creeranno inedite alleanze volte a introdurre il sorteggio per l’elezione del Csm (sorteggio che piace tanto per esempio a Forza Italia ma pure al M5S), il governo potrebbe rischiare. Molto più di turbolenze. “Se si dovesse arrivare a ribaltare l’accordo votato all’unanimità l’altro giorno in Consiglio dei ministri si innescherebbe inevitabilmente un effetto politico non tranquillizzante, con ripercussioni molto forti sull’esecutivo” spiega Alfredo Bazoli altro pezzo da novanta della pattuglia dem in commissione Giustizia a Montecitorio.

Dove domani verrà incardinato il testo su cui Mario Draghi ha promesso che non verrà messa la fiducia. A significare che il monito di Sergio Mattarella nel senso di recuperare il Parlamento alla sua funzione legislativa è stato recepito: ora però va capito quali maggioranze verranno fuori da questa discontinuità e quali alleanze salteranno per aria sul tema dei temi, la riforma della giustizia. E se il sistema elettorale per la componente togata del Csm è un punto su cui potrebbe saltare il banco, fili ad altissima tensione si registrano anche sul blocco delle cosiddette “porte girevoli” altra questione attorno al quale si agitano mondi e ambienti per tradizione vicini ai dem e per niente soddisfatti: né sul divieto assoluto di tornare nelle aule di giustizia per magistrati al termine di un mandato elettivo in politica o dopo un’esperienza di governo o di sottogoverno. Né sul periodo di decantazione imposto alle toghe subito dopo aver terminato un incarico fuori ruolo magari da capo di gabinetto al ministero.

Spiega un alto magistrato con la promessa dell’anonimato: “Impedire a una sola categoria, 10-15 mila persone tra magistrati ordinari e non, di partecipare alla vita democratica del Paese è un vulnus che ha evidenti profili di costituzionalità. Quanto alle norme sui capo di gabinetto la volontà chiara è quella di penalizzare le toghe al rientro da questi incarichi. E poi dove dovrebbero finire queste persone e a far cosa per tre anni? Rischiamo nel migliore dei casi di creare una riserva indiana. Ma la verità è che si punta a una sostituzione etnica: fuori i magistrati dentro gli avvocati”.

Il sottotesto è il seguente: il Pd da che parte sta? Il Pd in effetti è in imbarazzo e promette correttivi. Li ha promessi Andrea Orlando che è stato anche Guardasigilli: “Penso sia ragionevole distinguere tra chi ha fatto una campagna elettorale e chi viene chiamato a svolgere una funzione tecnica in un governo” ha detto pur sapendo di camminare sulle uova.

Perché ha fatto riferimento anche a magistrati come Roberto Garofoli finito nei giorni scorsi nel tritacarne inseguito dal sospetto del conflitto di interesse. In sede di limatura del testo con la ministra Cartabia, a un certo punto era venuta fuori una prima versione della norma che eliminava il rischio delle porte girevoli per i magistrati che fossero ministri o sottosegretari. Come è lui stesso, magistrato di gran carriera a Palazzo Spada. Anche lì, si guarda con fiducia a un allentamento della tagliola prevista dal Riforma.

Quale? Il Pd punta almeno a ridurre la decantazione triennale prevista dopo gli incarichi ministeriali. Ma è un obiettivo minimo: c’è anche chi spera che quando verranno scritti i decreti di attuazione al ministero si trovi un modo per allentare lo stop alle porte girevoli al punto da renderlo inapplicabile alla maggior parte degli incarichi.

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LE SCELTE DEL CSM

Procure, Viola e De Lucia puntano a Palermo. Milano: Patrono è in pole

15 FEBBRAIO 2022

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Oggi si entra nel vivo della prima nomina, importante, che il Consiglio superiore della magistratura dovrà affrontare da qui all’estate: la Quinta commissione ascolterà i candidati al posto di procuratore di Milano, lasciato libero da Francesco Greco, in pensione. Intanto, si è appena chiuso il bando per quello di procuratore a Palermo e tra i candidati non c’è, come in tanti, si aspettavano, Michele Prestipino, già aggiunto a Palermo, rimasto per ora a Roma, sempre come aggiunto, dopo che il Consiglio di Stato ha annullato la sua nomina a procuratore capo della Capitale. Al suo posto si è insediato Franco Lo Voi, che ha liberato la “casella di Palermo”.

Per quanto riguarda Milano, la scelta è assai delicata non solo per l’importanza dell’ufficio giudiziario ma perché la procura è finita nella tempesta, con annesse inchieste penali, disciplinari e per incompatibilità ambientale per il caso dell’avvocato Piero Amara e dei suoi verbali, non firmati, sulla presunta loggia Ungheria, che il pm Paolo Storari consegnò nel 2020 all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Ed è in questo contesto che cade la nomina del procuratore milanese. Domani la Quinta commissione del Csm ascolterà i candidati: i procuratori di Bologna Giuseppe Amato e di La Spezia Antonio Patrono, il procuratore generale di Firenze Marcello Viola e il procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli. Patrono, ex togato del Csm, di MI, in questo momento sembra il favorito e, infatti, Viola concorre anche per Palermo così come il procuratore di Messina, Maurizio De Lucia, quello di Gela, Fernando Asaro, Marzia Sabella e Paolo Guido, procuratori aggiunti a Palermo, Franca Imbergamo, pm alla procura nazionale antimafia, e Francesco Puleio, procuratore aggiunto a Catania. Il Csm ha fretta di scegliere il procuratore milanese perché l’attuale reggente, Riccardo Targetti andrà in pensione ai primi di aprile e il procuratore aggiunto più anziano dopo di lui è De Pasquale, sotto inchiesta per le accuse mosse da Storari per la gestione del processo Eni. A stretto giro anche la nomina del procuratore nazionale antimafia: Federico Cafiero de Raho andrà in pensione fra tre giorni. La partita sembra a due: tra il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e il procuratore di Napoli Giovanni Melillo. A luglio si saprà anche il successore di Giovanni Salvi, attuale Pg della Cassazione, anche lui alla soglia della pensione.

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