1956, in Trentola – Uccise il cognato con 5 colpi di pistola – Il movente: una costruzione abusiva nel cortile comune di Ferdinando Terlizzi
Alle ore 21 e 30 del 4 aprile del 1956 il comandante dei carabinieri di Trentola inviava alla Autorità competenti un cablogramma con il quale segnalava che Michele Fioravante, 41 anni, manovale, per vecchi rancori esplodeva – nella pubblica via della Pretura – 4 colpi di rivoltella nei confronti del cognato Raffaele Bove, bracciante agricolo di 45 anni. Mentre il ferito in imminente pericolo di vita veniva ricoverato presso l’Ospedale dei Pellegrini di Napoli lo sparatore si dava alla latitanza. I carabinieri nel frangente sottoposero a fermo giudiziario la moglie del latitante Caterina Palmieri, casalinga, di anni 41 perché fortemente sospettata di essere complice ed istigatrice del marito.
A 24 giorni dal delitto, mentre si intensificavano le ricerche del latitante, il ferito decedeva e il Giudice Istruttore, Bernardino De Luca, affidava al prof. Achille Canfora, della Scuola di Medicina Legale dell’Università di Napoli, l’esame autoptico sulla salma della vittima. Le conclusioni furono che la causa della morte era stata una sepsi con prevalente focalizzazione ‘pleuro-bronco-polmonare’ e con ingresso attraverso le numerose piaghe da decubito, instituitesi per lesioni ‘vertebro-midollare’ con conseguente paralisi degli arti inferiori e decubito supino obbligato. La stessa fu prodotta da proiettili esplosi da arma da fuoco a canna corta verosimilmente da una pistola-revolver e sussiste il nesso di causalità tra le lesioni subite e il decesso. In seguito ad un sopralluogo ‘sulla scena del crimine’, effettuata dal giudice istruttore, Camillo Grizzuti del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, gli schizzi prospettici e la planimetria del luogo del delitto in Trentola, fu eseguita dall’ingegnere Raffaele D’Aco, da Santa Maria Capua Vetere. Nel corso delle3 indagini dibattimento si accertò che il 3 aprile del 1956 si era presentata alla caserma dei carabinieri di Trentola Angela Caterina Fioravante, per denunciare che suo fratello Michele, con il concorso della propria moglie Caterina Palmieri, aveva esploso contro suo marito, 5 colpi di pistola, fuggendo immediatamente. Fu fermata Caterina Palmieri la quale dichiarò ai verbalizzanti che verso le ore 21 aveva lasciato in casa suo marito ed i bambini che consumavano una pietanza di fagioli e si era recata ad acquistare delle olive nel vicino spaccio di generi alimentati sito in via Pretura, gestito da certa Anna Pezone; che mentre si trovava nel negozio aveva sentito sparare e su consiglio della Pezone era fuggita e si era rifugiata nella casa di tale Rosa Sabatino sita in un vicolo di via Pretura. Il Bove, interrogato la sera stessa del 3 aprile dai carabinieri e dal Procuratore della Repubblica di Napoli nell’Ospedale dei Pellegrini (ove gli furono riscontrate gravissime ferite multiple) affermò che mentre rincasava in bicicletta da una festa tenutasi in Parete, giunto all’imbocco del vicolo nel quale era la sua casa, mentre stava smontando dal veicolo era stato fatto segno a 4 colpi di arma da fuoco sparatigli alle spalle da una distanza di circa un metro un metro e mezzo da suo cognato Michele Fioravante che trovavasi appostato nel detto veicolo insieme alla moglie la quale però non esplicò alcuna attività in quel momento. Aggiunse che il quarto colpo lo raggiunse quando era a terra e che era stato aggredito senza ragione alcuna ma che però vi era dell’astio tra le due famiglie per un litigio per cui pendeva ancora un giudizio penale.
La prima accusa di ‘tentato omicidio’ trasformatasi in ‘omicidio volontario aggravato’ per la morte del ferito.
I carabinieri di Trentola, con rapporto del 7 aprile del 1956, denunziarono Michele Fioravante (che si era frattanto sottratto al mandato di cattura) e la moglie Caterina Palmieri (in stato di fermo, però autorizzato dal magistrato inquirente) quali responsabili di tentato omicidio in persona di Raffaele Bove. Tra i motivi che i carabinieri addussero per il cruento episodio vi era quello prominente dei vecchi rancori sfociati poi in un giudizio civile ed un procedimento penale. Infatti, con un rapporto di un anno prima del delitto (1955) i carabinieri avevano denunciato ‘per rissa e lesioni personali’, sia i coniugi Fioravante-Palmieri che i coniugi Bove ( diverbio avvenuto nel pomeriggio del giorno 3 aprile riferito dalla Palmieri).
Michele Bova moriva il 25 aprile del 1956, nell’abitazione della madre in Cesa ove, essendosi perduta ogni speranza di salvarlo, era stato trasportato. L’autopsia accertava che uno dei proiettili che aveva attinto il Bove era penetrato nello speco vertebrale ed aveva leso la impalcatura ossea, le meningi ed il midollo spinale. Che il decesso aveva un nesso di causalità tra le lesioni prodotte dall’arma da fuoco e la morte. Nel frattempo il Fioravante venne scovato nel suo nascondiglio e tratto in arresto. Ai due (marito e moglie) vennero contestati, dapprima il concorso in tentato omicidio, e poi il concorso nell’omicidio consumato. Innanzi al giudice istruttore la Palmieri continuava a dichiararsi innocente.
Il Fioravante a sua volta dichiarava al giudice istruttore che mentre stata rincasando – di ritorno dalla campagna – era stato affrontato dal Bove il quale gli si era avvicinato, lo aveva schiaffeggiato, e, messo una mano in tasca, gli aveva detto: ”Non ti muovere stasera devi morite”. A tale minaccia egli aveva estratto la pistola (una pistola a tamburo calibro 8 sequestratagli al momento dell’arresto) ed aveva esploso tre o quattro colpi senza mirare; visto il Bove cadere si era poi pentito della ‘cattiva azione’ commessa e si era allontanato per i campi. Escludeva inoltre che al momento degli spari fosse con lui la moglie e di aver saputo prima del fatto dell’ultimo litigio. In un successivo interrogatorio il Fioravante precisava che quando incontrò il Bove egli tornava non dalla campagna ma da un concertino tenutosi in Parete e che il Bove dopo averlo preso a schiaffi lo aveva trascinato nel vicolo ed aveva addirittura estratta la pistola puntandogliela contro.
I testimoni sentiti durante le prime indagini confermavano in buona sostanza le dichiarazioni già rese in precedenza. Il carabiniere Giovanni Morgillo riferiva che la Palmieri venne fermata in una casa in un vicolo di via Pretura, cioè nella abitazione di Rosa Sabatino; la donna non aveva con sé bottiglie o pacchetti. La Rosa Sabatino a sua volta confermava che la Palmieri non portava nulla con sé e aggiungeva che la stessa, entrata in casa sua e sprangata la porta con il paletto la invitò a recarsi a badare ai suoi bambini e le disse che il marito aveva sparato contro il Bove.
Gennaro Zuppa e Gennaro Palmieri, fratello della imputata, deponevano, il primo circa il diverbio verificatosi nel giorno del delitto e il secondo che subito dopo il diverbio la sorella si era portata in casa sua e gli aveva raccontato, piangendo, l’accaduto. Angela Caterina Fioravante e Angela Errico, madre del Bove, raccontavano invece il litigio del luglio 1955, che era avvenuto poco dopo che il Michele Fioravante aveva iniziato una costruzione, secondo loro abusiva, nel cortile comune. La Fioravante, però, faceva presente che dopo il litigio si era riappacificata con la Palmieri. Sia la Errico che la Fioravante dichiaravano, inoltre, che il Bove aveva detto loro che aveva sentito la Palmieri incitare il marito mentre questi sparava conto di lui ed anche Francesca Della, Maria Fabozzi e Raffale Villani, testi indicati dalla Fioravante riferivano confidenze analoghe fatte loro dal Bove.
La difesa degli imputati faceva invece deporre Umberto Martino e Nicola Palmieri i quali deponevano che la sera del 3 aprile 1956 il Bove nella Piazza di Trentola aveva loro chiesto se avessero visto il cognato, nonché, al fine di dimostrare che il Bove aveva aggredito il Fioravante, altri testi che però dichiaravano di nulla sapere del fatto. Dopo avere ispezionata la località teatro del delitto e fatto eseguire rilievi fotografici e planimetrici della zona, il giudice istruttore disponeva proseguire separatamente la istruttoria per i fatti accaduti nel 1955 (rissa per presunta la costruzione abusiva) e con sentenza del 31 marzo del 1958, su parere conforme del pubblico ministero, ordinava il rinvio al giudizio della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere di Michele Fioravante e della moglie Caterina Palmieri per rispondere dei reati di omicidio.
Durante lo svolgersi del dibattimento gli imputati insistevano nello loro tesi difensive e al termine della escussione dei testimoni i rappresentati delle parti civili Angela Errico e Angela Caterina Fioravante, (quest’ultima ammessa al gratuito patrocinio) chiedevano la condanna degli imputati e al risarcimento del danno. Il Pubblico Ministero concludeva per l’affermarsi della responsabilità di entrambi gli imputati e per la condanna dei medesimi ad anni 24 di reclusione ciascuno. La difesa chiedeva l’assoluzione della Palmieri per ‘non aver commesso il fatto’ o quantomeno per ‘insufficienze di prove’ e la concessione al Fioravante delle attenua ti generiche e della provocazione.
Il processo – Il Pubblico Ministero chiese una condanna ad anni 24 di reclusione ciascuno. La difesa chiese l’assoluzione della Palmieri per ‘non aver commesso il fatto’ e la concessione al Fioravante delle attenua ti generiche e della provocazione. La sentenza fu 18 anni per il marito e assoluzione per la moglie –
E’ pacifico che tra i coniugi Michele Fioravante e Caterina Palmieri da una parte e Raffaele Bove e Angela Caterina Fioravante dall’altra, esisteva da tempo un notevole attrito per ragioni di interesse e di vicinato. Le due famiglie abitavano in vani contigui che i germano Fioravante avevano ereditato dal loro genitore e si erano rispettivamente attribuiti con atto di divisione per Notar Guglielmo Conte in data 9 aprile del 1954, nel quale peraltro era stta mantenuta ferma la comunione su parte del cortile da cui si accede a due vani ed erano stati altresì riconosciuti ad entrambi i condividenti il diritto di edificare accessori da rimanere in comune ed al Michele Fioravante quello di edificare, ad una altezza sul piano del suolo comune, un solaio per mettere in comunicazione il sottotetto del fabbricato a lui assegnato con altro fabbricato che egli avrebbe costruito si una piccola zona del cortile compresa in proprietà esclusiva nella sua quota. In un primo tempo il Fioravante manifestò propositi di estrema vendetta verso il Bove. La madre del Bove, Angela Errico, infatti, ha riferito che poco dopo il fatto sentì dire nella abitazione del Fioravante…”Lascialo andare e vivrà un altro poco”… E così nel primo pomeriggio del 3 aprile 1956 vi fu il diverbio tra la Palmieri e la Fioravante originato dal fatto che nel cortile erano entrati dei bambini, coetanei di una figliola della Palmieri e la Fioravante per evitare che gli stessi insudiciassero i suoi panni stesi allo sciorino voleva mandarli via. Il bambino Zennaro Zuppa ha deposto che nel corso della lite la Fioravante ebbe a minacciate la Palmieri ma anche questa preannunciò parole contro la prima; e che effettivamente le due donne trascesero entrambe in invettive lo si arguisce anche dal fatto che Maria Menditto, madre della Fioravante e suocera della Palmieri, trovatasi presente all’incidente rimproverò tutte e due. Subito dopo il litigio la Palmieri si allontanò da casa e si portò presso il fratello in San Marcellino, donde fece ritorno verso sera; alcune ora dopo si verificò l’omicidio. Innanzitutto va osservato – precisarono ancora una volta i giudici nella motivazione della loro sentenza – che il racconto del Fioravante era manifestamente contraddittorio ed inverosimile. Il predetto dapprima aveva affermato che il Bove, smontato dalla bicicletta, gli assestò tre o quattro schiaffi e mise una mano alla tasca dei pantaloni dicendogli “non ti muovere, stasera devi morire “ e in un secondo tempo, dimenticando la prima ricostruzione, affermò che il Bove estrasse addirittura una pistola, il che è assurdo perché non si spiega come il Bove, ove sia stato lui a prendere l’iniziativa di violenze e perfino il primo a porre fuori una pistola e non sia poi riuscito – non già ad avere ragione del Fioravante – ma neppure ad esp1odere, come è pacifico, neppure un colpo. Inoltre il racconto della teste Maria Babela , nei confronti della quali gli imputati non hanno avanzato motivi di sospetti, conferma la tesi del Bove e smentisce quella del Fioravante; la teste tempestivamente affacciatasi alla sua finestra dalla quale è visibile l’imbocco del vicolo, vide il Bove cadere quando era ancora sulla bicicletta, e quindi prima ancora che fosse potuto venire a contatto con il cognato che sparava dall’interno del vicolo. Ed è chiaro quindi che ella fu pianamente consenziente all’omicidio e si portò sul posto proprio per sostenere moralmente l’esecutore, e che l’atteggiamento sereno tenuto nel locale della Pezone, la incertezza e il rammarico manifestato dopo gli spari non furono che una messinscena diretta a far risultare in uno stato d’animo contrario al delitto a fare apparire cioè il fatto diverso dalla realtà. Né fatto provocatorio può ritenersi, rispetto allo omicidio, la condotta del Bove e della Fioravante nel litigio avvenuto nel luglio del 1955. Per questo la corte ritenne di non poter concedere agli imputati l’attenuante della provocazione.
La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere ( Eduardo Cilento, presidente; Guido Tavassi, giudice a latere; giudici popolari: Ubaldo Ciccarelli, Carlo Alicandro, Gaetano Della Peruta, Vincenso Colella, Mario Ucci e Ferdinando Donadio) ritenne di concedere le attenuanti generiche ad entrambi ed in considerazione della personalità degli imputati e delle modalità del fatto, ritenne di condannare per l’omicidio alla pena di anni 21 di reclusione ciascuno e di ridurre per le attenuanti generiche ad anni 18 di reclusione. La sentenza fu appellata e gli avvocati Carlo Cipullo, Giuseppe Garofalo ed Enrico Altavilla nei loro motivi di appello sostennero che la Palmieri andava assolta dal concorso in omicidio per non aver partecipato al reato, quanto meno per la minima partecipazione ed in subordine per insufficienza di prove e che ad entrambi gli imputati andava concessa l’attenuante della provocazione .
Nel processo celebratosi il 28 febbraio del 1963, presso la Corte di Assisi di appello di Napoli (Presidente, Mario Marmo; giudice a latere, Gino Maresca; Procuratore Generale, Ignazio Custo) la condanna nei confronti del Fioravante venne confermata, mentre la moglie fu assolta per ‘insufficienze di prove’. Contro la sentenza di appello fu inoltrato ricorso per Cassazione dal solo Michele Fioravanti assistito dall’avvocato Simone Zarrelli il quale nei motivi sostenne il Fioravante aveva diritto a costruire nel cortile, che la moglie era stata aggredita proditoriamente, che aveva subito minacce, che il delitto avvenne in uno stato d’ira e di ansia, la personalità dell’imputato, (costretto all’esasperazione) ed infine il calcolo della pena con la scriminante delle attenuanti generiche. Ma la Corte di Cassazione rigettò il ricorso. Gli avvocati impegnati nei processi furono: Carlo Cipullo, Giuseppe Garofalo, Enrico Altavilla, Antonio Simoncelli, Alberto Martucci e Simone Zarrelli.