*Evasori garibaldini* di Vincenzo D’Anna*
Tranquilli, non ho alcuna intenzione di riesaminare in chiave critica il nostro Risorgimento, quel periodo storico che ci portò forzosamente sotto la corona unitaria della monarchia piemontese. Niente a che vedere con “l’eroe dei due mondi” Giuseppe Garibaldi e il suo braccio destro Nino Bixio che, secondo la storia propinataci sui banchi di scuola, liberarono il Sud Italia dalla tirannia dei Borbone con uno striminzito manipolo di circa mille uomini arruolato alla rinfusa e scarsamente equipaggiato. La storia patria ci ha insegnato che questi disperati seppero sconfiggere sul campo reggimenti ben inquadrati e meglio armati, quelli del Regno delle Due Sicilie, omettendo però di dire che il regno sabaudo aveva già corrotto ed allettato a suon di bigliettoni i comandanti di quelle stesse truppe. La storia, ad esempio, ha celato le gesta di un abile ufficiale, Camillo Boldoni, napoletano di nascita, che fu inviato da Cavour nel Mezzogiorno, proprio mentre era in corso la Spedizione dei Mille, per alimentare un’insurrezione anti borbonica in Basilicata e nel Barese. Ci interessa invece ricordare in questa sede ai lettori che la cosiddetta unità d’Italia fu “avallata” dagli Inglesi per smantellare quella che era la più potente marineria al mondo: la flotta napoletana, concorrente diretta di quella britannica. Londra bramava, infatti, di poter avere l’esclusiva sul commercio di alcuni tra i più rinomati prodotti siciliani (come ad esempio il marsala) allora molto richiesti nel proprio Regno. L’interesse dei Sabaudi invece consisteva non solo nell’espandere il proprio regno, ma anche nel poter mettere mani sui ricchi forzieri del Sud e sulle industrie di quella terra. Per questo motivo ancora oggi la presenza di uno Stato imposta con la forza delle armi, agevolata delle promesse mirabolanti di democrazia e liberalità, è sempre stata ritenuta, dai meridionali, come un sopruso. Se poi lo Stato ti spoglia dell’organizzazione sociale e del tessuto produttivo oltre che delle intrinseche ricchezze, perché pagargli esose gabelle? Ovviamente non è solo un retaggio storico quello che induce i meridionali a non pagare le tasse (così come capita anche a tanti settentrionali). Vogliamo mettere l’indole levantina e la scarsa considerazione che tanti di noi hanno per il bene pubblico? Dallo Stato si esigono favori ed il potere, piccolo o grande che sia che lo stesso concede, per poter portare a compimento quel disegno personale e familiare che nel libro del sociologo Edward C. Banfield fu definito “familismo amorale”, in pratica l’insieme delle utilità riservate al nucleo familiare, derivate dall’esercizio del potere e dall’assoluta noncuranza del bene collettivo e dell’etica pubblica. Le cose non cambiano spostandosi al Nord ove, per altre cause, la vocazione all’evasione ed alla erosione fiscale non è meno diffusa. In quei luoghi, infatti, c’è la presunzione di aver già dato abbastanza alle casse dello Stato. I contribuenti della Lombardia vantano un versamento di oltre 260 miliardi di euro all’erario e quindi si sentono degli eroi e dei benemeriti. Tuttavia quello che a loro ritorna in termini di spesa pubblica statale, in agevolazioni contributive e fiscali (per le strutture produttrici) ed in finanziamenti mirati, ben ricompensa il versato. E’ semmai l’entità del versato delle regioni ricche che spesso non torna a prescindere dall’ammontare delle cifre indicate, così come al Sud del Paese. In parole povere: al di là degli stereotipi e dei pregiudizi, il piatto dell’erario piange nel suo complesso. Secondo il tax gap elaborato recentemente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), nel 2019 (ultima annualità disponibile), l’evasione fiscale presente nel nostro Paese sarebbe “scesa” a 80,6 miliardi di euro, ai quali aggiungere altrettanti per interessi passivi/ anno sul debito totale. Insomma un esercito di italiani cela i propri redditi reali al fisco ed è responsabile, insieme allo Stato sprecone ed inefficiente, della metà della montagna di debito pubblico. Buona parte di questi candidi cittadini sono gli stessi che deprecavano la classe politica del tempo e che hanno decretato, col loro voto protestatario, l’ascesa al potere di soggetti senza arte e né parte e senza un briciolo di cultura istituzionale e politica, come, per intenderci, quelli del M5S. Molti tra questi – c’è da scommetterci – sono leoni da tastiera, moralisti e tuttologi in servizio permanente sui social network, critici fino al midollo che si sono dannati l’anima per tagliare le spese cominciando dal taglio delle poltrone di trecento loro rappresentanti in Parlamento. Un atteggiamento non solo ipocrita e mendace ma inaccettabile per il falso moralismo che lo sostiene. Insomma ogni ingiustizia ci offende solo quando non ci procura alcun tornaconto. Innanzi a questa eloquente radiografia, c’è da dire che molti sono i garibaldini che combattono lo Stato esoso e gabelliere evadendo le tasse. E come quelli che sbarcarono a Marsala sono i falsi eroi di un’epopea bugiarda.
*già parlamentare