Ennesima beffa: il giudice dà torto alle sorelle Pilliu

UNA BATTAGLIA LUNGA 30 ANNI – “Non sono vittime di mafia: no risarcimenti”

“Cercavi giustizia, ma trovasti la legge”. La canzone di Francesco De Gregori è perfetta per illustrare quel che è successo il 1º aprile scorso al Tribunale di Palermo. Il giudice Andrea Illuminati ha dato ragione al ministero dell’Interno che aveva negato nel 2019 alle sorelle Maria Rosa e Savina Pilliu lo status (e il risarcimento) di vittime di mafia.
Per capire perché questa sentenza – magari impeccabile sul piano giuridico – è nella sostanza un’ingiustizia, val la pena ripercorrere la storia dall’inizio. Come i lettori del Fatto sanno bene, le sorelle Maria Rosa e Savina Pilliu, classe 1960 e 1965, sono le protagoniste di una resistenza epica più che trentennale contro la prepotenza mafiosa. Orfane di padre si oppongono dal 1990 agli abusi di un costruttore vicino prima alla vecchia mafia palermitana di Stefano Bontate e poi ai boss che prenderanno il posto del ‘principe di Villagrazia’ dopo la sua uccisione nel 1981. Pietro Lo Sicco, si chiama così, costruisce un palazzo di fronte al parco della Favorita dichiarandosi proprietario anche delle proprietà della famiglia Pilliu. Non rispetta le distanze e danneggia con le ruspe le casette delle sorelle. Le sorelle lo affrontano nonostante negli anni Novanta sia una sorta di Trump palermitano che – come l’originale Usa, iscrive sui suoi palazzi le iniziali – come fossero le camicie che indossa. Tutti i vicini abbassano il capo perché ha dalla sua non solo la mafia e i soldi (gli sequestreranno 200 miliardi di vecchie lire di beni) ma anche il comune di Palermo. L’assessore che rilascia la licenza si fa corrompere con una mazzetta di 20 milioni di lire dell’epoca.

Le Pilliu non cedono e vincono davanti a tutti i tribunali. Lo Sicco, grazie anche alle loro denunce, viene condannato per falso e corruzione e poi in un secondo processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Il palazzo viene dichiarato abusivo dai giudici amministrativi, nonostante il costruttore (quando era incensurato) era difeso da un principe del foro come il futuro presidente del Senato, Renato Schifani. Una sentenza civile ordina di fare arretrare il palazzo come un gambero di alcuni metri perché troppo vicino alle loro casette e infine arriva la sentenza più importante: nel 2019 la Corte di appello riconosce alle sorelle Pilliu un risarcimento danni di 750 mila euro circa più interessi.
Peccato che nel frattempo la società del costruttore, la Lopedil, è stata confiscata dallo Stato per mafia. L’Agenzia dei beni confiscati che ora controlla Lopedil non paga nemmeno lei perché nel frattempo la banca che aveva dato il mutuo al costruttore (senza controllare i suoi titoli) ha fatto pignorare e mettere all’asta gli appartamenti.
Le Pilliu restano con un pugno di mosche: hanno lottato per trent’anni contro un costruttore legato ai boss più forti e contro un palazzo illegale nel quale passano negli anni tipini come Giovanni Brusca, l’uomo che ha fatto saltare in aria un’autostrada per uccidere Giovanni Falcone. Eppure quando le sorelle fanno richiesta al ministero dell’Interno di pagare al posto della società di Lo Sicco, considerandole finalmente vittime di mafia, il ministero nel 2019 risponde picche. Dopo il danno arriva la beffa. L’Agenzia delle Entrate nel 2020 chiede alle sorelle Pilliu il 3 per cento del risarcimento mai incassato. Una legge prevede che chi vince una causa debba pagare l’imposta di registro sul risarcimento teorico anche se non ha incassato nulla.
A questo punto, un anno fa, con Pif, scriviamo per Feltrinelli un libro, Io posso. Il nostro scopo era cambiare il finale alla storia. In fondo oggi chi va in piazza Leoni cosa vede? Di qua un palazzo di nove piani che resta in piedi fottendosene dei diritti delle sorelle e di là le casette delle Pilliu, danneggiate dal costruttore, diroccate e sorrette da sbarre arrugginite.

Nel libro dichiariamo tre obiettivi: l’ultimo è il più difficile, quasi un sogno: ricostruire le casette e magari metterci dentro il negozio delle Pilliu e un’associazione antimafia come Addio Pizzo, che è stata al loro fianco.
Gli altri due obiettivi sono: 1) pagare con i diritti d’autore i 23 mila euro della cartella. Obiettivo raggiunto; 2) raccontare bene la storia in modo da mettere il giudice in condizione di capire cosa c’è dietro quella richiesta di essere riconosciute vittime di mafia. Evidentemente questo obiettivo non è stato centrato. “Ad avviso del Tribunale – scrive il giudice Andrea Illuminati – difetta il nesso causale tra il fatto di danno che ha dato titolo al risarcimento (…) e la consumazione del delitto di associazione mafiosa accertato in sede penale a carico di Sig. Lo Sicco Pietro”.
Per il giudice “la condanna al risarcimento dei danni è stata conseguita dalle attrici nei confronti della Lopedil Costruzioni Srl e, dunque, di soggetto diverso rispetto a quello a carico del quale è stata pronunciata la condanna (…) stante l’autonomia che connota la Società (quale autonomo soggetto giuridico) rispetto a colui che la amministra e la rappresenta”. Insomma i danni li ha fatti alle Pilliu la Lopedil, non il condannato Lo Sicco. E comunque “il risarcimento liquidato in favore delle attrici dalla più volte citata sentenza nr. 416/2018 della Corte di appello di Palermo si correla, infatti, esclusivamente ai danni connessi alle opere di demolizione e di edificazione poste in essere dalla società del Lo Sicco e che hanno causato il crollo della palazzina delle Sig.re Pilliu (…) è risultato del tutto indimostrato l’asserito ‘legame indissolubile’ tra il crollo della palazzina delle Pilliu e il reato di cui all’art. 416 bis c.p., per il quale il legale rappresentante della Lopedil Costruzioni Srl è stato condannato in sede penale”.

Non solo. Il giudice Illuminati ha stabilito anche che sarà Savina Pilliu a dover pagare le spese legali pari a circa 10 mila euro, comprese tasse e diritti.Per fortuna il libro Io posso continua a vendere e anche queste spese potranno essere pagate con i diritti ceduti integralmente dagli autori. E ora? L’avvocato di Savina Pilliu, Giulio Falgares, non demorde: sta studiando un nuovo ricorso. Intanto Maria Rosa questa estate è morta dopo una lunga malattia. E Savina, che aveva 35 anni quando questa storia iniziò, commenta: “Non mollerò mai, ma ormai ho 67 anni”.

15 APRILE 2022

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