*Una nuova resistenza* di Vincenzo D’Anna*
Che il vecchio mondo politico, i partiti tradizionali ed il loro portato di storia, valori e riferimenti sociali, fossero ormai sepolti, è un fatto acclarato da oltre un tentennio. La cosiddetta “Seconda Repubblica” si è rivelata più densa di ombre che di luci e molti dei propositi di rinnovamento morale, etico e politico che pure erano insiti in essa, sono finiti nel mondo dei sogni irrealizzati. Tranne che per il sistema elettorale maggioritario che, finché è durato, ci ha garantito una perfetta alternanza al potere (conferendo direttamente al popolo la facoltà di poter scegliere il presidente del Consiglio dei ministri, la coalizione di governo ed il suo programma), non molto altro è cambiato in meglio. Per di più, l’auspicato “ricambio” della classe dirigente post Tangentopoli non ha innestato quei meccanismi virtuosi che si erano auspicati, né sotto il profilo politico né sotto quello etico e morale. La burocrazia, infatti, è rimasta tale, anonima ed irresponsabile, con tutto il proprio carico di intrallazzi e clientele, auspice la collusione con il potere politico. Come se ciò non bastasse, abbiamo dovuto registrare l’invadenza di certa magistratura e la politicizzazione dell’azione giudiziaria, sostenuta dalla macchina del fango e della gogna mediatica che, come un nuovo Moloc da adorare, ha preteso il sangue e le vite distrutte di molta, troppa, gente. La comparsa dei partiti personalizzati e sostanzialmente legati ad un leader, che si formano e si disfano come le valigie di un commesso viaggiatore, hanno ulteriormente contribuito a cancellare ogni vecchio riferimento ideale confondendo ancora di più un elettorato già di per se stesso incline a perseguire il proprio particolare piuttosto che interessarsi alle sorti della Nazione. Innanzi a questo stato di cose una classe dirigente incolta, vocata al trasformismo, ha tentato di metterci una pezza che si è rivelata ancora peggiore del buco che pure intendeva riparare: ovvero il ritorno al proporzionale puro. Qualcuno si sforza ancora di asserire che incentivando le singole identità politiche si possa tornare alle vecchie organizzazioni di partito della prima repubblica, quelle costruite su base partecipativa e democratica. Tuttavia così non è perché saranno presenti solo nuovi contenitori ma continueranno a mancare i contenuti. Un partito non nasce sulle reminiscenze storiche né ripescando le denominazioni di un tempo, per il semplice fatto che quei partiti si riferivano ad assetti e modelli sociali che oggi non esistono più. A cosa servirebbe un partito di cattolici come la D.C. se la dottrina sociale della chiesa giace dimenticata ed inosservata finanche da questo Papa? A cosa servirebbe un partito comunista se il marxismo è stato sconfitto dalla storia del mondo e dal capitalismo, dalla società telematica, opulenta ed aperta dell’Occidente? E questo vale per tutto l’arcipelago di ciò che resta dei partiti di un tempo. In una società liquida, volubile e narcisista, quale radicamento potrebbero avere le visioni di Stato e di economia del secolo scorso? Certo quei programmi e quelle idee potrebbero essere attualizzate, subire una revisione, un adattamento alla nuova realtà, essere contestualizzati. Tuttavia come dimenticare che a sparire sono stati anche i punti cardinali che, un tempo, orientavano le scelte? Ancorché li si richiamino spesso, per mera strumentalità e ancora più spesso per identificare un avversario politico, nel deserto dei tartari della politica italiana, destra, centro e sinistra sono diventati ben altro rispetto alla loro denominazione originaria. Un esempio di scuola viene in questi giorni dalla polemica sorta tra l’intellettuale Flores d’Arcais e l’Associazione Partigiani d’Italia. Quest’ultima, in verità, è un ormai un simulacro , di partigiani se ne trovano ben pochi a 75 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, in compenso, quanto a partigianeria politica, l’Anpi ne è ben zeppa ! Quale il nodo del contendere? E’ presto detto: l’eccidio compiuto dai Russi a Bucha in Ucraina. Il direttore e fondatore (con Giorgio Ruffolo) di Micromega, mensile che per decenni è stata la bibbia della sinistra intransigente, ha apertamente accusato l’Anpi, da sempre roccaforte comunista, di “doppiezza”. Ora, che Micromega si schierasse senza se e senza ma, contro i russi e dichiarasse certa e verificata sul campo quella strage, non era scontato. Ma che l’Anpi, pur condannando quell’episodio, chiedesse una verifica sul campo da parte di organizzazioni sotto l’egida dell’ONU, lascia stupiti. A tal proposito, il “j’accuse” di Flores d’Arcais contro l’Anpi è stato grosso. Egli, infatti, ha parlato di “tradimento dello spirito resistenziale innanzi alle nuove fosse Ardeatine”. Insomma la polemica ha portato a galla che c’è bisogno di una “nuova resistenza” contro le forme di dispotismo che vengono dai paesi ex e vetero comunisti. L’occidente liberale deve proteggersi da questa pseudo ideologia che sposa le libertà economiche ma inibisce quelle civili e politiche. Una nuova tirannia insomma! Da ciò deriva l’esigenza di costruire quel partito riformista che ponga mano alla riforma dello Stato, ricostruendolo senza le vecchie ambiguità costituzionali ed i compromessi ideologici del passato, su basi ideali certe ancorate alle moderne democrazie liberali europee. Solo su queste fondamenta si potrà realmente “rinascere”.
*già parlamentare