*La lezione della Storia* di Vincenzo D’Anna*
Vorrei conoscere il nome di chi, avendone la responsabilità, ha decretato che la Storia fosse accantonata, come materia marginale, dai programmi didattici della scuola italiana. Come sia stato possibile che nella patria di Tacito, Tito Livio e Caio Giulio Cesare, narratori e storici per antonomasia, si sia potuto concepire una sciatteria di così vaste dimensioni. Eppure milioni di studenti hanno tradotto Senofonte, lo storiografo greco che, nel IV secolo a.C., con l’Anabasi, diede all’Umanità il primo libro di storia mai conosciuto al mondo (di allora), apprendendo il valore del ricordo e della lezione che viene da quanti ci hanno preceduto nel lungo tragitto che ha segnato le grandezze e le tragedie degli uomini e degli Stati. Sarà forse stata l’idolatria per la scienza e per la tecnica che caratterizzano un incipiente progresso dell’era contemporanea a fuorviare le menti dei decisori politici e burocratici spingendoli a ridimensionare lo studio di materie come la Storia e la Geografia. Si, anche di quella stessa Geografia che pure spinse animi ardimentosi, intrepidi esploratori e menti preparate a navigare il globo terraqueo per scoprire nuovi mondi e calpestare territori sconosciuti avventurandosi oltre le mitiche e temute colonne di Ercole. Furono proprio quelle “colonne”, poste simbolicamente a Gibilterra, ad essere indicate dagli antichi Greci come il limite del mondo allora conosciuto. Chi abbia potuto buttare alle ortiche queste materie d’insegnamento meriterebbe d’essere cacciato a furor di popolo, con al collo un cartello indicante la massima di Marco Tullio Cicerone “La Storia è maestra di vita”. Sarebbe il caso di chiedere ai tanti che oggi smanettano dietro una tastiera, dissertando sui tragici fatti della guerra in Ucraina, cosa sanno di un episodio storico che si rapporta alla tragedia in corso e che vide nella città portuale polacca di Danzica il suo riferimento. Danzica era il principale centro urbano ubicato lungo una striscia di territorio istituita subito dopo la fine della prima guerra mondiale, col trattato di Versailles, per dare alla ricostituita Polonia uno sbocco sul Baltico. Quella striscia chiamata, appunto, “corridoio di Danzica” divideva praticamente a metà la Prussia, lo stato intorno al quale si formata e unificata la Germania. Il fuhrer Adolf Hitler, una volta al potere, ne rivendicò l’annessione adducendo che quella doveva essere considerata “terra tedesca” ove i tedeschi potevano vantare una maggioranza di lingua e di cultura. Da qui – complice anche lo scellerato patto Ribbentrop-Molotov stipulato con l’Urss di Stalin – scaturì l’azione militare che portò, poi, le truppe della Wermacht ad impadronirsi di quella striscia di terra. Innanzi a tale proditorio raid le nazioni europee, Francia ed Inghilterra in primis, protestarono prima blandamente, quasi convinte che “morire per Danzica” potesse non valere la pena, salvo poi decidere di contrapporsi agli invasori tedeschi e dando, di fatto, in tal modo, inizio alla seconda guerra mondiale. La stessa società delle Nazioni (antesignana della moderna Onu), per la verità, intervenne tardi e male perché fossero ripristinati i confini scaturiti dagli esiti della conferenza di pace dopo la Grande Guerra, pagando la lunga fase di trattative diplomatiche che era succeduta alle precedenti annessioni tedesche di Cecoslovacchia ed Austria quando – in particolare a Londra – ci si era convinti che accontentando il fuhrer con la concessione dei Sudeti (conferenza di Monaco del settembre del 1938) si sarebbe anche definitivamente placare la famelicità del capo del nazismo. Nulla di più sbagliato e fu proprio l’invasione di Danzica a dimostrarlo. Quell’atto di cedimento risultò infatti un gesto tragico per le sorti dell’Europa pacifista avendo quelle precedenti “cessioni” conferito ad Hitler la sicurezza che le democrazie liberali del vecchio continente fossero guidate da governi imbelli e divisi. Ne pagarono il prezzo sia Édouard Daladier il primo ministro francese che Neville Chamberlain il premier inglese a cui successe l’intransigente Winston Churchill. Oggi, innanzi alle pretese di Mosca sul Donbass russofono, all’invasione dell’Ucraina non può che tornare alla mente la tracotanza e la minaccia hitleriana del 1939. I raid militari odierni nell’Est e nel Sud dell’Ucraina, gli ammonimenti alla Nato ed alle democrazie europee di non accogliere le richieste di Finlandia e Svezia pena il posizionamento di ordigni nucleari nel Baltico, somigliano non poco ai fatti di ottanta e passa anni fa. Il pacifismo disarmato ed inconcludente, le eventuali divisioni tra gli Stati dell’Unione Europea, le scelte tremebonde di taluni Stati che scelgono di tenere i piedi al caldo e la pancia piena innanzi alla difesa del principio di libertà e sovranità delle nazioni, riportano ad un filmato storico già visto. Ovviamente, s’intende, per coloro che hanno accolto la lezione della Storia.
*già parlamentare