*25 aprile, Liberazione da cosa?* di Vincenzo D’Anna*
Che il “25 aprile” si celebri la ricorrenza di una data fatidica per l’Italia è noto ai più. Essa ci ricorda il giorno in cui il nostro Paese fu liberato dall’occupazione nazista e dal residuale regime fascista organizzatosi nella Repubblica di Salò. Per moltissimi anni questa data è stata intitolata alla Resistenza, il movimento che si creò subito dopo l’8 settembre del 1943, quanto il regio esercito si “arrese” agli Alleati che risalivano lo Stivale. A comporre le formazioni partigiane furono i militanti dei principali partiti politici anti fascisti del tempo, suddivisi in brigate, in genere per colore politico. Preponderanti per numero furono quelle di matrice comunista, al punto tale da consentire, per un lungo periodo, una sorta di “egemonia” nella narrazione dei fatti e sul piano politico una propaganda che esaltava, in particolare, gesta e credo politico di quegli uomini, come se la liberazione fosse avvenuta solo ed esclusivamente per merito loro.
Una storiografia che fu facile falsificare e cristallizzare grazie alla successiva egemonia culturale che le forze di sinistra seppero costruire nel dopoguerra, utilizzando le opere e le arti dei non pochi intellettuali organici al partito comunista italiano. Quest’ultimo fece di quelle cronache, strabiche e parziali, un punto di forza della propria condotta politica intestandosi gran parte dei meriti di quanto era stato realizzato sui campi di battaglia. Un sorta di epopea dei partigiani comunisti che servì, in quel tempo, anche a prefigurare l’avvento di una rivoluzione proletaria armata per sovvertire il capitalismo e le scelte filo atlantiche che si andavano realizzando allora. Un clima di messianica attesa che servì non poco a mantenere vive e partecipi la massa dei militanti che votava “falce e martello” e sperava nella nascita di una repubblica socialista collocata ovviamente nell’orbita di Mosca piuttosto che in quella delle nazioni democratiche e liberali coagulantesi intorno agli Usa. Non mancarono, in quello stesso periodo, anche crudeli rappresaglie in stile “resa dei conti” tra quanti erano rimasti fedeli al regime mussoliniano e le stesse brigate comuniste, con soppressioni, fucilazioni sommarie, vendette e veri e propri eccidi che la storia ha poi avuto modo di rivelare. In verità non mancarono neanche rappresaglie nei confronti di altri partigiani non comunisti come quella compiuta a Porzûs che consistette nell’uccisione di diciassette militanti delle Brigate Osoppo, formazioni di orientamento cattolico e laico-socialista, rei di non essersi voluti aggregare ai partigiani jugoslavi di Tito. Molti gli episodi che sono venuti a galla nel momento in cui il fronte egemonico della cultura marxista si è rotto. Parimenti allo scoperto è venuto fuori il valore delle brigate del Regio Esercito che pure combatterono con gli Alleati contro i tedeschi.
Insomma lo spaccato di una falsa narrazione ha rivalutato meriti e primati sottaciuti a cominciare dalla determinante e fondamentale azione degli Anglo Americani contro i soldati di Hitler. Ristabilita la verità storica dei fatti si può ben dire che la Resistenza fu un fattore importante ma non determinante per la liberazione dell’Italia e che nel dopo guerra migliaia di fascisti si scoprirono, come per incanto, non solo anti fascisti ma addirittura partigiani incalliti, come nelle più classiche costumanze del trasformismo italiano. Tuttavia va ribadito con chiarezza che i Partigiani autentici mostrarono coraggio e spirito di sacrificio e che molti, tra essi, immolarono la propria vita per amore della libertà. A questi va il nostro ricordo e la celebrazione di una festività che può dirsi evento per la fine di una dittatura dagli esiti tragici e nefasti per la Nazione. Se questo è l’assunto principale del 25 aprile, occorre chiedersi cosa vuol essere al giorno d’oggi, se sia ancora un sentimento ed un argine alle ideologie totalizzanti, ancorché a quelle di vecchio stampo e ricordo siano subentrate altre di segno politico diametralmente opposto. Chi sono oggi i satrapi ed i regimi dittatoriali da esecrare e condannare in nome della libertà? Bisogna continuare nel ricordo di eventi storici ormai vecchi di quasi un secolo oppure attualizzare le cose in nome degli stessi principi ispiratori della Resistenza? Ha ancora un senso condannare solamente i regimi di destra che partorirono quella barbarie? E che dire allora di quei modelli dittatoriali storicamente cari e solidali alla sinistra, che ancora oggi esistono ed applicano i dettami liberticidi del marxismo nel mondo? Esiste un principio generale di condanna alle dittature, alle guerre, ai genocidi, ai campi di concentramento, alle fosse comuni, oppure tutto si limita (e si circoscrive) a fatti celebrativi riferiti ad un determinato passato remoto di identico segno dittatoriale e disumano? Allora non serve tanto celebrare una data ma, finalmente, un principio universale di civiltà, di umanità, di libertà e di democrazia per tutti popoli e tutte le epoche.
*già parlamentare