A Falciano di Carinola,  Odoardo Suighi, di anni 72, il 12 ottobre del 1958,  dopo aver scontato 30 anni di galera per omicidio, tentò di uccidere Lorenzo Balestrieri con due colpi di pistola tutti andati a vuoto. Voleva la moglie della vittima per amante di Ferdinando Terlizzi 

 

Nel pomeriggio del 12 ottobre del 1958, tale Lorenzo Balestrieri, denunciava ai carabinieri cdi Falciano di Carinola che alle ore 12 e trenta nella casa della suocera, sita nella Masseria “Rucciola”, in agro di Falciano, era stato fatto segno a due colpi di pistola esplosigli da certo Odordo Suighi. Il Balestrieri precisava che mentre si tratteneva insieme alla moglie Rosa Mollo nella detta abitazione che è sita al primo piano del fabbricato della masseria e si compone della camera da letto e di un antistante locale adibito a cucina il quale comunica con la prima camera attraverso una porta e con le scale attraverso una vano privo di chiusura aveva sentito dei passi nelle scale. Pertanto si era affacciato sulla porta tra la camera da letto e la cucina ed aveva visto che sulla sommità  delle scale vi era il Suighi che impugnava una pistola. Il Suighi, stando sull’ultimo scalino gli aveva detto: “Che cosa ti ho fatto che non mi puoi vedere?” e subito gli aveva esploso un colpo di pistola, fortunatamente andato a vuoto. Egli allora si era difeso lanciando una zappa contro l’aggressore che si dava alla fuga nel contempo sparando un secondo colpo di pistola pure andato a vuoto. Aggiungeva il Balestrieri che lui e la moglie erano soli nella casa al momento del fatto.

I carabinieri non appena ricevuta la denuncia, si recarono sul posto e constatarono che il Suighi, il quale abitava nella stessa masseria Rucciola, si era reso irreperibile; che tra l’ultimo scalino della scala che conduce alla abitazione della suocera del Balestrieri e il vano della porta sita tra la cucina e la camera da letto di detta abitazione vi è una stanza di circa 5 metri; che il proiettile del primo colpo di pistola – al quale aveva accennato il Balestrieri – aveva raggiunta la parete sinistra della camera da letto all’altezza di metri 1,57 e trovavasi ancora in detta camera, mentre il relativo bossolo era  nel cortile.

I verbalizzanti interrogarono inoltre Rosa Mollo, la quale ripetette il racconto del marito e precisò che lo stesso mentre veniva fatto segno al primo colpo si buttò a terra, e tale Antonio Monaco  che a sua volta riferì che stando presso il cancello della masseria aveva sentito delle voci provenienti dal fabbricato e due colpi di pistola e indi aveva visto il Suighi scendere dalla scala che porta alla casa dei Molo e fuggire in bicicletta.

Il Suighi venne tratto in arresto il 13 ottobre nella sua abitazione ove fu  anche rinvenuta la sua pistola automatica Beretta calibro 6 35 in carica da 7 colpi. Sottoposto ad interrogatorio e gli dichiarò che la mattina del giorno 12 essendo stato minacciato con un tridente dal Balestrieri si era recato dal medesima che era in casa della suocera per chiedergli i motivi per cui lo odiava. Che il Balestrieri al suo sopraggiungere aveva chiuso la porta;  ed allora egli aveva esploso i due colpi di pistola ma senza intenzione di colpire l’avversario. A seguito di tali risultanze che formarono oggetto di rapporto dei Carabinieri di Falciano di Carinola del 13 ottobre del 58 si iniziò procedimento penale con rito formale con il mandato di cattura per i reati di tentato omicidio e porto abusivo di pistola.

In istruttoria l’imputato confermo l’interrogatorio reso ai Carabinieri e aggiunse che alla minaccia fattagli  dal Balestriere col tridente la mattina del 12 ottobre erano stati presenti:  Luigi Monica e Arturo D’Onofrio; cha ad altre minacce da lui subite in precedenza avevano assistito Maria Petrella, moglie di Giovanni Fabozzi, la Rosa Mollo e Carmela Monaco; che una volta il Balestriere lo aveva anche colpito con una pietra e ciò perché egli,  avendo assistito ad atti di violenza commessi da lui contro la moglie era stato sentito dai carabinieri come testimone di tali episodi; che il secondo colpo di pistola fu da lui esploso dopo che egli  era stato colpito dalla zappa lanciata dal Balestrieri. Dalle deposizioni del Balestriere e della Mollo ed anche da quelle di Carmela Monaco, che abitava all’epoca dei fatti nella masseria Rucciola; risultò che il Balestriere e  la Mollo per qualche tempo non erano andati d’accordo in quanto il primo non tollerava che la moglie (che era epilettica) si astenesse da lavorare che anzi la Mollo era andata a vivere dalla madre ed aveva denunciato il marito per maltrattamenti.

Che successivamente i due si erano riconciliate che il Suighi il quale aspirava a prendersi lui la Mollo (che aveva anche tentato di possedere prima del matrimonio) aveva suggerito alla stessa di sporgere la denuncia contro il marito, aveva fatto da testimone innanzi ai carabinieri in merito al denunciati maltrattamenti ed aveva tentato di convincere la Molla a non fare più pace con il consorte. Aveva infine ostacolato quest’ultimo nei suoi tentativi di conciliazione minacciandolo perfino con la pistola e facendogli ogni sorta di dispetto.

Le concitate fasi del tentato omicidio nella casa della suocera della vittima

Che la mattina del 12 ottobre il Balestrieri mentre si recava a visitare la moglie in casa della madre aveva incontrato il Suighi ma non lo aveva affatto minacciato. Effettivamente il Suighi –  come da lui affermato  – si era dato alla fuga subito dopo  il primo colpo di pistola ed aveva esploso  il secondo colpo successivamente al lancio della zappa da parte del Balestrieri. Dal canto loro Luigi Monaco, Arturo D’Onofrio, Maria Petrella e Carmela Monaco negarono di avere assistito a minacce da parte del Balestrieri verso il Suighi, mentre il maresciallo dei carabinieri Ermete Liguori confermò che il 3 settembre del 1958 il Balestrieri aveva lanciato un sasso contro l’imputato dopo che questi aveva deposto in caserma sulla denunzia per maltrattamenti fatta dalla Mollo.

Infine espletata l’ispezione dell’abitazione in cui avvennero gli spari e i rilievi fotografici e planimetrici della stessa il giudice istruttore, con sentenza del 12 agosto del 1959, dichiarava non dovessi procedere a carico del prevenuto per la contravvenzione ti porto abusivo di pistola per insufficienza di prove,  essendo in dubbio se egli avesse portato l’arma fuori del fabbricato che abitava ed ordinava procedersi al giudizio della Corte di assise per rispondere degli altri reati. In dibattimento l’imputato, la parte lesa e gli altri testi  confermavano,  con poche  precisazioni quanta già dichiarato in precedenza.

Il Suighi, infatti,  non fu, come vuol far credere, vittima bensì persecutore del Balestrieri. Ancora prestante, nonostante l’età avanzata, e desideroso di assistenza, gli pose gli occhi sulla Rosa Mollo quando era ancora ragazza, e tentò, insistentemente, ma invano, di possederla di convincerla a convivere con lui. Nè rinunciò a tali mire quando la Mollo contrasse matrimonio con il Balestrieri, ed invero, allorchè i due coniugi si bisticciarono e si separarono temporaneamente (lo screzio fu determinato dal fatto che il Balestrieri esigeva la moglie accudisse regolarmente alle faccende domestiche non essendosi ancora reso conto che la donna, affetta da epilessia, era inabile a qualsiasi lavoro) tornò alla carica, indusse la giovane a sporgere denuncia per maltrattamenti contro il coniuge, tentò con ogni mezzo di dissuaderla dal far  pace con il marito di ostacolare quest’ultimo nei suoi tentativi di riconciliazione. Egli cioè approfitto dei sapori verificatisi tra questi due infelici per porre costoro l’uno contro l’altro creare così le premesse necessarie per attuare il suo piano di ottenere per sé la donna. Ed a questo disonesto scopo non certo a sete di giustizia, fu senza dubbio ispirata anche la deposizione da lui resa contro il Balestrieri nel corso delle indagini svolte dai carabinieri a seguito della denuncia per maltrattamenti.

Le altre minacce che il Suighi assume di aver subito compresa l’ultima che gli dice essergli stata fatta con un tridente tendente che afferma essere avvenuta ora la mattina del 12 ottobre del 58 ora giorno 11 ottobre 58 sono state smentite recisamente sia da Balestrieri e sia dalla Mollo e sia dai testi Luigi Monica, Arturo D’Onofrio, Maria Petrillo e Carmela Monica, da lui indicati come presente ai singoli episodi. Orbene, stando così le cose, appare evidentemente che il Suighi quando salì,  armato della pistola pronta all’uso, in casa della madre della Molla in cerca del Balestriere, non doveva avere in animo di chiedere, come afferma, delle “spiegazioni”.

Quali spiegazioni egli poteva chiedere al Balestrieri che non gli aveva fatto nulla e tutto invece aveva da lui subito e che, tentando di riconciliarsi con la moglie non esercitava che un proprio diritto? E comunque, se voleva chiedere delle spiegazioni, perché non si limitò a chiederle ed invece sparò?  egli, come si è visto, cerca di dare una risposta a questo interrogativo assumendo che sparò perché il Balestrieri gli fece l’affronto di chiudere “la porta”, cioè quella porta che mette in comunicazione la camera da letto con la cucina che l’unica porte della casa in quanto la cucina comune con le scale attraverso un vano privo di chiusura. Ma è ancora una volta smentito, e non solo dal Balestrieri e dalla Mollo che riferiscono che gli aprì il fuoco dalla sommità delle scale subito dopo aver scorto il primo sotto l’arco della porta, e quindi quando questa era aperta, bensì anche dalle risultanze del sopralluogo tempestivamente espletato dei carabinieri, che consentirono di accertare che il proiettile del primo colpo non attinse la porta, ne attraversò il vano, segno che era aperto, raggiunse la parete sinistra della camera da letto.

Il processo – La condanna a 6 anni per tentato omicidio – La derubricazione in appello e la condanna ridotta a 3 anni

Tutto lascia ritenere che il prevenuto, contrariamente a quanto dice, accortosi che il Balestrieri era tornato per riprendersi la moglie e resosi conto che il piano da lui ordito per accaparrarsi la giovane crollava, venne invaso dall’ira e salì dall’avversario col fermo proposito e di vendicarsi. Dell’azione da lui compiuto il prevenuto deve poi rispondere senz’altro a titolo di tentato omicidio come contestatogli.

Invero egli fece uso di un’arma micidiale quale la pistola automatica Beretta calibro 6,35 e sparò dopo essersi all’uopo portato a distanza brevissima  (appena 5 metri) dal Balestrieri, e mirando al capo della vittima come si arguisce dalla circostanza che il primo colpo, passando attraverso l’angusto vano della porta in cui la vittima si inquadrava, raggiunge la parete della camera da letto all’altezza di 1,57 del pavimento. E tali circostanze rendono manifesto non solo l’azione che era idonea a cagionare la morte del Balestrieri, ma anche che egli la compì proprio al fine di cagionare tale evento, che non si verificò solo per una fortunata combinazione. Se egli avessi voluto solo minacciare avrebbe sparato in aria e non in modo da sfiorare il Balestrieri; e se avesse voluto ferire e non uccidere avrebbe sì sparato verso il corpo della vittima ma non certo verso il capo.

D’altronde il Sughi – come i suoi precedenti dimostrano (ha riportato nel  1905 la condanna per omicidio ad anni 30 di reclusione) ha un temperamento violento e non ha scrupolo di imporlo anche a costo di sacrificare la vita altrui; e come può pensarsi allora che nel vendicarsi in preda all’ira contro il Balestrieri possa essersi proposto un fine diverso da quello di uccidere? Nè vale poi, per contrastare la prova della volontà omicida che emerge dalle riferite modalità dell’azione  e dall’esame della personalità del reo, porre in rilievo, come ha fatto la difesa, che l’imputato dopo aver escluso il primo colpo, pur potendo continuare a sparare, si allontanò ed esplose il secondo colpo solo durante la fuga ed a seguito della reazione difensiva attuata dal Balestrieri con un lancio di una zappa.

La circostanza che nella prima fase dell’episodio fu esploso un colpo solo non è certo elemento tale da far dubitare della volontà omicida dello sparatore, tanto più che proprio nell’attimo in cui partì il primo colpo il Balestrieri si gettò a terra e questa sua tempestiva mossa, che forse gli consentì di scansare il proiettile, dovette dare allo sparatore la convinzione che il colpo invece era andato a segno e che quindi era superfluo ripetere lo sparo.

La Corte ritenne di concedere al Sughi le attenuanti generiche.  E’ vero che come si è già accennato,  i suoi precedenti sono pessimi. Ma va tenuto presente che dopo l’espiazione della condanna per omicidio inflittagli nel 1905, per ben 24 anni egli si è astenuto dal commettere altri reati. Ed in considerazione di questo notevole periodo di buona condotta (che impedisci peraltro di applicare l’aggravante della recidiva) ed anche della sua età molto avanzata è il caso di usargli una certa clemenza.  Non può invece applicarsi l’altra attenuante – invocata dalla difesa  – quella della provocazione.
L’ira del Suighi fu determinata dal fatto che il Balestrieri insisteva per fare in modo che la moglie ritornasse con lui. Non è chi non vede che questa insistenza della vittima non può qualificarsi comportamento ingiusto e provocatorio essendo incontestabile che essa aveva il diritto, ed anzi il dovere di riprendere con se la sua donna.

Il Suighi, tratto al giudizio della Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere (Presidente, Prisco Palmiero; giudice a latere, Guido Tavassi; giudici popolari: Filomena D’Urso, Tommasina Natale, Filomena Cimorelli, Filippo Di Donato, Salvatore Delli Paoli e Nicola Di Martino) fu condannato ad anni 8 per tentato omicidio; pena ridotta ad anni 6 di reclusione con la concessioni delle attenuanti generiche. Il 26 maggio del 196 in appello – difeso dell’avvocato Carlo Cipullo – la sua imputazione fu degradata a tentata lesione continuata e la condanna fu ad anni 3 e mesi 10.