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D’Alfonso discetta di giustizia. Il procuratore: io non ci vado

A PESCARA – Dibattito sull’obbligo per le Procure di cercare prove favorevoli all’indagato

3 GIUGNO 2022

Il senatore Luciano D’Alfonso, processato più volte (53 capi d’imputazione) e sempre assolto, non è mai stato il tipo che le manda a dire. Senza dubbio suo malgrado, è diventato un cultore della materia che oggi, nel Tribunale di Pescara, affronterà in qualità d’esperto nel seguente dibattito: “Le indagini preliminari, le paure di ogni cittadino e la soluzione scritta dell’articolo 358 del codice di procedura penale”. Ora, per chi non lo sapesse, l’articolo in questione prescrive l’obbligo, per la pubblica accusa, di cercare anche le prove a favore dell’indagato. D’Alfonso (come egli stesso riferisce) è peraltro “la prova vivente che in Italia ci sono le garanzie” nonché “un pezzo della medicazione che è necessaria al sistema”. Concetti già espressi in un altro convegno, tenutosi il 30 aprile scorso, dal quale estrapoleremo alcune perle del D’Alfonso pensiero. Qualcuna di queste perle ha però indotto il procuratore di Pescara, Giuseppe Bellelli, a disertare l’appuntamento di oggi per tutelare la funzione e l’ufficio che rappresenta. E non solo. Anche per tutelare un suo collega, pm a Pescara, denunciato da D’Alfonso, poi archiviato dalla procura di Campobasso. Va da sé: il pm è stato archiviato proprio in applicazione di quel- l’articolo 358 al quale D’Alfonso è così affezionato dal prodigarsi in “preghiere laiche” affinché venga sempre applicato. Quasi sempre, almeno. Perché questa volta il senatore non ha gradito.

Il 30 aprile scorso, infatti, ha raccontato che un ufficiale di polizia giudiziaria (“uno degli ultimi resistenti, un appartenente a una ‘cordata sbagliata di servitori dello Stato’, una cordata sbagliata che è quasi scomparsa”) ha chiesto a un testimone, sentito a sommarie informazioni (“facendo un’attività dovuta autorizzata, prevista dalla legge”) di mostrargli i messaggi intrattenuti con lui (“fammi vedere che whatsapp ti scambi con il senatore D’Alfonso. La persona in discorso è stata anche un po’ spaventata dalla consistenza della questione”). Un altro testimone (“vi devo dire: donna, molto più coraggiosa”) gli ha riferito l’accaduto e D’Alfonso ha denunciato il tutto alla Procura di Campobasso, anche perché era potenzialmente coinvolto il pm titolare delle indagini (“il pm potenzialmente ‘mittente’, non lo sappiamo se il pm avesse autorizzato questa intrapresa conoscitiva da curiosità molto intense”).

Il pm è stato archiviato e D’Alfonso non ha metabolizzato con piacere l’evento: “Sapete cosa c’è scritto nell’archiviazione, che è fascinosa? ‘Sì, può essere vero che abbia guardato per un po’ la chat con il senatore D’Alfonso, però l’ha fatto nella parte finale dell’attività acquisitiva’. È come dire che una persona è incinta, ma poco. Naturalmente ho fatto ricorso”. Per quanto risulta al Fatto, i messaggi in questione sono stati analizzati da telefoni regolarmente acquisiti durante le indagini. E il procuratore Bellelli – precisando che, peraltro, un pm non può replicare al pubblico dileggio – ha scelto di non sedersi oggi allo stesso tavolo di D’Alfonso. Ha rinunciato al dibattito.

D’Alfonso, come già spiegato, non è mai stato il tipo che le manda a dire: immaginiamo che non vorrà autocensurarsi proprio oggi, vieppiù dinanzi agli altri esperti della materia che dibatteranno con lui (per esempio il vicepresidente del Csm, David Ermini, il procuratore generale di L’Aquila, Alessandro Mancini, la presidente della Corte d’Appello di L’Aquila, Francesca Francabandera, il presidente del tribunale di Pescara, Angelo Mariano Bozza). Nessuno tra loro ha preso la drastica posizione assunta dal procuratore Bellelli. D’altronde D’Alfonso, il 30 aprile, ha manifestato un solare ottimismo: “Sono convinto che a Pescara e in Abruzzo avremo un periodo di tranquillità” dopo “vent’anni di ‘schioffi’ e di “trazione della polizia giudiziaria nei confronti della procura”. Che dire: tranquillo lui, tranquilli tutti. (A parte Bellelli, s’intende).