Referendum
di Arnaldo Liguori
Il Giorno
Il referendum che si terrà tra pochi giorni riguarda uno dei cardini del sistema democratico: la giustizia. Si voterà domenica 12 giugno, dalle 7 alle 23. Gli italiani sono chiamati a esprimersi su cinque diversi quesiti referendari, che chiedono di abrogare – cioè eliminare – altrettante leggi. Ovviamente, è possibile scegliere di votare anche per uno solo dei quesiti. Per votare è necessario presentarsi alle urne con un documento d’identità e la tessera elettorale.
In generale, bisogna votare “sì” se si vuole cambiare la legge attuale, oppure votare “no” se si vuole mantenere l’assetto corrente. Per essere valido, ogni quesito dovrà raggiungere il quorum: è necessario che si rechino alle urne metà degli elettori più uno. Vediamo ora quali sono i cinque quesiti e quali sono le varie posizioni in merito.
Primo quesito: incandidabilità per i politici condannati
In Italia, chi è condannato in via definitiva per alcuni gravi reati penali non può candidarsi alle elezioni, né assumere cariche pubbliche e, se è già stato eletto, decade. Coloro che sono eletti in un ente locale, come i sindaci, sono invece automaticamente sospesi dopo una sentenza di condanna di primo grado (quindi non in via definitiva, dato che nel nostro ordinamento sono garantiti tre gradi di giudizio).
Se vince il “sì”, l’incandidabilità, l’incompatibilità e la sospensione dei politici condannati non saranno più automatiche ma verranno decise da un giudice caso per caso.
Chi è per il “sì” sostiene che l’attuale legge penalizza gli amministratori locali che vengono sospesi senza condanna definitiva, esponendoli alla pubblica condanna anche nel caso in cui si rivelino poi innocenti.
Chi è per il “no” sottolinea che se l’attuale legge verrà abolita, i politici condannati per mafia, corruzione, concussione o peculato potranno tornare a candidarsi e a ricoprire cariche pubbliche.
Se vuoi eliminare l’incandidabilità e l’incompatibilità per i politici condannati vota “sì”, altrimenti vota “no”. Qui sotto, il fac-simile della scheda rossa del primo quesito.
Secondo quesito: limitazione delle misure cautelari
Le misure cautelari sono provvedimenti – decisi da un giudice – che limitano la libertà di una persona sotto indagine (quindi non ancora condannata). Alcuni esempi sono la custodia cautelare in carcere e gli arresti domiciliari. Oggi, le misure cautelari possono essere applicate solo in tre casi: se c’è pericolo 1) di fuga, 2) di alterazione di prove e 3) di ripetizione del reato (cioè se c’è il rischio che il reato continui ad essere commesso mentre la persone è sotto indagine).
Se vince il “sì”, viene eliminata la ripetizione del reato dalle motivazioni per disporre misure cautelari. Rimangono il pericolo di fuga e di alterazione delle prove.
Chi è per il “sì” sostiene che oggi ci sia un abuso delle custodie cautelari e che spesso si mettano in carcere persone non condannate, violando così il principio della presunzione di innocenza. La ripetizione del reato è infatti la motivazione più frequente per disporre una custodia cautelare (circa nel 70 per cento dei casi). Negli ultimi trent’anni, circa 30 mila persone sono state incarcerate e poi giudicate innocenti e ancora oggi un terzo dei detenuti è in carcere perché sottoposto a custodia cautelare.
Chi è per il “no” sostiene che, se cambia la legge, sarà molto difficile applicare misure cautelari a persone indagate per gravi reati, come corruzione, stalking, estorsioni, rapine e furti. Inoltre, non ci sarebbe alcuna garanzia di non mettere in carcere persone innocenti, poiché le altre motivazioni rimangono applicabili.
Se vuoi eliminare l’applicabilità delle misure cautelari in caso di ripetizione del reato vota “sì”, altrimenti vota “no”. Qui sotto, il fac-simile della scheda arancione del secondo quesito.
Terzo quesito: separazione delle carriere nella giustizia
Nel corso della loro vita, i magistrati italiani possono passare più volte dal ruolo di pubblici ministeri (cioè coloro che si occupano delle indagini insieme alle forze dell’ordine e svolgono la parte dell’accusa) al ruolo di giudici (cioè coloro che emettono le sentenze sulla base delle prove raccolte e del contradditorio tra l’accusa e la difesa).
Se vince il “sì” i magistrati dovranno scegliere, all’inizio della loro carriera, se svolgere il ruolo di giudici oppure di pubblici ministeri, per poi mantenere quel ruolo per tutta la vita.
Chi è per il “sì” sostiene che separare le carriere garantirebbe una maggiore imparzialità dei giudici, perché così sarebbero slegati per attitudini e approccio dalla funzione punitiva della giustizia che appartiene ai pubblici ministeri. In altre parole, il fatto che una persona che per qualche anno si abitui ad “accusare” e poi venga messa nella posizione di “giudicare”, non sarebbe una condizione ideale per il sistema democratico.
Chi è per il “no” sostiene che la separazione delle carriere non sarà comunque efficace dato che la formazione, il concorso per accedere alla magistratura e gli organi di autogoverno dei magistrati resterebbero in comune. Inoltre, c’è chi teme che in questo modo i pubblici ministeri sarebbero sottoposti a un maggiore controllo da parte del Governo, finendo per diventare una sorta di “avvocati” della maggioranza che controlla l’esecutivo.
Se vuoi che le carriere dei magistrati – giudici e pubblici ministeri – siano separate vota “sì”, altrimenti vota “no”. Qui sotto, il fac-simile della scheda gialla del terzo quesito.
Quarto quesito: valutazione dei magistrati
In Italia, i magistrati vengono valutati ogni quattro anni sulla base di pareri motivati, ma non vincolanti, dei Consigli giudiziari, istituiti presso ogni Corte d’appello d’Italia. Questi organi sono composti da magistrati, avvocati e professori universitari di diritto, ma soltanto i magistrati possono votare nelle valutazioni professionali degli altri magistrati.
Se vince il “sì” anche avvocati e professori universitari avrebbero il diritto di votare sull’operato dei magistrati.
Chi è per il “sì” sostiene che questa riforma renderebbe la magistratura meno autoreferenziale e la valutazione dei magistrati più oggettiva.
Chi è per il “no” è convinto che non sia opportuno dare agli avvocati il ruolo di valutare i magistrati, dato che nei processi i pubblici ministeri rappresentano la controparte degli avvocati. Le valutazioni potrebbero, per questo motivo, essere pregiudizievoli e ostili. Allo stesso modo, i magistrati potrebbero essere influenzati dal trovarsi di fronte a un avvocato coinvolto nella sua valutazione professionale.
Se vuoi che anche gli avvocati e i professori universitari possano valutare i magistrati vota “sì”, altrimenti vota “no”. Qui sotto, il fac-simile della scheda grigia del quarto quesito.
Quinto quesito: elezione del Consiglio superiore della magistratura
Il Consiglio superiore della magistratura è l’organo di autogoverno della magistratura: ha lo scopo di mantenerla indipendente rispetto agli altri poteri dello Stato e gestisce le assunzioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari dei magistrati. È composto da 24 membri, eletti per un terzo dal Parlamento e per due terzi dai magistrati stessi. Oggi, per candidarsi, è necessario presentare almeno 25 firme di altri magistrati a proprio sostegno. Queste firme, oggi, sono quasi sempre fornite col supporto delle varie correnti politiche interne alla magistratura.
Se vince il “sì” non sarà più necessario l’obbligo di trovare queste firme, ma basterà presentare la propria candidatura.
Chi è per il “sì” sostiene che in questo modo i magistrati potrebbero sganciarsi dall’obbligo di trovare accordi politici e dal sistema delle correnti, così da premiare il merito piuttosto che l’adesione politica. Si limiterebbe anche la lottizzazione delle nomine, cioè la spartizione delle cariche tra i diversi orientamenti politici.
Chi è per il “no” afferma che la riforma non eliminerebbe il potere delle correnti poiché interviene in modo poco rilevante. Ma c’è anche chi non vede le correnti come un sistema negativo in sé, in quanto aggregazioni di persone che condividono ideali e principi comuni.
Se vuoi eliminare l’obbligo di trovare 25 firme per candidarsi al Consiglio superiore della magistratura vota “sì”, altrimenti vota “no”. Qui sotto, il fac-simile della scheda verde del quinto quesito.
Arnaldo Liguori
Referendum
di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano, 5 giugno 2021
(NB. Il referendum sulla responsabilità civile dei giudici, di cui parla Travaglio al punto n. 1, non è stato ritenuto ammissibile dalla Corte Costituzionale)
Dopo aver fatto inciuci con tutti e il loro contrario ed essersi ridotti a percentuali da prefisso, i Radicali sono atterrati in braccio a Salvini. Auguri a loro, ma soprattutto a lui. Il prestigioso sodalizio raccoglie firme per sei referendum che renderanno la giustizia – l’avreste mai detto? – “giusta”. Siccome i quesiti sono scritti in un idioma che fa apparire il sànscrito una passeggiata di salute (solo il secondo conta ben 1074 parole), ci siamo armati di un decrittatore per codici cifrati e li abbiamo tradotti.
1. Responsabilità civile dei giudici. Oggi chi ritiene di aver subìto un torto dalla giustizia può chiedere i danni allo Stato. Se vince il sì, potrà fare causa direttamente al magistrato. Così chiunque sarà condannato nel penale o si vedrà dar torto nel civile denuncerà i suoi giudici. Che saranno sepolti di denunce. O, per evitarle, non condanneranno più nessuno e, fra un potente e un poveraccio, daranno ragione al primo, a prescindere. Giustizia giusta?
2. Manette difficili. Si vuole abolire la custodia cautelare per i delitti puniti con pene sopra i 5 anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti”. Quindi, se non si può più arrestare neppure per finanziamento illecito e per i reati gravi, i delinquenti in guanti bianchi (e pure di strada) resteranno liberi di inquinare le prove, fuggire e commettere altri reati. Giustizia giusta?
3. Separazione delle carriere fra pm e giudici. Se il pm ha fatto per un po’ il giudice, ha assorbito la cultura dell’imparzialità tra accusa e difesa (Falcone e Borsellino furono giudici istruttori e poi pm). Se invece fa solo il pm, assorbe la mentalità dell’accusa, tipica delle forze di polizia, non della magistratura. Quindi, una volta separati dai giudici, i pm saranno più “giustizialisti” di prima. Giustizia giusta?
4. Abolizione della Severino. L’altra sera dalla Gruber Salvini vaneggiava sulla barbarie di cacciare sindaci e amministratori locali condannati in primo grado. Forse non ha letto il quesito, che propone di abolire l’“incandidabilità e il divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi”: cioè vuole riportare in Parlamento, al governo e negli enti locali persino i pregiudicati (in Cassazione, non in primo grado) per reati gravi. Giustizia giusta?
5. Elezioni al Csm. Chi si candida non dovrà più raccogliere firme. Il che, con la giustizia giusta, non c’entra una mazza.
6. Consigli giudiziari. Nelle filiali locali del Csm che giudicano la bravura dei magistrati, avrebbero diritto di voto pure gli avvocati. Cioè, per dire, a Palermo a valutare la professionalità di Nino Di Matteo potrà esserci l’avvocato di Matteo Messina Denaro. “Giustizia giusta”, come no.